2015 Warner Music
Da pochissimi giorni in circolazione, il nuovo disco dei Muse, Drones, è accolto con molti interrogativi e sparuti esclamativi; un disco sulla perdita di empatia della società moderna, special modo se la prende sui droni che – fredde macchine di commissione e disumanità – spiano, guardano, svelano e spersonalizzano l’essere umano e la sua vita, dunque un disco dai toni epici e – a loro modo – ossessivamente claustrofobici, tracce prede di paura e insicurezze che girano vorticosamente ma con una volontà nascosta di combatterle e rendere il pianeta sicuro e libero da chi vuole distruggerlo.
Nonostante i nobili proclami, siamo lontanissimi ere dai primi lavori della band inglese, Matthew Bellamy e compari si perdono completamente nel vuoto a rendere di una inevitabile stanca, uno di quei dischi fatti per “otturare” un buco discografico e nulla di più, i toni progressive metallizzati, le incursione elettroniche e le drammaturgie vocali del leader sono oramai cose che non smuovono più di tanto, rimangono appese ai ricordi degli esordi.
L’islam, le guerre di potere, demoni qua e demoni la a sguazzare in una mare di citazioni rock pompato sfarzosamente, i frame vocali del Sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket Drill Sergeant o un estratto da un discorso di JF Kennedy JFK, come le scorribande di distorsori che a tratti ricordano le marce sul palco di un Marilyn Manson invasato Psycho, Reapers, The handler, suonano come un riempitivo a tutti i costi non convincono assolutamente.
Con le ballate Revolt o The globalist c’è l’illusione che un qualcosa si stia raddrizzando, forse lo è, ma dopo due giri stereo l’illusione si mostra in tutta la sua interezza, e non rimane altro che spegnere il tutto e pensare ad altro.
Della serie non tutte le ciambelle riescono col buco, ma con le voragini…sì!!
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