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Interviste

Intervista ai The BASTARD SONS of DIONISO: 45 Minuti a Ruota Libera

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Intervista di Veronica Drago | Foto di Francesca Fedele

Lo scorso sabato abbiamo raggiunto i The Bastard Sons of Dioniso prima del loro live al Civè Music Festival per scambiare quattro chiacchiere sul loro presente e sull’andamento del loro ultimo album, The Bastard Sons of Dioniso, uscito l’8 aprile di quest’anno. L’incontro si è trasformato da breve intervista preconcerto a 45 minuti di ruota libera (anzi liberissima) su temi di attualità, sull’industria musicale, sul post X Factor, su Spotify e sui Social Network.

I tre bastardi scesi dal Trentino sono rimasti umili e disponibili come avevamo imparato a conoscerli prima e durante la loro esperienza sul palco di X Factor e, anzi, oggi forse lo sono ancora di più, forti di una maturità e di una consapevolezza artistica costruite con le loro gambe, a costo di rinunciare ad un ambiente patinato che poco c’entrava con le loro esigenze di produttori di sound personali e fuori dal comune, assolutamente non preconfezionati.

La scelta di continuare per la propria strada senza scendere a compromessi con l’industria del Talent Show (a loro servita esclusivamente come strumento per alzare la voce e gridare la propria presenza) ha ripagato l’animo rock dei The Bastard Sons of Dioniso che suonano disintegrando la barriera tra palco e pubblico, lo intrattengono, lo coinvolgono, lo stupiscono e, soprattutto, lo divertono. Riescono a farlo prima di tutto grazie alle loro elevate capacità tecniche (sono tutti polistrumentisti, Federico e Michele non hanno perso il vizio di scambiarsi i ruoli durante i loro live) e grazie ad un talento innato che non si impara né sui banchi del Conservatorio né all’interno degli studi di un Talent Show: il talento di riuscire a dialogare con le persone, di restare con i piedi per terra, allo stesso livello dei fan che si trovano di fronte, capendo ciò di cui hanno bisogno e non risparmiandosi, mai! I live dei The Bastard Sons of Dioniso sono prima di tutto una festa e in Italia pochi altri gruppi rock hanno ancora la spontaneità adatta a creare atmosfere di questo tipo.

Di seguito una versione “condensata”, si fa per dire, dell’intervista con i The Bastard Sons of Dioniso; se volete godervi l’intera chiacchierata e, soprattutto, i vaneggi filosofici di Jacopo su Facebook e sul concetto di Dj Set accompagnati dai “deliri” di Federico per Spotify e la Dubstep, vi consigliamo di ritagliarvi 45 minuti del vostro tempo, sedervi comodi sul divano e cliccare il tasto play. Qualità audio a parte, le condizioni di registrazione non erano proprio il massimo, non ve ne pentirete!

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Sono passati tre mesi dall’uscita del vostro ultimo album, ci fate un bilancio di come sta andando il disco e quante persone ce l’hanno fatta a risolvere il rebus? (All’interno di “The Bastard Sons of Dioniso” era presente un rebus che, una volta risolto, ne svelava il vero titolo, n.d.r.)

Jacopo: L’unica persona che è riuscita a risolvere il rebus è una persona che ci ha dedicato praticamente la vita, iniziando a rovinarsela pur di risolverlo; ci ha mandato 18 email, 18 risultati diversi ma quasi giusti. Credevo che nessuno sarebbe riuscito a risolverlo, lo avevamo fatto apposta così difficile.

Federico: La cosa divertente è che ne ha mandate 18 e la terza era quella più vicina, sbagliava solo una parola, però volevamo vedere se riusciva a farcela ma alla fine c’era sempre quella parola costante che sbagliava. Alla diciottesima volta le ho scritto dicendole che la terza era quella quasi giusta e il giorno dopo ci è arrivata la soluzione.

Jacopo: Il concetto era quello di non minimizzare il lavoro di due anni, che è stato duro e lungo in studio, in una parola sola, in un titolo semplice. L’album si sta muovendo bene, siamo stati fortunati perchè pian piano stiamo trovando la nostra dimensione, i nostri spazi di lavoro che sono più fruibili a tutti. Vogliamo parlare di più alle persone anziché essere chiusi in noi stessi e questo album è proprio di apertura verso l’esterno.

Siete sempre stati etichettati come band punk rock. Questo poteva essere vero agli inizi, mentre oggi, e si sente soprattutto nel vostro ultimo album, lavorate molto sulla ricerca e sul perfezionamento delle armonizzazioni, delle ritmiche e dei testi stessi (cosa non proprio appartenente al punk). Quanto è importante per voi questa fase di ricerca e sperimentazione e come la vivete? Vi scontrate tra di voi, ognuno la vive per conto suo?
Jacopo: Ci sono dei momenti in cui ognuno trova le proprie ispirazioni e porta le idee. Poi c’è la metabolizzazione con tutti, con il nostro gusto che si è formato in tanti anni insieme, condividendo lo stesso palco. Ci piacciono delle cose comuni che si riscontrano poi nel nostro sound, c’è un compromesso tra di noi che poi è quello che ci rende unici; se ascolti un nostro pezzo lo puoi riconoscere facilmente da delle soluzioni e delle proporzioni che si ripetono.

Sappiamo che siete una band che se ne frega abbastanza del giudizio altrui, ma come reagite quando alcuni fan sfoderano uno dei grandi classici, ovvero l’incazzatura dell’“Ecco, sono cambiati”. Vi dà fastidio l’idea che per alcune persone gli artisti sembrino non avere il diritto di cambiare direzione, sperimentare e aprirsi verso mondi nuovi?
Michele: In realtà molti dei fan sono rimasti quelli dei primi anni e non si lamentano del cambiamento, non tutti almeno.
Federico: Nel nostro caso, essendo andati in tv e avendo cantato brani di altri artisti, avendo successivamente fatto un Ep dove c’erano due pezzi nostri ma poi solo cover, la maggior parte delle persone che ci ha conosciuto tramite la televisione pensava fossimo tutta un’altra cosa e avendo ascoltato il disco dopo ci hanno detto di essere cambiati perchè ci mettevano a confronto con quello che avevano sentito in tv dove non avevamo fatto quasi niente di nostro.
Michele: Sì però quelli non puoi nemmeno considerarli fan. E poi comunque non possiamo arrabbiarci per questo perchè è normale che lo dicano.
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Rifacendoci al brano “Iodio a Milano”, avete mai pensato a come sarebbe stata la vostra vita se anziché nascere in quel della provincia di Trento, a Baselga, foste nati a Milano o a Torino, le due grandi capitali italiane della musica?
Jacopo: Non sarebbe successo niente di tutto ciò, perchè è stata tutta una combinazione di combinazioni che non sono mai state volute e sono sempre state casuali, per scelte che non centrano niente con la musica. Noi ci siamo incontrati perchè ho deciso di non andare a fare Areonautica a Padova e di andare a fare il Perito Edile a Trento, dove ho incontrato il primo anno Federico e poi Michele.
Michele: Infatti, io probabilmente non suonerei nemmeno.
Jacopo: Poi con i gruppi, prima devi trovare le persone e poi i musicisti. Le persone condividono la fatica e la passione che fa passare quella fatica. Poi per il discorso di prima, qualcuno potrà dire che siamo cambiati ma noi non siamo quei gruppi che vivono molto di apparenza. L’apparenza l’abbiamo vissuta, ci siamo passati e abbiamo potuto dire che c’eravamo ma poi abbiamo sentito il bisogno di poterci esprimere in totale libertà e per poter sapere a chi dare la colpa se le cose andranno male. Noi cerchiamo di plasmarci il nostro futuro e di prenderci le nostre responsabilità.

A proposito di questo discorso, di prendervi le vostre scelte e responsabilità, volevo chiedervi se la rottura con la Sony e con l’etichetta di Mara Maionchi può essere letta come una sorta di àncora di salvataggio dal periodo post talent a cui o sopravvivi perchè ti adegui a ciò che vogliono cucirti addosso oppure rischi di cadere nel dimenticatoio. Uscendo da quel mondo magari avete potuto ritrovarvi, ritrovare la vostra libertà d’origine?
Jacopo: Noi abbiamo sempre pensato di poter lavorare sul nostro prodotto, sul nostro progetto, non siamo mai usciti da quell’idea. Anche avendo a che fare con persone che fanno questo mestiere al top, abbiamo sempre pensato di poter portare il nostro progetto lavorando però al massimo della professionalità e avendo chi ci dava supporto nella distribuzione, nella pubblicità e tutto il resto. Poi in realtà quando ci si è trovati a non avere una comunione di intenti su ciò che si voleva fare, risultava controproducente per entrambi e quindi la separazione è stata naturale. Siamo giunti tutti alla conclusione che servivano persone che lavorassero con uno scopo comune e se il nostro scopo non era lavorare come volevano loro e il loro scopo non era lavorare come volevamo noi allora abbiamo dovuto dividerci. Anche a livello razionale, quel mondo perde molto in termini di economicità; abbiamo potuto constatare l’esistenza di un grande spreco di denaro e risorse e noi non eravamo abituati a questo visto che non avevamo mai avuto tutte quelle disponibilità. Per noi fare un album non significa prendere un tot mila euro ogni volta e investirli per portare le persone in uno studio tecnico a costruire il lavoro a tavolino. Noi le risorse le investiamo quando c’è da fare un upgrade delle cose che ci mancano fisicamente nel nostro studio personale e che poi possiamo mantenere lì per buttare giù una base in tutta libertà quando vogliamo. Poi andiamo dai “professionisti” del suono solo per le fasi successive di mix e mastering ma quella è un’altra storia.

L’autonomia creativa in questo modo è massima.
Jacopo: Non hai fretta, non hai un tot di tempo che devi pagare ad un tecnico in fase creativa, non hai sbattimenti. Noi siamo in tre e ci conosciamo bene, quando sono nervoso perchè non riesco a fare qualcosa e i miei soci giustamente mi dicono “Prova e riprova”, alla ventesima volta che non mi viene posso scocciarmi e dirgli “Vaffanculo”, cosa che non potrei fare con un tecnico.

Chiuso il capitolo passato e X Factor, parliamo del presente e parliamo di live e concerti. Siete sempre stati molto attivi sotto questo punto di vista e oggi più che mai. Quello che piace di voi è che non disdegnate le piccole manifestazioni locali come quella in cui andrete a suonare questa sera, nonostante abbiate aperto eventi di grandi artisti come Green Day, Robert Plant e Ben Harper. Cosa provate, emotivamente parlando, nel passaggio da Fiero Rho Milano Green Day a Civè Music Festival in quel della campagna padovana?
Jacopo: Sicuramente c’è meno bigottismo qui (evento locale n.d.r.). Ci sono delle cose che sono naturali nell’uomo e una di queste è la ricerca del divertimento. Qui noi andiamo ad una festa dove ci si può divertire, bere, ubriacarsi, se non si guida naturalmente…
Federico: Questa cosa la dice sempre, ogni volta
Jacopo: …mentre lì la tensione è assolutamente più alta. Noi comunque il divertimento lo andiamo a ricercare sempre, non puoi viverti bene l’esperienza se non c’è. Già è un lavoro difficile, se poi si toglie la parte divertente del fare festa con tutte le persone, allora diventa un atto di privazione per cui ok, non devo bere, devo farmi il succhino, devo essere al top. Per il resto noi quando andiamo ad un concerto pensiamo sempre al punto di vista tecnico, cerchiamo sempre di essere professionali nella fase di preparazione tecnica e strumentale, poi quando quella è apposto possiamo dare sfogo al divertimento.

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Parliamo di Social. Per voi che siete molto legati ai vostri fan e alla vostra dimensione locale, Facebook, Twitter, Instagram possono essere strumenti utili per mantenere questo legame, li utilizzate oppure non ve ne frega niente e avete un’opinione negativa a riguardo?
Federico: Si usano, ma una volta la mese.
Jacopo: Bisognerebbe impegnarsi tanto in questo. Io non ho personalmente un profilo Facebook che seguo, ne ho uno finto che guardo una volta ogni sette anni, però da quello che vedo dal profilo del gruppo noto che se posti una foto di te al mare con la birra, ci sono molte più persone che lo guardano e hanno degli apprezzamenti rispetto a quando scrivi che esce il nuovo singolo. La trovo una cosa visuale. La scrittura poi avrà un peso diverso con Twitter…a parte che non so neanche come funzioni però immagino che sia “Quello che se dise” no?
Federico: Noi lo abbiamo e lo guardo perchè ho l’app nel telefonino ma scrivo molto poco se non quando mi chiedono a che ora suoniamo e rispondo con l’orario.
Jacopo: Ecco vedi, anche da questo lato, avremmo bisogno di una persona che si dedica a montare video e foto e sta lì a comunicare che stiamo facendo questo o quello. Per noi già il pensiero di dover fare la copertina del disco, visto che ci facciamo tutto noi, è uno sbattimento!
Federico: Dai condividiamo il giusto. Twitter è abbastanza divertente per vedere cosa scrivono le persone ma adesso tipo dovrei essere qui a farti la foto e scrivere “Intervista pre concerto” e non so, lo trovo un po’ esagerato. E poi comunque non è una cosa da fare una volta ogni tanto quando ti viene in mente, dovrebbe essere una cosa continuativa, ogni volta. Noi se lo facciamo è perchè pensiamo possa essere qualcosa che poi alle persone fa piacere condividere mentre in realtà di solito è usato come un qualcosa per far sì che in quel momento il tuo nome giri.
Jacopo: Ma poi la verità è che noi siamo scarsissimi a venderci. Cioè siamo sempre partiti con l’idea sbagliata. Siamo arrivati ad X Factor che non ci conosceva nessuno perchè non abbiamo mai mandato il disco a nessuno! Noi suonavamo, facevamo 90 concerti all’anno, stampavamo i dischi e li davamo ai concerti. Era la musica che era la nostra pubblicità, non abbiamo mai pensato che bisognasse dirlo o creare qualcosa al di fuori di questo, siamo musicisti e basta.

N.d.r. – Da questo punto, minuto 20 circa dell’intervista audio, fino al minuto 27, Jacopo apre una parentesi filosofica sul mondo dei Social Newtork, su come Facebook abbia sostituito l’elenco del telefono, su come sia assurda la logica di questi nuovi media; conclusione? Dovremmo istituire un Facebook di Stato al posto dell’anagrafe. Io vi consiglio di ascoltare questa digressione in versione audio perchè ne vale davvero la pena!

Parliamo di crisi economica. Come si fa, da musicisti, ad andare incontro alle persone durante un periodo così difficile e interminabile? Faccio anche riferimento al fatto che il vostro album, ad esempio, sia uscito ad un prezzo molto politico di 9,99 euro.
Jacopo: Io avevo chiesto di metterlo a 10 euro in realtà perchè il prezzo così non è che mi piacesse però dai, siamo nel range del prezzo che ci interessava. Poi il cd io lo sto un po’ svilendo. Non ho un lettore cd da almeno cinque o sei anni, li ascolto solo in sala prove, magari perchè ce lo dà qualche gruppo, ma è un ascolto davvero frugale. Piuttosto ascolto un vinile perchè non devo continuare a cambiare, scorre da solo. Anche il cd lo farebbe, però non così bene. E poi il cd ha un ascolto da drogato; se non riesci a smettere di cambiare canzone, di mandarle avanti, allora è il caso che la smetti con l’ascolto dei cd, devi prendere un vinile metterlo su e ascoltartelo. Com’era con la cassetta, la mettevi su e la ascoltavi senza andare troppe volte avanti altrimenti sapevi che poi si rovinava.

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Ma infatti forse il futuro è proprio questo, un ritorno all’oggetto vinile, oppure allo streaming che sta crescendo, piuttosto che continuare con cd o download…
Federico: Io è da un mese che sono in fissa con questo Spotify. L’ho scaricato perchè vedevo che si potevano ascoltare le canzoni gratis e poi ho visto che potevo ascoltarmele per tutta l’estate senza limiti con 10 euro ed è una roba pazzesca la comodità di questo streaming! Allucinante che con 10 euro al mese poi senti tutto. Cioè il download così non ha neanche più senso, investi 120 euro all’anno e sai che ti puoi ascoltare quello che vuoi.
Jacopo: Sì ma così sei in giro e hai sempre la musica che ti rompe i coglioni.
Federico: In alternativa altrimenti si può proporre la formula vinile più traccia download, questo può funzionare così ho sia il supporto fisico che la traccia che posso passarti, visto che con Spotify non si può fare, posso ascoltare il brano ma non te lo posso passare.
Jacopo: Ormai è un esperto Spotify, lo faranno amministratore delegato.
Federico: Comunque è da anni che lo diciamo che l’unico supporto fisico destinato a restare sarà il vinile.
Jacopo: Può arrivare anche una tempesta solare, o qualsiasi altra cosa, che comunque c’è una manovella, hai una puntina, lo metti su e funziona.
Federico: Sì poi lui (Jacopo) tra l’altro, una volta c’era la velux in sala prove, mi ha lasciato al sole un disco degli Air, sono andato in ferie e sono tornato dopo quindici giorni e mi sono trovato le pieghe sul disco e le uniche tre canzoni che mi piacciono erano in quella piega lì.
Jacopo: Quando ti sposi so cosa regalarti.

Ultima domanda, cosa state ascoltando in questo momento?
Federico: Dubstep a stecca, anche perchè con Spotify posso ascoltarla quando voglio!

Hai visto TOP DJ? A proposito di talent… lì c’era un ragazzo che proponeva solo Dubstep.
Federico: L’ho guardato una volta per sbaglio, però il dramma è che ai ragazzi che erano lì facevano missare tre brani ma sentivi 18 secondi. Cioè a vederlo così, in televisione poi, non ho capito se uno era davvero bravo oppure no.
Jacopo: Ma scusa un dj è bravo non per come cambia da una canzone all’altra ma da che canzoni sceglie no? Cioè un dj potrà anche fermarsi no o esiste questo cliché che non può fermarsi?
Federico: Ma no sennò che dj set fai?
Jacopo: Ma quindi scusa i finali delle canzoni non esistono più? Ma che merda è?! Cioè una roba la inizi e poi la finisci, ci sarà un finale mega figo…non esistono i finali?!
Michele: Farai il dj che mette solo finali.
Jacopo: Ma scusa almeno uno figo che quando finisci lo metti su lo faranno!

Dicevamo, Dubstep e poi?
Federico: No beh io Dubstep ma poi sto cercando di capire che cosa mi piaccia davvero di quel filone lì, anche Dancehall. Ascoltavo la prima Dub anni Duemila, quando avevo quindici anni, poi ho riscoperto questa Dubstep e mi sono detto “Wow, è come prima però un po’ diversa”. E poi mi piace la Drum’n’Bass, tipo gli Asian Dub Foundation che su sta roba qua sono maestri, Community Music del 2001 l’ho consumato! Poi seriamente, ascolto Jack White.
Michele: Io non sono così aggiornato sui nuovi generi. Ascolto roba vecchia, oppure nuova tipo anch’io Jack White, ma sto sui generi così, un po’ più rock’n’roll. Tipo la Dubstep no, proprio no.
Jacopo: Io invece ho avuto la fortuna di ascoltare “in prima visione tv” il disco di Felix Lalù, che è un nostro amico che mi ha chiesto di aiutarlo appunto per il suo nuovo disco, e sono stato la prima persona a cui lo ha dato e…è bellissimo! Quando una cosa è così rara,è come trovare una negritella, non so se hai presente cos’è una negritella.
Federico: Eh ma dille cosa stai ascoltando adesso, di cosa sta andando adesso!
Jacopo: Questo sto ascoltando! Beh allora non ascolto nulla! Se c’è la radio ascolto Radio Radicale, sennò non ascolto musica ecco.
Federico: Sì beh adesso perchè ho Spotify Premium mettiamo su musica altrimenti c’è solo Radio 24, poi quando guida lui nel cuore della notte…
Jacopo: Che poi su Radio Radicale non c’è musica! Certe volte hanno fatto delle proteste per cui mettevano solo Requiem e canzoni di morte per 24 ore!

E riuscite a stare svegli quando tornate di notte e guida lui?!
Michele: Se siamo in auto e lui (Jacopo) ha il suo computer, fa una playlist scegliendo le canzoni più lunghe che ha su iTunes.
Jacopo: Una volta ho progettato una playlist da Trento a Roma: 6 canzoni. Ad un certo punto però hanno protestato.

Ok, abbiamo finito, possiamo fermarci qui. Se volete fare un saluto a chi vi ascolterà su Rockon.it
Jacopo: Beh allora facciamo una specie di spot musicale.
Federico: Dai tu dillo che io ho pronta qua la chiusura musicale.
Jacopo: Ciao! Siamo i Bastard Sons of Dioniso qui con voi e siamo lieti che ascoltiate…
Federico: Eh ma dillo tu che io ho pronta la chiusura musicale!
Jacopo: …e siamo lieti che stiate ascoltando Rockon!

La chiusura? Beh, la potete sentire tramite audio 😉

Cresciuta a ovetti Kinder, Nirvana, Distillers, Run Dmc, Beastie Boys, Spice Girls (ebbene sì) e Prodigy. Il segreto per la felicità? Birra e un doppio pedale hc in sottofondo.

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