Articolo di Chiara Bernini | Foto di Andrea Ripamonti
Un colpo di fulmine e un rombo di tuono scuotono i presenti. Minacciati dalla cupa tempesta, sullo schermo prendono forma degli immensi grattacieli distrutti dall’inesorabile passare del tempo. Gli uccelli volano alti e lontani, distanti da quell’ambiente così ostile a ogni forma di vita. Sembra di assistere a una scena tratta da un film post-apocalittico, uno di quelli ambientati in una realtà distopica, così apparentemente lontana dalla nostra “vivibile” quotidianità. Eppure…la telecamera si abbassa e lì, intenti a camminare tra le macerie di un mondo senza speranze, ci siamo noi: una massa informe di esseri umani. “Hello, is there anybody in there? Le luci si accendono e Bologna risponde con un boato: questa non è un’esercitazione!
Dopo le quattro date milanesi, ieri sera a Bologna è andata in scena la prima serata di This Is Not a Drill, il nuovo tour mondiale di Roger Waters e soci che si fermerà in terra emiliana per altre due imperdibili repliche il 28 e 29 aprile. Quello che l’ex Pink Floyd sta portando in giro per il mondo è uno spettacolo audace in cui musica, visuals e scenografie estreme lavorano sinergicamente per dare vita a un’esperienza unica e illuminante.
Psichedelico, crudo, feroce ma anche pieno di speranza e soprattutto politico, This Is Not a Drill Tour ha infatti un unico obiettivo: aprire gli occhi di tutti noi – cittadini comuni – di fronte alla grande menzogna rappresentata dal potere che, attraverso la violenza, ci opprime, schiaccia e infine uccide brutalmente.

Si sa, Waters non è nuovo a esibizioni particolarmente impressionanti. Così come è ormai nota la sua assoluta libertà nel dire ciò che pensa. Una cosa è pertanto certa: non è e non sarà affatto la veneranda età di 79 anni a fermarlo, regalandogli anzi quel pizzico di strafottenza in più necessaria a guardare i potenti negli occhi, sfidarli e denunciarli. Che piaccia o meno.
Ed effettivamente prendere parte a un concerto di Roger Waters equivale in un certo senso all’assumere la pillola rossa di Matrix. Quella che ti catapulta nella realtà nuda e cruda. Quella che fa cadere il velo per mostrarti come stanno davvero le cose. “Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più”, recitava Morpheus a un inerme Neo. E noi, ieri sera, proprio come tanti curiosi Keanu Reeves, ci siamo lasciati andare nelle mani di Morpheus-Roger Waters, facendoci aprire gli occhi.
Del resto, anche l’annuncio che riecheggia nel palazzetto bolognese prima dell’inizio dello show, e direttamente rivolto ai suoi contestatori, è più che significativo: “Se siete quel tipo di persona che ‘Amo i Pink Floyd ma non sopporto le posizioni politiche di Roger’, allora potete andare affanculo al bar”. Della serie: entrate a vostro rischio e pericolo.
E cosi, noi piccoli Neo ieri sera abbiamo preso posizione tra le fila della rivoluzione pacifica di Waters. Fatta di musica e parole capaci di ferire tanto quanto le armi d’assalto usate dai facinorosi eserciti intenti a esportare “democrazia” e clamorosamente sbeffeggiati da Roger. Il risultato è dunque un viaggio di quasi due ore dentro il mondo malato in cui viviamo. Quello raccontato da Orwell in 1984 e La fattoria degli animali, opere che per Roger rappresentano autentiche profezie purtroppo avveratesi. Una realtà disumana in cui il disprezzo per la guerra, i droni, la disinformazione e i poteri forti mette lo spettatore davanti alla cruda realtà. Un mondo in cui il popolo è la pedina da eliminare nel perverso gioco dei capitalisti indaffarati ad arricchirsi sulle loro spalle.
Un gioco di smascheramenti continui che ieri sera, unitamente alla musica, è stato possibile anche grazie all’ausilio di un’imponente scenografia. Un palco a 360 gradi, posto al centro dell’Unipol Arena, sormontato da un gigantesco schermo disposto a croce che resterà sospeso sulle teste dei musicisti per tutta la serata. Uno scenario opprimente e angosciante in cui si alterneranno ossessivamente immagini di distruzione e morte, scritte di denuncia e brevi frammenti di quell’umanità di cui noi stessi ci stiamo privando con le nostre mani.

E infatti il primo set della serata, apertosi sulle note della commovente “Comfortably Numb“, entra subito nel vivo con “Another brick in the Wall”. L’Unipol si infiamma, facendo alzare dal pubblico un coro rabbioso che recita le catartiche parole di uno dei brani più celebri della storia della musica. Waters è carico e vuole andare subito al sodo del suo messaggio, infilando una dietro l’altra “The Powers That Be” e “The Bravery of Being Out of Range”. Due brani aggressivi che, senza troppi fronzoli, puntano espressamente il dito contro la violenza repressiva dei politici che governano il mondo, alternando video di innocenti barbaramente uccisi a volti di presidenti USA – tra cui ovviamente Bush e Trump – accusati di crimini di guerra.
Le immagini sono estremamente attuali e viscerali. Scombussolano e destabilizzano il pubblico che viene tranquillizzato con “The Bar”. Un luogo evocativo, così come spiegato dallo stesso Roger ora seduto al piano, in cui l’umanità rimasta in terra si riunisce per conoscersi e confortarsi. Anche il resto della band si raccoglie intimamente attorno al frontman che, nello spazio di serenità appena ritagliato, si concede a un simpatico siparietto. “Non vi preoccupate” dice divertito Roger “questa è acqua”, mostrando la bottiglia da cui sta bevendo, erroneamente scambiata da qualcuno per vino. “Ma chissà – continua – forse più tardi c’è spazio anche per qualcos’altro”. Noi scoppiamo in una risata, applaudiamo e lo incitiamo.
Roger Waters appare davanti ai nostri occhi adoranti come un pezzo di storia vivente. Sul palco parla poco italiano ma si giostra meravigliosamente tra pianoforte, chitarre e bassi, girando senza sosta sul gigantesco palco circolare. Nonostante l’età, è ancora in ottima forma: la voce è impeccabile e l’intatto spirito battagliero dimostra la lucidità con cui l’ex Pink Floyd affronta presente, passato e futuro.
Proprio il passato è protagonista della successiva “Wish you Were Here”, con cui Waters fa un salto indietro nel tempo. Ricorda affettuosamente il defunto Syd Barrett e ripercorre il momento decisivo in cui lui e l’amico decisero il loro futuro. “Decidemmo che, una volta al college a Londra, saremmo stati in una band… Il resto è storia”. L’Unipol si stringe così in un caloroso abbraccio mentre, sugli schermi, scorrono immagini di repertorio dei Pink Floyd. Le persone si abbracciano, c’è chi si commuove e chi canta a squarciagola. È probabilmente il momento più toccante della serata, quello che sai che ti porterai per sempre nel cuore. Soprattutto se dopo parte “Shine On You Crazy Diamond” dove, tra virtuosismi psichedelici, Waters affronta il tema del suo matrimonio.

Dopo la breve parentesi nostalgica, la tagliente “Sheep” ci riporta immediatamente “con i piedi per terra”, accompagnata dall’ingresso teatrale di una gigantesca pecora fluttuante che sorvolerà la testa di tutti i presenti. Un brano che ci invita, sullo scorrere di immagini di pecore addestrate a karate, a unirci e a combattere contro le forze oppressive.
Il successivo breve intervallo, che spezza la serata in due set, non smorza certamente i toni di denuncia di Waters che si inaspriscono ulteriormente con “In The Flash” e “Run Like Hell“. La vecchia centrale elettrica londinese di Battersea – su cui sorvolava il famoso maiale gonfiabile di Pigs – è ora sostituita da un minaccioso grattacielo composto da quattro torri che si stagliano sull’Unipol. Una rivisitazione tutta contemporanea su cui ora fluttua un maiale gigante che riporta la scritta: “Rubare ai poveri per dare ai ricchi”. Un restyling che dimostra come i testi dei Pink Floyd non invecchino mai, adattandosi perfettamente all’età in cui si vive. Il tutto mentre Roger si è momentaneamente travestito da dittatore e, impugnando un fucile, spara al pubblico.
La continua accusa al potere prosegue sulle note di “Is This the Life We Really Want?“. Seguita dall’intramontabile “Money“, in cui Waters ci mostra dei maiali ossessionati dal dio denaro. La folle corsa nel diabolico e sanguinario mondo del capitalismo sfrenato è intervallata da pochi segnali di grazia, rappresentati dalle splendide “Deja Vu” e “Us and Them“. E mentre riecheggiano le loro melodie, si riflettono scritte a caratteri cubitali in cui si manda al diavolo la guerra, auspicando un trionfo dei diritti umani di trans, palestinesi, rifugiati e di chiunque ne sia tutt’ora privato.

Giunti quasi alla conclusione della serata, tra il pubblico si inizia ad alzare qualche perplessità sull’assenza di brani celebri quali “Time”, “Mother” e “Pigs“. Ma i più dubbiosi vengono subito accontentati con “Brain Damage” ed “Eclipse“. Una combo da brividi anche grazie allo straordinario gioco di luci che genera una serie di triangoli attraverso cui si staglia un arcobaleno. Un’esplicita rievocazione della mitica copertina di Dark Side of The Moon.
Prima di salutarci, Roger non vuole lasciarci nell’oblio sconfortante dell’ultima strofa di Eclipse che recita: “Everyhting under the sun is in tune, but the sun is eclipsed by the moon”. Ci riporta quindi nel suo adorato “The Bar”, addolcendo il saluto finale con un bicchierino di Mezcal, finalmente stappato e condiviso con il resto della band. “Voglio ringraziare tre persone – esclama l’artista -: Bob Dylan. Mia moglie Camilla, la persona più empatica che conosca. E il mio caro fratello John, scomparso l’anno scorso”.
Il pubblico si esalta e Waters si commuove per il sentito affetto. Si alza e si esibisce un’ultima volta, rivelando di avere in serbo ancora energie per altre due ore di musica. Poi, con con un dolce sorriso, scende dal palco, allontanandosi. Noi lo applaudiamo e lui, in cuor suo, è sicuro di tornare a casa consapevole di aver raggiunto il suo obiettivo anche nella città emiliana: aprirci gli occhi, spaventarci, soprenderci e farci innamorare.
Ieri sera Roger Waters ha portato la rivoluzione a Bologna. E Bologna – che proprio ieri festeggiava i 78 anni dalla liberazione delle truppe nazi-fasciste – ha risposto a gran voce, riconfermandosi la città in prima linea nella difesa del diritto di vivere, amare e pensare liberamente contro ogni forma di violenza.
In un mondo che sembra sempre più lontano dal cambiamento e specialmente dall’umanità, ieri sera Roger Waters e Bologna – in una sorta di congiuntura astrale magica – ci hanno donato quel briciolo di speranza necessario per poter proseguire la nostra lotta quotidiana.
Clicca qui per vedere le foto di Roger Waters in concerto a Milano o sfoglia la gallery qui sotto
ROGER WATERS live – La scaletta del concerto a Bologna
Set 1
Comfortably Numb
The Happiest Days of Our Lives
Another Brick in the Wall, Part 2
Another Brick in the Wall, Part 3
The Powers That Be
The Bravery of Being Out of Range
The Bar
Have a Cigar
Wish You Were Here
Shine On You Crazy Diamond (Parts VI-VII, V)
Sheep
Set 2
In the Flesh
Run Like Hell
Déjà Vu
Déjà Vu (Reprise)
Is This the Life We Really Want?
Money
Us and Them
Any Colour You Like
Brain Damage
Eclipse
Encore:
Two Suns in the Sunset
The Bar (Reprise)
Outside the Wall

Lorenzo
22/04/2023 at 12:47
Complimenti, articolo meraviglioso
NUBOLONI ROSSANA
22/04/2023 at 23:29
Ieri sera ho vissuto per la terza volta l’enorme emozione di assistere a un concerto di Waters: 2013 Roma, 2018 e 2923 Bologna. Grandiosa performance del vecchio leone mai domo.
Unico grande neo è aver usato violenza a due pilastri Floydiani: COMFORTABLY NUMB e SHINE ON YOU CRAZY DIAMOND, quest’ultima decapitandola
Claudio
29/04/2023 at 10:19
Complimenti per l’articolo. Ieri c’ero anch’io e non posso che sottoscrivere tutto ciò che hai scritto.
La nuova versione di confortable numb, che avevo visto in video ma non mi aveva entusiasmato, dal vivo è stata pazzesca. Bellissima. Un grande Roger Waters.
Tiziana
29/04/2023 at 15:57
Visto Roger a Lucca nel 2018 e ieri sera 28 aprile 2023 a Bologna. Concerti magici, entrambi, fortemente politico il secondo, molto coinvolgente. Dal punto di vista del suono, a mio avviso, l’Unipol arena è un disastro, distorce il suono. Preferisco di gran lunga lo spazio aperto come a Lucca.