Articolo di Marzia Picciano | Foto di Rossella Mele
Quando ho incontrato Thief, all’anagrafe Antonio Speranzoso, giovane rapper (’95) di Varese, al bar Rondó di Milano, zona viale Monza (o meglio, la zona “in” di Viale Monza, NoLo), lui era alla release del brano Quanto Vale con Claver Gold (Honiro Label, dicembre 2024), io sapevo ben poco di rap italiano se non i key messages ripetuti a mo’ di payoff quasi nostalgico su giornali e IG (sintetizzabili in: ormai c’é solo la trap, nessuno fa più rap) che facevano da contraltare al da poco uscito É FINITA LA PACE di Marracash (e gli stessi payoff gridavano al salvatore del genere) e alla surreale debacle sul concerto di Capodanno di Roma tra Tony Effe e Gualtieri.
(Aperta parentesi: dico surreale non per prendere una posizione tra due fazioni, ma perché di fatto il contesto era decisamente surreale.)

Tutto ció per dire: se ne sapevo poco, arrivavo a confrontarmi con Thief ancora più incerta. Potevo o imparare, o guardare il vuoto. Ma poi, da quella chiacchierata, é passato del tempo. É passato Sanremo, Tony Effe ha tentato di ripulirsi in un’improbabile versione di Califano tatuato e ingioiellato, mentre sul palco si sono presentati Shablo, Gué, Joshua e Tormento con quel pezzo nineties totale che é La Mia Parola (“un pezzo molto radicato, dove venivano soul, RnB, tutti i generi padri dell’RnB”, dice Thief) e quindi anche Neffa che ne ha approfittato per lanciare il suo ritorno. In breve: é successo parecchio, eppure mi sono convinta che in tutto questo marasma di cose belle e brutte si intuisca poco di quello che succede quando si parla di rap.
Paradossalmente, riesco a capire molto meglio Thief dal nostro caffe di Bar Rondó. Per spiegarlo bene devo fare peró parecchi passi indietro, e dare un pó di contesto.
Inquadrare Thief, e Varese
Antonio Thief Speranzoso nasce e cresce (fisicamente, artisticamente) a Varese, dove comincia a farsi conoscere nella scena hip hop varesina non ancora maggiorenne, iniziando a registrare i primi pezzi nel 2011. In quegli anni dice, partecipa alle prime jam, e registra al Late Night Studio di Mocce, “che dovrebbe avere oggi sede a Milano. Quello era un punto di ritrovo abbastanza focale per tutti gli artisti, che comunque veicolavano un po all’interno di quegli anni.” Nel 2020 é uscito il suo primo disco, Licenza Poetica, ma già nel 2014 aveva all’attivo tre release, dove collaborava con tanti nomi, da Michel Metrostars, DJ P-Kut. “Tengo come inizio il 2014 quando pubblicai un mixtape per un sito di allora che insomma non esiste più, Chiavarese Giants. I miei natali musicali sono lì.”
Ha aperto concerti di nomi come OTR, En?gma e Two Fingerz and more. Nel 2018 ha aperto l’unica data italiana del tour europeo di Havoc Of Mobb Deep, sempre a Varese. Insomma, lavora da sempre con quel mondo rap-hip hop che ha come epicentro una città “storica” come dice lui, che non é assolutamente secondario alla scena milanese, anzi. “Una città con una forte centralità, ha avuto una forte influenza sul sul pop italiano in generale, quindi con gruppi storici come OTR, Sottotono, etc.”
Un luogo con una forte comunità, comunque. “In quegli anni si, poi piano piano la cosa si é evoluta. Ora ci sono ci sono diverse realtà, forse non come allora, ma allo stesso tempo attive. Ci sono collettivi nuovi da un punto di vista di serate ed eventi. La cosa si é un attimino calmierata durante il post pandemia, come in tutti i campi lavorativi in generale, però mantiene ancora una certa identità.”

Thief ha sempre avuto l’attitudine di scrivere. “Suonavo la batteria, quindi mi sono un po aggiustato questa unione tra ritmo, perché fondamentalmente la batteria é ritmo, e le parole, attraverso la rima in particolare, insomma trovavo il giusto connubio nel rap. Perciò avevo queste questi due focus, all’interno di un solo contenitore che era il rap.” Una scelta stilistica naturale, anche per il vissuto sociale. “Rappresentava per noi una possibilità di esprimerci, venendo da una provincia. Perché Varese é il centro, però io vengo da Malnate, che é a pochi passi. Insomma raccoglieva anche un pó le voci della della provincia.”
Provincia maledetta, o benedetta
Il concetto e il contesto di provincia hanno un ruolo non secondario per Thief. “Frequentando più Milano mi rendo conto che, seppure magari in linea d’aria, non siamo così distanti, sicuramente in life-style, nelle possibilità, ma anche proprio le vibrazioni della della gente sono diverse. La provincia resta un po più nascosta e stimola l’espressione.”
Non un concetto nuovo, fa non scontato per fare rap. “Sei stimolato a guardarti dentro, perché comunque quello che vedi fuori è sempre lo stesso scenario. Io lo faccio praticamente ogni giorno. Vengo da da un background di famiglie operaie. Dove vivo io lo chiamiamo dormitorio: é fondamentalmente popolato da frontalieri che lavorano in Svizzera, quindi tendenzialmente il vissuto del paese é dormire, svegliarsi, produrre, andare e tornare da un altro Paese… il vissuto della della della città é praticamente nulla: alle 10 é il deserto. Questa routine abbastanza rigida ti costringe a guardarti bene.”
Lo dimostra nel pezzo con Claver Gold. Quanto Vale parla proprio nell’autolesionismo inculcato nell’io di chi affronta questa noia, quando cerca di uscirne fuori privilegiando l’apparire spesso qualcosa che non si é. “Nel pezzo affronto questo concetto parlando di di fogna, proprio per un discorso di dinamica: é come se fossimo inghiottiti. Quindi la noia è uno dei problemi. C’è un tessuto sociale, nonostante siamo appunto una realtà relativamente piccola, ed è un tessuto sociale molto slanciato, non sfilacciato. Ragazzini e generazioni dopo fanno grosso modo le stesse cose che facevamo noi, con forse una componente di noia e repressione, oserei dire, anche maggiore.”
Parlare del rap, prima e dopo
Come é arrivato Thief a questa collaborazione, che interpretazione dare a questo sforzo?
“Con molta, molta voglia di sbattersi, sicuramente di esserci, perché alla fine il concetto che é il comune denominatore della cultura hip hop é “be there, or be squared”. Esserci o non esistere, fondamentalmente un po riprendendo la storia pionieristica di New York, dove banalmente i ragazzi del Bronx, uno dei del Queens o di Harlem, già solo scrivendo il loro nome su un treno che andava in centro a New York era un po come uscire, quindi andare sotto le luci della città, quindi trovare un’identità”, ammettendo di averlo messo qualche nome sui Trenord anche lui, del resto. Ma non era la sua strada.

Se guardiamo a questo e alla coscienza forte che nel lavoro di Thief c’é in quello che fa, viene quasi naturale fare un paragone con l’oggi. “Magari un po la differenza tra quello e oggi é che già solo quindici anni fa c’era molta più esigenza di esprimersi che di poi, fondamentalmente, fare carriera. Poi è diventato un business, forse oggi il business più redditizio della musica italiana, dove guardano tutti all’urban, alla trap in generale. Però prima era veramente un codice.”
Perché é il business più redditizio? “Sicuramente perché è accessibile un po a tutti, e questa é la parte positiva. Alla fine in America è un ragazzo afro-latino che si stampava un disco da solo, che magari metteva su con due piastre o piuttosto che due giradischi in casa, tagliava dei loop di James Brown o Miles Davis, che so, e da quello creava una base dove potersi esprimere nel con gli scratch, con le parole.” Stessa cosa per i graffiti, la break dance etc. “È molto accessibile, permette veramente a tutti, anche con pochi mezzi, oggi ancora di più, di fare, e con un margine di guadagno.”
Potenzialmente infinito? Aggiungerei io. Penso a quello che ascoltiamo oggi, a Sanremo con Gué in gara. O la produzione di pezzi tutti simili. E non necessariamente rap.
“C’è anche un discorso imprenditoriale, da quello che vedo io. Nel senso: il mercato musicale é in crisi, un po come l’editoria e altri settori. Quindi per assumersi meno rischi, si trova un pó la soluzione nel dirsi: Ok, che cosa funziona? Non c’è nulla di male, anche Picasso copiava. Però poi devi essere bravo a non far sentire questa cosa, devi elaborare. Puoi fare la gabbia a uno scrittore per imparare il suo stile, però poi non puoi scrivere male, né esattamente come la Ágota Kristóf. Quella è la tua gabbia, quello il tuo riferimento ma non si non si deve sgamare.”

E poi c’è la trap, e non solo
Un po’ come per la trap? “Si preferisce come sempre rischiare, tra virgolette, su quello che almeno so già che funziona, so già che è un po l’onda, che é la wave trap che abbiamo vissuto in questi 10 anni. Che poi, quando in Italia hanno iniziato ad ascoltare la trap, io mi ero reso conto di ascoltarla sei sette anni prima. Prendi il movimento di Atlanta. T.I. fece proprio un disco, si chiama Trap Musik. Non mi sembra niente di nuovo, anzi di arrivare dopo su qualcosa che già dall’altra parte dell’oceano magari non si ricordano piu.”
Mentre qui funzionano benissimo. “Perché ovviamente c’è chi ci ha messo sopra uno spotlight, la reinterpreta a suo modo, e comunque ha fatto parlare le periferie in questo modo, magari ha inglobato altri stili che potevano essere loro.” Tra appropriazione culturale e hit chart, di fatto si é creata una community. “Mi ricordo lo zarro di allora che andava a ballare in discoteca, mentre noi magari di sabato, andavamo alla gem di turno, stavamo al parchetto, a rappare, a far freestyle e quant’altro. Quindi (il fenomeno della trap nb) ha fatto entrare più utenza, anche lo zarro che andava in discoteca sabato sera si poteva rivedere comunque in un linguaggio che prima magari bistrattava dicendo: ma dove vai con quei pantaloni larghi?”
Per Thief é diventato un fenomeno cosmopolita, più accettabile. Qualcosa che piace e che vende. “Ce lo dobbiamo augurare sempre. Ci dobbiamo curare che quello che facciamo abbia un potenziale, cioè un giornale viene scritto per essere letto, un disco, viene scritto per essere ascoltato. Forse c’é meno ricerca di qualità. Con i social, vediamo come é cambiato il punto di vista. Facciamo le foto in verticale, non in orizzontale perché forse eravamo abituati alla TV. Ma si guarda più alla quantità più che alla qualità perché bisogna sempre esserci, quindi anche a due settimane devi avere il mezzo per uscire.”
Una questione di solitudine
Anche se poi, se si guarda bene a guadagnare sono sempre di meno. E per come oggi si fruisce la musica, per come si ascolta, é sempre più complesso che il sistema cambi, anche se il genere ha allargato la sua platea.
“Forse perché i ragazzi oggi hanno accesso solo alla musica liquida. È semplicemente un mondo più veloce, quindi si fa prima a comprare una scheda audio buona e un microfono buono che magari organizzarsi in gruppo. E ritorniamo al discorso del tessuto sociale. Il problema di oggi é la solitudine. Questo porta le persone a stare più sole. I ragazzi di oggi però avvertono questa cosa ancora di più, e secondo me il problema è un po più ampio, quello della solitudine. La gente si raggruppa di meno, fa meno unione e di conseguenza non si può fare musica insieme. Invece ci sono tante realtà piccole, come dicevo anche prima, che provano a emulare: io ogni ogni giorno ci provo, e vediamo dove arrivo”.
Cosa aspettarci da Thief invece lo sapremo presto. A febbraio é uscito il suo nuovo singolo con video, FIGLI, prodotto da Yazee. E si parla di live in estate. E per il futuro del rap? Per Thief già vedere Tormento e Varese a Sanremo con un pezzo soul funk diverso e molto bello segna quanto sia indelebile la presa sul mainstream. Peró ora bisogna dargli un seguito.

