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Interviste

25 NOVEMBRE 2023. La vita riparte da una donna: intervista a Silvia Redigolo di PANGEA ONLUS.

In occasione del 25 Novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ho incontrato Silvia Redigolo, attivista e responsabile comunicazione di Fondazione Pangea ETS, per parlare di violenza di genere e di come sia possibile coltivare il rispetto e cambiare la cultura del patriarcato, anche attraverso la musica.

Intervista di Serena Lotti

Oggi, in occasione del 25 Novembre, giornata in cui si leva ancora più alto il grido “BASTA!” anche Rockon si stringe fortissimo attorno a tutte le donne che ancora nel 2023 devono difendersi da una cultura sessista e discriminatoria, patriarcale e autocratica.

Abbiamo disperatamente bisogno di muovere un potente e quanto più irreversibile cambiamento culturale, abbiamo l’urgenza di ribaltare tutte quelle teorie medievali, stereotipate e pregiudicanti che offendono le donne, i loro corpi, le loro scelte e le loro azioni. Una ragione del riscatto che passa anche attraverso la lotta alla discriminazione di genere dove la musica si fa promotrice diretta: espressione e ascolto del vissuto prima, veicolo di una nuova visione poi, educativa, inclusiva, rispettosa. Anche noi vogliamo fare la nostra parte e portare questo messaggio più lontano possibile.

Oggi, in Italia, la conta devastante di oltre 100 femminicidi (con 44 minorenni rimasti orfani), quasi 9.000 denunce per stalking. Le violenze sessuali nel 2022 sono state più di 6.000.

Fondazione Pangea, da più di 20 anni lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne vittime di abusi attraverso una rete internazionale che opera in tutto il mondo. Pangea aiuta concretamente donne vittime di violenza sviluppando un percorso che le accompagni a vivere in serenità. A ripartire. Non a caso payoff di Pangea è proprio “La vita riparte da una donna”: le tante donne che hanno trasformato la loro vita e sono uscite da un loop di abusi e discriminazioni e stanno ricostruendosi nuovi percorsi, nuove opportunità, sogni e progetti.

Far ripartire una donna significa far ripartire la società, farla prosperare e renderla migliore.

Ho incontrato Silvia Redigolo, attivista e responsabile comunicazione di Fondazione Pangea che mi ha rilasciato una lunga intervista.

Ciao Silvia, grazie tantissimo per essere qui con Rockon durante questa giornata così importante. Raccontaci di Pangea.

Ciao Serena e grazie a voi, è un piacere. Pangea si occupa di donne vittime di violenza e lavora per il riscattarle economicamente e socialmente, per proteggerle e accompagnarle fuori dalla spirale della violenza. Noi lavoriamo anche all’estero, in Afghanistan ed India, con progetti di sviluppo rivolti alle donne piu discriminate e più povere: attraverso l’indipendenza economica, la consapevolezza dei propri diritti e la formazione professionale possiamo aiutare queste donne a riscattarsi socialmente e far si che possano ricominciare a vivere, diventando un motore per la propria comunità per la propria famiglia. In Italia lavoriamo sulla tematica della violenza di genere (violenza domestica, fisica, economica, psicologica e sessuale): abbiamo uno sportello antiviolenza online e uno sportello fisico attraverso il quale le nostre operatrici antiviolenza (figure altamente professionali) agiscono tempestivamente per portarle in sicurezza, attuando una serie di azioni che salvano la vita di queste donne e permettono loro poi di uscire dalla spirale dell’abuso.

Noi siamo una rivista di musica ma, come fatto anche in passato quando abbiamo intervistato le Bambole Di Pezza, vogliamo alzare il nostro grido fortissimo contro la violenza sulle donne soprattutto in questa giornata così importante e necessaria. Allora ti chiedo. Cosa come società non abbiamo ancora imparato in tantissimi anni di violenze e abusi sulle donne? Non abbiamo ancora maturato una coscienza collettiva?

Purtroppo i problemi sono tanti, le forme di violenza sono tante…ma riconducono spesso a una parola sola: patriarcato. Viviamo in un mondo che è ancora fortemente maschilista e siamo immersi in una cultura incentrata sul maschio. Esiste anche il tema della violenza domestica è che è un termine che a noi non piace perchè racchiude l’abuso tra le quattro mura di casa mentre invece la violenza è un problema la comunità. La violenza di genere è un problema di tutti. Altro problema? L’individualismo. Quando percepiamo che una donna sta vivendo una situazione di violenza di genere tendiamo far finta di nulla, la teoria semplicistica del “non è un affare mio” o peggio “tra moglie e marito non mettere il dito“. Pensiamo che non sia compito nostro intervenire e tendiamo spesso a non cogliere alcuni segnali che una donna abusata sta lanciando. Faccio un esempio…Siamo fuori con un’amica e il suo compagno chiama in continuazione per sapere dove si trova, sta attuando un pericoloso comportamento di controllo. Mia responsabilità è avvertirla che, se ha paura a rientrare in casa o se sente che le sue azioni sono limitate, deve chiedere aiuto. Questi segnali sono indicatori importanti che ci devono fare agire, ma sempe nei margini del rispetto della persona, del suo dolore e dei suoi sentimenti. Consigliare una chiacchierata con un centro antiviolenza o con lo sportello di Pangea è una passo che si può fare per iniziare a cambiare le cose. Dietro questi sportelli ci sono operatrici professioniste ed esperte, capaci di valutare il rischio. Spesso chi sta intorno a queste donne tende a sottovalutare il rischio che quella persona sta correndo, non è in grado di conoscere il potenziale pericolo. Spesso si pensa “Non accadrà nulla di grave” oppure “Esagero nel definirla vittima di violenza“, “Non arriverà mai ad essere uccisa”. Ecco perchè è necessario confrontarsi con uno sportello antiviolenza: un’operatrice è preparata e formata per valutare il rischio e per offrire consigli giusti, il colloquio è un momento di condivisione e di confronto durante il quale la donna non viene obbligata a denunciare e non viene fatto nulla che non sia stato deciso della donna stessa. Il colloquio è il primo passo verso la libertà.

Tu ti occupi di comunicazione, sei responsabile dei Social Media, piattaforma dove siete molto seguite. Pangea ha un’immagine fortissima, sapete comunicare in modo incisivo e diretto anche grazie a collaborazioni con content creator, influencer e agenzie creative molto forti, non a caso cito Riccardo Pirrone, SMM di Taffo e CEO di KiRweb. Vuoi parlarci come la comunicazione digitale e il mondo dei social posso trasformarsi in una strumento a supporto delle donne, per fare arrivare la parola “Noi ci siamo” ancora più velocemente?

Io amo il mio lavoro, per me è passione, amore. Lavorare in comunicazione marketing per Pangea è davvero molto impegnativo, è fondamentale essere sempre aggiornati, seguire i trend, conoscere bene le piattaforme e gli influencer. I social ci permettono di arrivare nei telefoni di tutti, ci permettono di arrivare ovunque. Il 15 Agosto del 2021, il giorno in cui i talebani hanno ripreso il controllo su Kabul, proprio grazie ai social siamo riusciti a salvare le donne afghane.  In quei giorni non c’era nessuno, se non le nostre attiviste sul territorio. Erano i giornalisti che chiamavano noi per sapere cosa stesse accadendo e per restare aggiornati sugli sviluppi della caduta di Kabul. Per oltre 10 giorni abbiamo lavorato giorno e notte facendo da tramite tra le nostre attiviste che erano in Afganistan. Io comunicavo tutto sui social e tutti i telegiornali italiani aprivano le edizioni con le nostre storie. Questo è fare comunicazione, lo abbiamo fatto dal vivo, real time, raccontavamo con grande verità la nostra esperienza e la gente si fidava di noi. In quei giorni ho capito quanto i social sono importanti, quanta forza hanno: senza la nostra pagina Instagram non avremmo mai salvato la vita di quelle ragazze, senza i canali social non avremmo mai aperto un ponte aereo, non avremmo potuto aiutarle.

 Quindi i social media non rappresentano solo il male di questa società, se utilizzati efficacemente possono veramente fare la differenza. In meglio.

Certo. I social possono fare la differenza se riusciamo a portare alle persone tematiche importanti e urgenti, attraverso la sensibilizzazione verso quei temi. Non sai quanto è difficilissimo farlo, devi arrivare a chi non non conosce il problema e devi farlo nel modo giusto, ad esempio fare molta attenzione alle parole si usano in un post. Quel contenuto può essere letto anche da una donna sta vivendo una situazione di violenza, quella stessa donna facilmente andrà anche a leggere i commenti. Dobbiamo comunicare pensando anche al suo dolore, alle sue emozioni ma dobbiamo anche pensare a chi magari non è sensibile alla tematica e invece noi vogliamo lo diventi e che poi ci sostenga. E’ davvero un gioco di equilibrismo. Dopo la storia di Giulia Cecchettin, e dopo il rumore che si è fatto sui social, abbiamo ricevuto tantissime chiamate. In tanti ascoltando la storia di Giulia hanno riconosciuto la storia della loro amica, della loro sorella, della loro collega e hanno chiesto aiuto a Pangea per poterle aiutare nel modo corretto.

Parliamo di Afghanistan.

Non se ne parla più. Pangea sui sui social ne parla ancora, ne parla sempre, siamo uno dei pochi contenitori in cui ancora si parla delle donne in Afghanistan. Dobbiamo farlo e lo dobbiamo fare attraverso i nostri social, è un modo per aggiornare chi si fida di noi e che dona. Parliamo dei nostri progetti, raccontiamo a che punto siamo e quello che faremo. Lo sai che quando andiamo in Afghanistan non possiamo comunicare in tempo reale? Farlo metterebbe a rischio il progetto e gli attivisti, l’unico modo è comunicare tramite il canale Instagram di Pangea.

Torniamo al tema delle richieste d’aiuto: quale è, a livello di richieste, la situazione delle donne straniere, alcune culturalmente vittime di un sistema e una cultura patriarcale difficilissima da estirpare? Denunciano i maltrattamenti?

Questo è uno stereotipo perché la violenza purtroppo è democratica. Se devo fare l’identikit di una donna che vive una situazione di violenza, non è sempre la donna del sud, quella sposata con l’operaio, la casalinga o la donna straniera. Abbiamo richieste di aiuto di mogli di professionisti, imprenditrici, donne che lavorano ad alti vertici delle aziende: anche per loro è difficile chiedere aiuto. Devono esporsi, abbattere l’idea che la gente si è fatta di loro, magari perchè vivono in famiglie ammirate, sono sposate con stimati professionisti. Queste donne hanno paura di non essere credute, eccolo la teoria del “bravo ragazzo”. Quello irreprensibile, insospettabile. Invece bisogna chiedere aiuto, raccontare che non è così, l’abbiamo sentito anche in questi giorni. Certo per le donne straniere è ancora più difficile, perché magari non hanno in Italia una rete di amicizie che può aiutarle, oppure una famiglia che può supportarle, esiste il tema della barriera linguistica. Lo sportello di Pangea, che è attivo in tutta Italia, ha anche uno sportello dedicato alle donne migranti.

Parliamo di educazione: per invertire questa tendenza ci vorrà ovviamente tantissimo tempo e ci vorrà un impegno non solo delle istituzioni ma anche di ognuno di noi. Sarà necessario lavorare sulle nuove generazioni. In questi giorni si è parlato tantissimo di portare a scuola progetti e incontri contro la violenza sulle donne per promuovere l’inclusione e rispetto. Pangea lo fa già. Come rispondono i giovanissimi a questo tema?

Ho fatto e faccio interventi nelle scuole elementari, medie, superiori e università. I ragazzi sono molto preparati, si parla di rispetto, si parla tanto di stereotipi e devo essere sincera: sono veramente molto attenti, in alcuni casi usciamo da questi incontri stupiti in positivo. A volte no. A volte ti capita uno studente, anche un bambino, che afferma che “La violenza psicologica è violenza per cui se io ti denigro ti sto facendo violenza“, poi magari al liceo parli con una ragazza che dice “Se io voglio uscire devo mandare la foto del mio outfit al mio fidanzato in modo che lui possa approvare“. Io mi appello sempre al confronto. Devono essere i ragazzi ad abbattere il pregiudizio, gli adolescenti a quell’età hanno già le prime esperienze affettive. Se il tuo amico ti sta dicendo che non vuole in squadra una femmina perché il calcio è un gioco da maschio digli che è sbagliato. Se fischia per strada una ragazza opponiti, se impedisce alla sua ragazza di uscire contrastalo.

Parliamo di musica. Pensiamo anche alla responsabilità che gli artisti hanno nel diffondere il tema del gender gap. Cristiana Capotondi ha recentemente sollevato il caso delle donne oggetto nella trap. Parliamo di trapper di 18-20 anni che identificano la donna come un oggetto da possedere a loro piacimento, abusando di stereotipi degni dell’epoca medievale.

Il problema è trasversale. Pensa a “Margherita” di Riccardo Cocciante. “Margherita è mia”. Pensiamo “Quello che le donne non dicono” della Mannoia: “Alla fine ti diremo ancora un altro sì“. La musica è sempre stata così, a volte ascolti un brano e dici “Questa canzone è meravigliosa” poi analizzi il testo e resti di sasso. Torniamo alla cultura patriarcale, al fatto che tu uomo pensi di poter comandare il corpo della donna e di poter fare quello che vuoi, vuoi dimostrarti all’altro forte. E’ importante che siano gli artisti a dire quanto siano pericolosi questi messaggi e diffondere attraverso la loro immagine e la loro musica la cultura del rispetto e della non violenza.

Silvia non puoi sfuggire alla mia ultima domanda di rito. Vuoi consigliare tre dischi ai lettori di Rockon?

1- TRUE BLUE di Madonna. Quando eravamo in Afghanistan la mattina ascoltavamo sempre la Isla Bonita: il nostro collega afghano la metteva sempre perchè sua moglie adora questa canzone. In Afghanistan in questo momento non si può ascoltare la musica, appena arrivavamo ai check point spegnevamo però al mattino iniziavamo la giornata con questo brano e voglio ricordarmi di questo importante momento.

2 LA RAGAZZA DEL FUTURO di Cesare Cremonini. Io ho una passione fortissima per Cesare Cremonini. Traducevo la canzone alle ragazze afghane che erano in Italia e che stavano vivendo un momento di difficoltà soprattutto emotiva. Si erano trovate dall’essere ad Agosto in Afghanistan e a Settembre in Italia, vuol dire passare dal medioevo al 2021 nel in giro di poche ore. Il testo è bellissimo, parla di questa ragazza proiettata nel futuro...io vedevo queste ragazze che avevano lasciato il proprio paese e la propria casa, soffrire e piangere. Una sera mentre lavavo i piatti ho detto loro “Adesso vi traduco La ragazza del futuro“. L’immagine della scala mobile che va all’incontrario ha commosso tutte ed era così che io volevo vederle. Proiettate nel futuro.

3 A CASA TUTTO BENE di Brunori SAS. La canzone “La verità” è meravigliosa. Il nostro lavoro è verita, noi ci battiamo per la verità. Verità è quello che vogliamo per tutte le donne vittime di violenza.

Scriveva Alda Merini “Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso, sei un granello di colpa anche agli occhi di Dio, malgrado le tue sante guerre, per l’emancipazione.”

Non vogliamo più essere colpa, non vogliamo più essere carne, non vogliamo più essere uccise.

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Scegli un regalo Pangea per Natale, il tuo gesto cambierà il mondo: il tuo gesto si trasformerà davvero in supporto concreto alle donne e ai bambini che vivono una condizione di violenza perché possano ricostruirsi una vita libera e serena.Per questo un regalo Pangea rende più bello il Natale, perché rende più bello il mondo.

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Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

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