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Musica

Intervista ai GOGOL BORDELLO: Eugene Hütz “Grazie Mamma Italia per Roy Paci”

La carovana gipsy dei Gogol Bordello tornerà in Italia il prossimo 02 dicembre al Live Music Club di Trezzo sull’Adda (MI). Special guest della serata per scaldare il pubblico, i newyorkesi Lucky Chops, diventati celebri sul web con milioni di visualizzazioni sul loro canale Youtube.

Il 2 dicembre i fan dei Gogol Bordello potranno apprezzare dal vivo i brani più celebri e storici della band così come gli ultimi pezzi estratti dal settimo album “Seekers and Finders”, uscito lo scorso 25 agosto e prodotto dal frontman Eugene Hütz. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a New York per un’intervista in cui ci ha raccontato che cosa rappresenta il nuovo album per il gruppo, del rapporto con l’Italia, del lavoro che sta dietro alle loro esibizioni apparentemente improvvisate, del duetto con Regina Spektor e del legame fortissimo con un artista di casa nostra: Roy Paci.

“Seekers and Finders” cosa rappresenta per la vostra band?
Ogni album non ha nulla a che vedere con quelli precedenti, ogni album viene concepito come un nuovo mondo sonoro. Il suono che abbiamo raggiunto in “Seekers and Finders” è totalmente diverso da quello di 5 anni fa, rappresenta l’evoluzione della nostra band. Per quanto mi riguarda quest’album è monumentale, è il risultato di un lungo lavoro in cui abbiamo investito molta energia e concentrazione.

Per voi New York è fondamentale, è il luogo in cui vi siete incontrati e dove tutto è iniziato; la città ha avuto un ruolo chiave anche nella creazione di quest’album?
Assolutamente sì, “Seekers and Finders” è stato realizzato a New York di proposito. Per 6 anni ho vissuto in Brasile, a Rio de Janeiro, sono stati anni indimenticabili. Ma New York mi stava chiamando per tornare. New York è una città molto acuta, intelligente, è una città composta, ha il controllo, e fa sì anche tu finisci con il diventare così. È il posto giusto in cui recarsi per fermarsi mettere insieme tutto ciò che si è creato, dandogli una forma. È la città dove milioni di persone sono insieme, lavorano e creano energia, contagiandoti.

“Seekers and Finders” segna la tua prima esperienza come produttore: com’è stato?
In realtà non è stata proprio la mia primissima volta come produttore, ho sempre almeno co-prodotto i nostri lavori, ho sempre avuto il controllo su di essi, sul nostro processo creativo. Amo la collaborazione, anche se il modo in cui collaboro è un po’ particolare, ho sempre bisogno di partecipare attivamente in prima persona. Inizio io scrivendo la canzone, poi invito tutti ad esprimere loro stessi attraverso di essa, e hanno un’influenza incredibile sull’impatto finale del pezzo. Poi raccolgo tutto questo, tutti i substrati che si creano, e in seguito li affino, li scolpisco. Per quanto riguarda “Seekers and Finders”, stavolta ho scolpito i substrati con particolare precisione. Sono un animale notturno, e questo processo l’ho portato avanti proprio lavorando fino a notte fonda, ed è forse la parte del lavoro di produttore che mi è piaciuta di più.

In “Saboteur Blues” canti “I think therefore I am no longer rings the bells” (“Penso dunque sono, non suona più così familiare”). Come possiamo fare per smetterla di auto-sabotare le nostre vite?
Si tratta di una canzone molto ambiziosa. Ho cercato di sintetizzare il succo di molte componenti spirituali in un pezzo lungo 3 minuti. Il sabotaggio corrisponde a un disagio psicologico divenuto ormai epidemico, diffuso in tutto il mondo moderno. Il 99,9% delle persone si trovano costantemente in fuga da qualcosa in cui non si riconoscono più, da dove si trovano e da chi sono. Ma questa condizione non è una loro colpa, è qualcosa che hanno ereditato dai loro padri, e che quei padri a loro volta hanno ereditato dai loro padri, ed è sempre stato così, dai tempi in cui Buddha o Cristo sono apparsi. Quello che credo si possa fare è cercare di essere presenti, di vivere il proprio presente, senza scappare. Non è semplice, richiede l’impegno di tutte le proprie energie, ma mi sentirei di consigliare alle persone di impegnarle proprio nell’essere presenti, anziché spenderle nel coltivare l’agonia dell’essere costantemente in ansia, in fuga. Essere presenti, consapevoli, non è una cosa che viene naturale, l’umanità sta vivendo una vera e propria deriva psicotica, e provare a invertire questa rotta è solo il primo passo.

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“Seekers and Finders” include una collaborazione con Regina Spektor per la title-track. Come l’hai coinvolta e com’è stato duettare con lei?
È stato grandioso. La parte più difficile è stata sicuramente quella di selezionare il materiale che volevamo poi utilizzare per dare vita alla canzone. Abbiamo condiviso qualche bottiglia di vino nello studio dei Beastie Boys a New York ed è stato un qualcosa che avremmo forse potuto fare tranquillamente già 10 anni fa, visto che ci conosciamo da tanto tempo, ma è successo solo ora e credo che sia accaduto perché questa era davvero la canzone più giusta per un nostro duetto insieme. Avevo già scritto dei duetti, ma questo in particolare richiedeva la presenza di una donna estremamente forte, in grado di comprendere ed esprimere ciò che si prova a superare il trauma dell’emigrazione, quando cerchi un posto per te stesso in un mondo nuovo. È stato un processo estremamente spontaneo, semplice, qualcosa che sì, in effetti avremmo potuto fare già 10 anni fa! (ride n.d.r.)

Tornerete in Italia a dicembre per suonare al Live Music Club di Trezzo sull’Addda (Milano): vi sentite in qualche modo connessi con il nostro Paese? Tu hai anche passato parte della tua vita qui, cosa ricordi di quel periodo?
Il mio ricordo di quel periodo è stato in realtà sovrascritto da tantissimi altri ricordi, anche più recenti. Conosco molto bene il Paese, non ho assolutamente alcun ricordo “turistico” e la sento come parte integrante di me stesso. Con i Gogol Bordello abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo, dalla Puglia a Trento. Si tratta di un Paese così pittoresco, in grado di ispirare, il cui carattere non sembra essere stato demolito. Si tratta di un luogo con un fortissima personalità ben riconoscibile, che ha resistito ai tentativi di appiattimento in un mondo che inizia a sembrare tutto uguale, in cui le persone fanno tutte le stesse cose, con lo stesso stile.

Sul palco i Gogol Bordello trasmettono un senso di dinamismo e improvvisazione, nel senso positivo del termine. Tutto sembra accadere in maniera spontanea, naturale. In realtà, quanto lavoro c’è dietro? Quanto tempo passate a prepararvi?
La tua osservazione è molto perspicace. La montagna di lavoro che c’è dietro ai live ti farebbe cadere dalla sedia. Il fatto è che la nostra attività la consideriamo davvero come il nostro lavoro, il nostro mestiere, ed è ciò che realmente è alla fine, ma spesso finisce per diventare una vera e propria pressione. Le ore di lavoro sono infinite, un’attività non-stop; la maniera più breve per spiegarlo è dire che ciò che si vede sul palco è come le mosse di Bruce Lee viste sullo schermo. In quel momento stai vedendo un film di Bruce Lee stai guardando un’arte marziale musicale: “Na na na na na!”. Ed effettivamente, anche quando guardi le arti marziali nella vita reale, nei combattimenti reali, si tratta di mosse spontanee, risposte automatiche a degli stimoli; ma perché diventino così spontanee e automatiche, sono state necessarie ore e ore di pratica ed esercizio. Ci vuole una vita intera fatta di disciplina, non nel senso di disciplina atletica eh, ma di rigore, una disciplina artistica e spirituale.

Parlando di “atletica”, è vero che sei stato un fondista? Corri ancora?
Sì lo sono stato, ma non corro più. L’ho fatto dai 6 ai 16 anni, ma ora assolutamente non ce la farei più a dedicarmi alla corsa. Però mi ha dato una base che mi è stata molto utile poi sul palco, sono passato dall’attività della corsa a quella del suonare la batteria a quella dell’esibirmi on stage. Posso dire che la musica, le performance dal vivo, mi fanno sentire vivo, mi fanno sballare così come mi succedeva anche durante le competizioni di atletica, magari non allo stesso modo, ma comunque entrambe le attività come risultato portano allo sballo. Ed è la cosa più bella, credo che l’obiettivo sia quello.

Cosa possiamo aspettarci dalle nuove date del tour? Suonerete gran parte di “Seekers and Finders”?
Sicuramente i nostri tour hanno sempre come intento principale quello di portare i nuovi lavori al pubblico, e anche questo vorrà fargli vivere il nuovo disco, condividendolo dal vivo. Per noi è sempre estremamente prezioso e interessante poter vedere di persona le reazioni della gente alle nuove canzoni, perchè per noi la musica è un continuo processo in divenire. I Gogol Bordello sono come un cubo di Rubik musicale, puoi mettere insieme i vari pezzi in un sacco di modi e combinazioni differenti, è l’idea che abbiamo di noi: di trasformarci ed essere vissuti sempre in modi nuovi e diversi.

Con così tanti album alle spalle e con questo vostro modo di essere in continuo divenire, come scegliete quali pezzi suonare sul palco?
Quasi sempre dipende dal mood del momento, l’umore è proprio la risposta direi.

Ok Eugene, abbiamo finito e…
No invece, aspetta, non abbiamo ancora finito! (ride n.d.r.). Vorrei parlare di una cosa molto importante. Voglio menzionare e ringraziare “Mamma Italia” per averci dato il glorioso e fantastico Roy Paci, con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Un’altra di quelle collaborazioni che porterò nel cuore, perché la canzone fatta con lui (“Il Segreto”, n.d.r.), è in assoluto qualcosa di meraviglioso. Siamo amici da tanto, ci rispettiamo così tanto dal punto di vista sia umano che artistico, e io sono davvero felice di aver potuto lavorare con lui.

Cresciuta a ovetti Kinder, Nirvana, Distillers, Run Dmc, Beastie Boys, Spice Girls (ebbene sì) e Prodigy. Il segreto per la felicità? Birra e un doppio pedale hc in sottofondo.

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