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Black Country, New Road: la strada è arrivare a destinazione

Con il live al Magnolia, la band inglese mostra che a volte non ci accorgiamo che siamo arrivati a una nostra destinazione; solo, non è quella a cui pensavamo prima di partire.

Articolo di Alessandro Cebrian Cobos | Foto di Roberto Finizio

Non si capisce veramente la musica dei Black Country, New Road se non li si posiziona all’incrocio tra una certa mestizia ostinata, un po’ spigolosa, e una leggerezza serafica e ironica. È da questo contrasto apparente che nascono le loro canzoni complesse e genuine; i loro testi allusivi e difficili da decifrare, che pure riescono ad avere la stessa capacità narrativa di un brano di un musical. Sembra ogni volta di ascoltare un racconto messo in musica, lo spaccato di una vita con le sue emozioni contraddittorie.

Insomma, non c’è da stranirsi, ma solo da ridere insieme a loro, quando dalle casse parte You Give Love A Bad Name e i sei entrano sul palco piccolo del Circolo Magnolia. Stanno un po’ stretti, e anche noi tra il pubblico: non si è ancora fatta sera e si sente tutta l’afa di luglio. Qualche colpo alla grancassa e qualche nota di soundcheck, poi Bon Jovi sfuma e dal sax di Lewis Evans risuona la sghemba melodia iniziale di Up Song.

È un’apertura perfetta, che gioca con le dinamiche, mischia la melodia cantata dalla bassista Tyler Hyde con momenti d’insieme incalzanti, dal ritmo quasi punk. E poi il pubblico si unisce in coro: “Look at what we did together, BC,NR friends forever”. È emozionante partire già con questa carica.

Soprattutto perché non si può ignorare il riferimento di questo ritornello epico all’ex frontman Isaac Wood, che a febbraio dell’anno scorso ha lasciato il gruppo pochi giorni prima della pubblicazione del loro secondo album, per dedicarsi al proprio benessere psicologico. Difficile per chiunque vedere un amico che affronta questo tipo di sfide personali; un duro colpo per qualunque band perdere uno dei suoi autori principali.

Eppure la risposta dei BC,NR è stata di mettere da parte il repertorio di Ants from Up There, che li avrebbe dovuti accompagnare nei mesi successivi, e ripartire da zero scrivendo brani nuovi: impossibile portare sul palco i pezzi dell’album senza Wood.

Invece hanno sperimentato delle nuove modalità, evidenziando gli aspetti più melodici e concertati della loro musica, ed alternando il ruolo di voce principale tra Evans, Hyde, e la pianista May Kershaw.

Una scommessa impegnativa, che ha dato i suoi frutti: prima nella ripresa del tour, che li ha portati a partecipare ad alcuni festival, tra gli altri al Primavera Sound, al TOdays (qui il nostro report) e quest’anno a Glastonbury. E poi in una registrazione dal vivo ufficiale delle nuove canzoni, che è diventata anche un album live.

Questo piccolo tour in Italia (il primo, quattro date in quattro giorni) è parte dell’ultima fase di questa scommessa, quella in cui il repertorio è ormai consolidato e fa parte della nuova identità della band. Anzi compaiono un paio di brani debuttati giusto pochi mesi fa durante le date giapponesi che con ogni probabilità saranno inclusi nel terzo, scontatamente attesissimo album.

È calato il sole e Hyde canta “I will always want you, even though we know the time’s not right”. Eccola, la mestizia ironica: vorresti crederci, ma lo sai che non é vero, non ti ama veramente. Evans intona l’apertissima Across the Pond Friend, dedicata ad un’amicizia d’oltreoceano, profonda e lontana. Eccola, la leggerezza malinconica. E quando Kershaw si mette a nudo nelle sue insicurezze (“Don’t waste your pearls on me, I’m only a pig”), è liberatorio sentire il pubblico ripeterlo con lei. Si alza un filo di vento, e respiriamo.

Certo, è faticoso camminare in equilibrio tra l’emozione e la tecnica; è difficile evitare il virtuosismo fine a se stesso ed è facile scadere nel sentimentalismo. Non succede mai nessuna delle due cose: anche i tempi dispari di Nancy Tries to Take The Night suonano assolutamente necessari, e ci coinvolgono tanto da farci battere le mani a tempo; mentre la lunga ed ostinata coda di Turbines / Pigs non è stucchevole, semmai catartica.

Aggiungici alcuni problemi di audio che rendono loro difficile sentirsi in cuffia, aggiungici il caldo, arrivano alla fine di Dancers veramente spossati. Luke Mark abbraccia la sua chitarra e guarda Kershaw, Georgia Ellery e Charlie Wayne, che si fanno carico di accompagnare con piano, violino e batteria l’ultimo reprise di Up Song. Dopodiché, buio.

Sorridono, i Black Country, New Road, un po’ beffardi, dopo aver suonato le canzoni che non pensavano avrebbero dovuto scrivere. Quelle che dovevano rappresentare un momento di transizione, e invece più le ascolto più li sento a loro agio in questo nuovo momento. A volte nella vita succede anche questo: si pensa di essere ancora in cammino, e poi ci si rende conto che a una qualche meta, almeno per il momento, si è arrivati.

Clicca qui per vedere le foto dei Black Country, New Road in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)

Black Country New Road

BLACK COUNTRY, NEW ROAD: la setlist del concerto di Milano

Up Song
The Boy
24/7 365 British Summer Time
I Won’t Always Love You
Across the Pond Friend
Laughing Song
Nancy Tries To Take The Night
Turbines / Pigs
Dancers
Up Song (Reprise)

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