Se appartenete alla Z-Gen e sentite quella nostalgia dell’adolescenza segnata da MTV, i riff di chitarra distorta e dei Teen Shows, avrete sicuramente la necessità di ascoltare l’ultimo progetto di Diego Caterbetti.
Classe 1997 e in arte Naska, ha realizzato il suo primo album Rebel con uno stile che rievoca il punk rock e il punk pop degli anni 2000, riportando nel 2022 suoni che rientrano nei canoni di band come Blink-182, Green Day e Sum 41.
Lo scenario che ci propone trasmette le stesse vibes con cui è cresciuta la sua generazione, che ha vissuto in Italia il massimo sdoganamento della cultura di massa americana, dalla televisione allo stile di vita.
Si tratta dunque di un album che racchiude i pilastri culturali di quegli anni e non solo, mettendoci di fronte alla sua prospettiva ma anche a quella dei coetanei, che come lui sono cresciuti sognando di vivere la vita dei propri idoli, e hanno cercato almeno una volta nella vita di provare quel sapore.
Inoltre, grazie al team di The Nemesis, l’immaginario rievocato dal disco ha preso forma: è stata ricreata una sorta di confraternita digitale nel Metaverso ispirata al film “American Pie” e al videogioco “Bully”.
Noi di Futura 1993 abbiamo fatto qualche domanda a Naska, leggi cosa ci ha risposto!
Ciao Diego, innanzitutto come stai adesso che è uscito l’album? Dentro di te è cambiato qualcosa rispetto a prima?
Ciao, tutto bene grazie! Un po’ rincoglionito, perché mi sono svegliato tardi, ma tutto ok, ahah!
Non direi troppo, ho la stessa fotta di prima e voglia di spaccare tutto. Magari sono un po’ più rilassato ora che è uscito l’album, ma rilassato, non in vacanza. Sto preparando il tour e ci sarà da divertirsi.
Chi rappresenta Rebel?
Rebel rappresenta il ragazzo che vuole ribellarsi, che vuole divertirsi, che è fuori dagli schemi e che non segue le mode. Il ragazzo che i genitori non vogliono che frequenti, quello maledetto che piace e che un giorno è pronto a spaccare tutto, ma il giorno dopo si fa un esame di coscienza e vorrebbe starsene solo a letto al buio a chiedersi cosa ha sbagliato.
Con le dirette su Twitch hai aperto la tua camera al pubblico e allo stesso modo hai deciso di condividere alcuni aspetti della vita privata, questa scelta ha portato a cambiamenti radicali nella tua quotidianità?
Non proprio dei grandi cambiamenti, io ho sempre lavorato: negozi di abbigliamento, uffici ecc. Sono quindi abituato più o meno da sempre ad avere degli orari e una routine da seguire. Accendere una diretta su twitch per me è al 50% lavoro e al 50% piacere. Forse più piacere che lavoro in fondo, perché parlare con i fan e con la community per me non è proprio un lavoro, ma qualcosa che faccio perché mi piace, li fa entrare ancora di più nella mia vita. Così capiscono che quello che canto non è un personaggio, ma tutto vero, dal lato cazzone a quello triste.
Credi esistano delle differenze tra Diego Caterbetti e Naska, come nei due lati della stessa medaglia?
Assolutamente sì, Diego è il ragazzo timido, spesso anche triste, che pensa troppo; mentre Naska è il punkabbestia che esce, beve e spacca tutto. Per fortuna però vanno molto d’accordo tra di loro, perché si completano come una coppia.
Se non ti fossi trasferito a Milano, pensi che avremmo mai ascoltato questo album?
Non ho mai pensato a questa opzione, da quando avevo 14 anni sapevo che me ne sarei andato di casa il prima possibile per fare musica.
C’è stato qualcosa in particolare che ti ha dato la forza di prendere in mano la tua carriera e indirizzarla verso la strada da indipendente?
Io sono una persona molto insicura, ma sicura al 100% di una sola cosa… ovvero di quello che volevo fare. Ho avuto molte proposte in passato, ma nessuna di queste combaciava con il percorso che mi ero immaginato per me. Certo, non è stato facile, sapevo che sarebbe stata in salita, ma non è mai stata in discesa – quindi ho detto “fanculo, do il mille per mille e mi faccio il culo, ma un giorno mi guarderò alle spalle e mi dirò bravo”.
Ti senti un po’ come il giovane Matt Damon mentre canta “Scotty Doesn’t Know” nel film “Eurotrip”? O come Scott, che nonostante tutto riesce nella sua missione, godendosi un viaggio indimenticabile con i suoi amici?
Ecco, questo è il discorso che vi facevo prima: Naska è sicuramente Matt Damon, mentre Diego è più Scott!
In “Fare Schifo (con Me)” hai scritto: “Tanto ci ricorderanno per questo”, credi basti accettare questo destino o serve anche lavorare su sé stessi?
Con quella frase intendo dire che anche se ci comporteremo bene, ci ricorderanno per lo schifo che abbiamo fatto; quindi, tanto vale fare e schifo e non preoccuparsene più di tanto, perché tanto ci ricorderanno solo per quello. Non si tratta di accettare il destino, ma di girarlo a nostro favore!
Ci racconti di una Polly che non è quella dei Nirvana e non sei nemmeno tu. Cosa ti ha insegnato la sua esperienza?
Io conosco ancora quella Polly, ci sono rimasto in contatto, spesso chiacchieriamo e sento della tristezza nelle sue parole, sapete perché? Perché invece di trovare una sua strada e riuscire a emergere facendo qualcosa che le riusciva, ha cercato una scorciatoia che non l’ha portata a nulla. Cosa mi ha insegnato? Che le scorciatoie servono ad arrivare prima, certo, ma che la differenza la fa chi sceglie di fare la strada più lunga e nel tragitto diventa sempre più bravo a fare quello a cui sta puntando.
Ti sentiresti di dare un consiglio ai giovani emergenti?
Combattete per quello in cui credete: a me dicevano che se non avessi fatto quel talent show o ascoltato quello che mi imponevano di fare, l’anno dopo avrei fatto loro i caffè al bar nel quale lavoravo e avrei continuato a mangiare riso e tonno. Ho mangiato riso e pasta al pomodoro a pranzo e cena per i tre anni seguenti, ma sti cazzi; ora come ora, tornassi indietro, rifiuterei i loro consigli e farei di nuovo le mie scelte. A pranzo oggi c’è la carbonara.
Sei riuscito a creare una sorta di confraternita digitale e successivamente l’hai portata nel Metaverso di Nemesis. Ci racconti com’è nata l’idea?
L’idea è nata grazie al team di The Nemesis: volevamo creare una confraternita per rendere l’immaginario del disco ancora più reale, essendo tutto ispirato ad American Pie, uno dei film preferiti di quando ero piccolo. Sapevo che forse non tutti lo conoscevano, volevo portarli dentro al mio immaginario.
Vedremo presto la copia fisica?
La copia fisica sta arrivando!
Di Antonio Turco