“Ferrara sotto le stelle”: 6 Giugno, i Pixies
“I was trying to write the ultimate pop song. I was basically trying to rip off the Pixies. I have to admit it [smiles]. When I heard the Pixies for the first time, I connected with that band so heavily I should have been in that band — or at least in a Pixies cover band. We used their sense of dynamics, being soft and quiet and then loud and hard.”
Questa è una citazione di Kurt Cobain. Non mi piace citare gli altri ma sono ancora così emozionata, assuefatta, incredula dello spettacolo a cui ho potuto assistere che credo che nulla possa definire meglio i Pixies di questa citazione. Perché non stiamo parlando della rock band sfigata che passa mtv a tutte le ore. Non stiamo parlando dello scontanto- pseudo- intellettuale ed arrogante alternative rock italiano. Stiamo parlando di una delle band più importanti ed influenti della storia della musica. Stiamo parlando di arte. Di emozioni. Di cambiamenti. Perché, 20 anni fa, la musica l’hanno cambiata per davvero. 20 anni. Sono passati 20 anni dall’uscita di Doolittle. Eppure, quelle canzoni riescono ancora a lasciare un segno in che le ascolta.

Pixies
Ma veniamo a noi: il 6 giugno, all’interno della rassegna “Ferrara sotto le stelle”, si è tenuta l’unica data italiana del tour mondiale dei Pixies, atto per l’appunto a celebrare il ventennale di Doolittle. Credo di aver passato gli ultimi 6 mesi a fare il conto alla rovescia, rendendo partecipi coinquilini, nonna, cane, le cassiere della coop: sì, perché erano passati 6 anni, 6 anni dalla loro ultima esibizione in Italia e io, ai tempi, ero troppo piccola e con me, tante altre persone. Quindi potete capire che, quando ho saputo che avrebbero suonato, mi è tipo venuto un infarto. Così, sono partita 7 ore prima dell’inizio del concerto per la volta di Rovigo, per poi dirigermi verso Ferrara. Chi era presente immagino avrà avuto i miei stessi problemi a trovare un parcheggio, con l’ansia di arrivare tardi (in realtà mancavano 2 ore all’apertura dei cancelli, ma io sono apprensiva e devo avere sempre la situazione sotto controllo). Ed eccomi arrivare in piazza, una fila che non finiva più, la guardia di finanza che è arrivata a chiedere cosa stesse succedendo. Cosa vuoi che stia succedendo, suonano i Pixies, no? “Ah.”.
Con il cuore in gola e l’ansia a mille, sono entrata e , data la mia bassa statura, mi sono subito diretta verso le transenne, per poter stare davanti e vedere qualcosa. A parte il fatto che stimo tantissimo i due genitori che hanno portato i loro bambini, che avranno avuto al massimo 4 e 8 anni (e sapevano le canzoni quasi più di tanta altra gente), il pubblico era abbastanza eterogeneo: si passava dal quarantenne nostalgico, dalla quindicenne fighetta, al metallaro solitario, al punkettone con la cresta. E, che cazzo, sono i Pixies! Mettono tutti d’accordo.
E fu così che, dopo 3 ore in piedi spiaccicata contro le braccia sudate di quelli più alti di me, finalmente ho potuto iniziare a cantare, saltare e ballare perché, anche se si può far fatica a credere, dato che sono un gruppo di 50enni non troppo in peso forma, non hanno lasciato un solo secondo di respiro, iniziando subito con dei pezzi velocissimi, infilati uno dietro l’altro ed accompagnati da una grandiosa scenografia di luci e colori, le cui protagoniste erano delle sfere giganti made in IKEA. Grandioso il momento in cui si sono susseguite Monkeys gone to heaven, Hey e Gouge away. Le mie corde vocali ringraziano.
Che cosa di può dire di loro? Dei veri animali da palco, suoni nitidissimi, voci pazzesche, Black Francis che non si è mai scomposto, ha infilato un brano dopo l’altro, hanno ripercorso tutta la discografia, concedendosi anche alcuni brani da Trompe Le Monde, il loro ultimo album del ’91 e la bellissima Winterlong di Neil Young.
Però, c’è un però. In un momento di esaltazione e comunicazione sinaptica tra il pubblico e la band, proprio quando la mia anima era lì lì per uscire dal corpo e raggiungere il nirvana da quanto stavo urlando, esce sul palco un tale Pietro e dice che, a causa di problemi di sicurezza, se tutti non fanno un passo indietro, sarà necessario sospendere il concerto. Ah, e ovviamente, dobbiamo cercare di non spingerci. Sì, vai tra! Siamo in 568365984653mila in una piazza e tu pretendi che facciamo un passo indietro e non ci spingiamo. La prossima volta esci e cerca il bosone di Higgs tra la folla, già che ci sei.
Nel frattempo Kim credo abbia raccontato una barzelletta, io ero impegnata a urlare di far finta di fare un passo indietro per poter sentire cosa dicesse. Mi era scesa davvero un sacco. Ma, da grandi artisti che sono, hanno salvato la situazione, affidando la ripresa a brani storici, come Is she weird, Wave of mutilation e Tame (con cui ho fatto quasi scappare la folla davanti a me, in quanto l’ho urlata tutta in growl). Ma è soprattutto con Vamos e Isla de encanta che hanno ristabilito una connessione mistica e spirituale con la folla, facendo saltare, ballare e cantare tutti. Io ero sconvolta dalla bravura, dalla precisione, dal tutto, cazzo. Sono dei mostri, dei fottuti mostri.
Hanno poi ovviamente fatto la finta di andarsene, per poi tornare con due brani unici, favolosi, indiscutibili: Where is my mind, eseguita da far venire la pelle d’oca, ancora più bella ed intima di quanto possiate mai immaginare su disco; ed Here comes your man, un degno finale per un grandioso concerto.
I Pixies se ne vanno, ma il pubblico rimane lì, felice, sudato, senza fiato e senza voce.
Chi è rimasto un po’ di più nella piazza, come me, ha avuto la fortuna di incontrare Kim che, sorridente, ha fatto foto ed ha autografato i biglietti a tutti.
“Questa è la nostra prima volta a Ferrara”, ha ripetuto ridendo dopo ogni canzone. Spero che ci sia anche una seconda.
