Articolo di Simona Ventrella
Gli Okkervil River hanno una storia incredibile, che si intreccia nelle trame di un racconto di Tat’jana Tolstaja, nelle fantasie di due fratelli e nel sogno di un gruppo di amici. Di quel sogno e di quella band l’unico fondatore rimasto è Will Sheff, che ha proseguito sotto il nome di Okkervil River l’opera dil portare in giro il suo ideale di indie rock, dalle forti sfumature folk. Un linguaggio che si è consolidato negli anni e che si delinea attraverso dei tratti inconfondibili, dalla densità delle parole e delle emozioni, alle radici musicali così tradizionali e classiche su cui però si innesta e si aprono aperture impetuose cosi alternative, dal mescolare e coniugare un lato intimista con una vena più viscerale e propulsiva. Un songwriting dedito alla sfumatura, alle stratificazioni, alle complessità apparentemente celate dietro un suono familiare e avvolgente.
Tutto questo è quello che si ritrova ascoltando un live della band, ci si guarda intorno, con fare interrogatorio, con una domanda che risuona nella testa, quante band sto ascoltando? Quanti volti può avere Will Sheff? Bastano solo quattro o cinque pezzi una in fila all’altro per passare dal folk rock alla Connor Oberst, passando per un arrabbiato confessionale da camera da letto, al delicato folk acustico, che ci ricorda un altro grande come Bright Eyes, per poi con un semplice tocco, accendersi per sputare fuori un vero e proprio inno da rock band. Non parliamo di suono derivato, ma proprio di una musicalità veramente sfaccettata che non solo sa quando aumentare il tempo o rallentare il ritmo frenetico, ma può apportare questi cambiamenti quasi senza soluzione di continuità.
Ma facendo un passo indietro, prima di trovarsi di fronte alla fatidica questione è stato bello gustarsi i momenti del live, vedere Will Sheff salire sul palco con la sua band – chitarra solista, batteria e basso – sfoggiando un look Lennon dei primi anni Settanta, giacca lunga, capelli lunghi, barba e obbligatori occhiali con lenti rotonde, prendendo posto dietro una tastiera. e aprire con “Plus One” del 2007 ed iniziare il cammino in questo live con un senso di forte intimità da vero e crudo indie folker, che è continuato con “Estrangement Zone”.
![](https://www.rockon.it/wp-content/uploads/2023/11/will-sheff-1024x576.jpg)
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Una canzone che di per sé contiene il rifiuto di qualsiasi identificazione con lo status di “salvatore”: “Come mai qualcuno così tenero come me dovrebbe rimettere a posto il mondo piegato?”. Il passo successivo è quasi geniale, una costruzione di sequenze narrativa estremamente appropriata, che rimarca ancora di più il concetto. Abbiamo infatti “Okkervil River RIP”, che si sposta quasi impercettibilmente dallo sgangherato folk-rock a una recitazione quasi ipnotica di morti musicali che sono arrivate troppo presto, per proseguire con “Nothig Special e “Black”, decostruita con un semplice accompagnamento di due chitarre acustiche, attenuando la rabbia e l’ardore in una canzone folk lenta e gentile.
Il resto è un crescendo di aperture e giochi di chitarre che si susseguiono con “The Spiral Season” e “Like the Last Time” , a cui fanno eco “Down, Down the Deep River” e “So Come Back, I Am Waiting”. La costruzione di questo live, che mescola brani passati con quelli più recenti uscite nel 2022, è un percorso ricco di spunti e moniti e urla sussurrate che si infilano sottopelle, serpeggiando fino a toccare ed emozionare, con la giusta dose di conforto. E’ tempo di bis e di chiudere in bellezza con l’essenziale “For Real”, un’ondeggiante “John Allyn Smith Sails” e una vittoriosa “No Key, No Plan”.
OKKERVIL RIVER: la scaletta del concerto al Circolo Arci Bellezza
Plus Ones
Estrangement Zone
Okkervil River RIP
Nothing Special
Black
The War Criminal Rises And Speaks
The Spiral Season
Like The Last Time
Down Down The Deep River
So Come Back, I am Waiting
ENCORE:
For Real
John Allyn Smith Sails
No Key, No Plan
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