Ad un anno di distanza dall’uscita del suo quarto album “A casa tutto bene” e a soli pochi giorni dal riconoscimento del premio Amnesty International al brano “l’uomo nero”, il cantautore calabrese – all’anagrafe Dario Brunori – arriva a Gran Teatro Geox di Padova con “Brunori nei teatri”, un tour particolare e decisamente apprezzato dal pubblico, dati i primi riscontri: sette date sold-out e tre repliche a Roma, Firenze e Milano.
È una recensione per me complessa da scrivere, come lo spettacolo di cui parliamo, del resto. Perché andare a vedere “Brunori nei teatri” vuol dire anche un po’ mettersi in discussione. Pensate di canticchiare Lamezia-Milano con le manine alzate? Invece no, o almeno, non solo. Un po’concerto, un po’ monologo, un po’ manuale di auto-analisi. Lo scrivo ridendo, ma il concetto è serio: Brunori propone una formula densa di contenuti eppure squisitamente leggera.
Nonostante il contesto del teatro possa sembrare dispersivo, l’atmosfera si percepisce come intima, accogliente: la scena è molto curata, le luci e i musicisti – che ho molto apprezzato – si muovono in sincronia alle emozioni del pubblico. La scelta dei brani segue la struttura dei monologhi, attingendo a successi più e meno recenti. In questo contesto ogni brano sembra assumere un senso più completo, un gusto rinnovato. Tanto che la parte musicale e quella teatrale si integrano alla perfezione, anzi si completano, senza cadere nella banalità.
Brunori è un giusto mix di ironia, profondità e genuinità. Dal punto di vista musicale si conferma come cantautore degno di nota e per di più, in questa veste svela doti da intrattenitore.
Il tema del tour è “Canzoni e monologhi sull’incertezza”. Nelle due ore di spettacolo l’artista affronta le sfaccettature dell’incertezza, passando dalla paura dell’ignoto alle perplessità nei confronti delle cose quotidiane, come la tecnologia, il cibo, i luoghi che nella nostra immaginazione diventano terribili solo perché ne abbiamo sentito parlare in qualche brutta storia al telegiornale. Ma anche parla della la paura di crescere, di abbandonare le certezze, la diffidenza naturale nei confronti di ciò che è diverso… che poi, seduto su quella poltrona, ti rendi conto che seppure diversi, siamo un po’ tutti vittime degli stessi schemi mentali!
Insomma, Brunori percorre un viaggio nell’incertezza dell’uomo contemporaneo, cresciuto nell’educazione solida e “statica” dei decenni passati e che ora deve fare i conti con un mondo “liquido” (n.d.r. il riferimento è alla teoria della società liquida del sociologo Bauman), che muta veloce i punti di riferimento e non spiega a nessuno come stare a galla.
La soluzione qual è? Restare fermi ed essere prudenti? Buttarsi ad occhi chiusi e rischiare di essere felice? Di una cosa Brunori è certo: vale la pena rifletterci.
Io anche, a questo punto, sono certa di una cosa: quello di Brunori, è uno spettacolo che vale la pena vedere. Un’esperienza in cui tuffarsi senza alcuna incertezza.
Intanto, Brunori si prepara a vestire nuovi panni: quelli del conduttore. Infatti, il 6 aprile, in seconda serata su Rai Tre, andrà in onda “Brunori Sa”, un programma televisivo che quasi rafforza il progetto in scena nei teatri: “un viaggio nel Paese fatto d’incontri, luoghi, parole e musica, sempre in bilico tra leggerezza pensosa, autoironia, sano ottimismo e amaro disincanto” ovvero cinque puntate fatte di immagini e racconti, mirati a delineare un ritratto generazionale e della società attuale.