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Interviste

ALEA racconta il suo Mediterraneo. “La mia musica ha le radici nel terreno e le fronde verso l’universo.”

Intervista di Serena Lotti / Foto di copertina Antonio Cofano

Per molti artisti la musica è viaggio, ponte tra culture, linguaggi e suoni. Sicuramente lo è per Alea, al secolo Alessandra Zuccaro, cantautrice, compositrice e musicista brindisina che con “Cummei” suo ultimo album, ha dato vita a un universo sonoro che mescola neo soul, jazz, r’n’b, prog-rock ed elettronica, abbattendo ogni confine stilistico e sperimentando senza paura.

In questa intervista, mi ha raccontato il percorso creativo, l’importanza della libertà artistica e il legame profondo tra musica e attivismo sociale. Presente anche Nio Far, il brano che chiude il cerchio di Cummei con un messaggio di empatia e resistenza, suggestionato anche da un viaggio in Senegal che ha lasciato un segno profondo.

Tra riflessioni sul gender gap nell’industria musicale, il legame con le radici brindisine e milanesi e il desiderio di collaborare con artisti diversi tra loro, Alea mi ha regalato un racconto autentico e appassionato mai privo di ironia e profonde riflessioni sulla vita.

Alea complimenti per il tuo nuovo disco “Cummei” uscito da un anno. Possiamo definirlo un felice meltin pot di neo soul, jazz musica popolare, r’n’b, sperimentazione sonora, più lingue, culture e suggestioni. Hai collaborato anche con Mama Marjas. Raccontaci come è andato il percorso creativo.

Non è mai facile tenere in equilibrio tanti stili, è sempre una grande sfida per un’artista ma è molto più facile essere riconoscibili attraverso influenze che sono tutte collegate tra loro. Parlo di black soul, jazz, rnb: vengono tutti dalla stessa matrice. In questo disco ci sono anche le suggestioni del prog-rock e dell’elettronica. In generale questo disco è stata proprio una dichiarazione: eccomi, sono io, io che abbandono le vecchie sovrastrutture e i muri che avevo eretto intorno a me nel mio precedente modo di produrre un disco.

Dallo scrollarsi di dosso il giudizio degli altri al desiderio fortissimo di fare “come voglio io” tutto è ruotato intorno ad un forte messaggio di libertà espressiva che è il centro di questo disco, la musica poi è venuta da sé.

Sono felice del fatto che questo è stato apprezzato non solo da tutte le persone che mi seguono ma dagli stessi musicisti che collaborano con me: piacevolmente colpiti dal fatto che in questo lavoro fossi totalmente libera. Libera ma allo stesso sempre legata a temi di attivismo sociale e antirazzismo che hanno sempre caratterizzato i miei brani.

Nio Far chiude il cerchio iniziato con “Cummei” ed è un inno all’unione e alla fratellanza, esprime un potente messaggio di empatia, amore, resistenza. Raccontaci la storia c’è dietro alla scelta di scrivere un testo così ricco di immagini e significati universali e simbolici.

Mediterrano è come un libro a capitoli, ognuno è una fase del viaggio, un movimento alla ricerca di noi stessi, è una storia che cambia, cambia sempre. Questo è anche Nio Far e tutto il disco può essere letto come un’emigrazione complessa e faticosa, un viaggio attraverso il Mediterraneo, passando dal deserto con l’unico desiderio di trovare un futuro.  

Mediterraneo è cercare un mondo migliore, partire a qualunque costo, voltarsi indietro e provare nostalgia per la propria terra, tenere forti e ben salde le proprie radici, aprirsi al mondo. Io spero non solo con Nio Far ma con tutto il disco di aver raccontato parte di alcune vite che vivono questi cambiamenti con difficoltà e dolore, a volte per loro il Mediterraneo è una tragica fine non un passaggio.

Nio Far doveva essere nel disco ma è uscita un anno dopo, e rispetto a come l’avevo scritta è completamente cambiata nel corso di quell’anno. Il mio viaggio in Senegal ha contribuito a questo cambiamento. Tutto il viaggio è stato poetico, ho conosciuto persone meravigliose e imparato moltissimo da un paese tanto complesso quanto bellissimo e questa esperienza ha segnato la riscrittura del brano permeandolo anche di qui ricordi, di quei colori e di quei suoni.

Tornando sul tema donne, il gender gap è ormai noto nel mondo della musica, ci sono ancora delle barriere all’ingresso dell’industria musicale italiana da parte delle donne che rappresentano meno del 30% fra gli artisti. La scarsa presenza di donne nella musica riguarda anche le producer, le autrici, le compositrici, le musiciste e le posizioni manageriali. Come si può invertire questa tendenza?

Purtroppo non ho una risposta, conosco moltissime artiste, musiciste, producer e discografiche di altissimo livello e non mi spiego il perchè di queste statistiche. Ti racconto una storia realmente accaduta…una mia amica bassista si presentò sul palco di un festival e il fonico le chiese “Sei la cantante?”…ecco il pregiudizio. Sono donna e quindi posso essere solo corista o cantante nell’immaginario collettivo maschile. Magari sono la direttrice artistica no? C’è un problema di base, ancora prima che nel settore musicale, è insito nella mentalità di molte persone. Quando facevo l’autrice ho subito avances che mi hanno portato a fare un passo indietro, c’è un maschilismo di fondo che purtroppo porta a limitare le possibilità delle donne, porta ad uno scoraggiamento collettivo che mette molte di noi alla porta.

Raccontami del tuo progetto “Statti Cummei – TalKoncerto” in cui fondi musica, storytelling, impegno civile e diritti umani.

Questo è un progetto nato da solo, nel senso che non è stato costruito a priori. Facendo musica ho l’esigenza che la tua musica racconti delle storie che spesso si mischiano anche con l’attivismo sociale ma io non volevo che fosse solo il disco a raccontare queste storie. Quindi ho pensato di costruire un talk e da lì ho avuto la possibilità di intervistare molti ospiti speciali, persone che mi hanno raccontato il proprio viaggio che è non stato sempre e solo il viaggio sul barcone. Ho raccontato diverse storie, c’è chi ha fatto un viaggio pericoloso e complesso e chi invece è arrivato legalmente, sono tante storie e vite diverse e da ognuno di loro ho imparato tantissimo. Molti di loro oggi  vivono in Italia perchè hanno scelto questo paese come casa, sono uomini e donne “che ce l’hanno fatta” e che vogliono usare la loro posizione di privilegio, per supportare coloro che sono in  difficoltà.  

Brindisi e Milano sono due realtà molto diverse. In che modo queste due città hanno influenzato il tuo percorso artistico e personale?

Mi ritengo brindisina doc, la verità è dopo un pò di anni nella mia città iniziavo a sentirmi come un criceto sulla ruota, ho sentito che in Puglia il mio progetto non non girasse come volevo io, non perchè la mia regione non fosse abbastanza aperta per le mie produzioni, piuttosto ero io a voler partire ma arrivata a Milano mi sono sentita sola. In Conservatorio ho conosciuto due grandi amiche (Alessia Marcandalli e Wena) che mi hanno accolta nella loro famiglia e mi hanno fatta sentire a casa, sono state la mia forza nell’affrontare la mia nuova vita.  Quella fase ha influito anche sulla mia visione artistica e sul mio modo di scrivere, è stato un viaggio personale non solo artistico. A Milano mi sono resa conto quanto le mie radici salentine fossero importanti e salde, motivo per il quale ho ripreso a cantare in dialetto cosa che avevo lasciato un pò da parte. Quando si parla di dialetto del Sud si pensa spesso al napoletano, ma c’è molto di più. Il sud ha tantissimi dialetti meravigliosi che sono vere e proprie lingue, amo il fatto che la Puglia abbia dialetti con sfaccettature così diverse e colorate. Per esempio io mi sono cimentata in una versione in brindisino de La Cura per Me di Giorgia e non dimentichiamo la mia Mannaggia Lu Rimu…io voglio portare avanti la mia cultura, la mia storia, è come se mi sentissi un pò una messaggera di un luogo che reputo bellissimo e pieno di gente accogliente. Tornando al discorso sociale Brindisi è famosa per essere tra le città più famose in termini di accoglienza, tutti ricordano la grande migrazione del popolo albanese negli anni 90. I brindisini hanno accolto queste persone nelle loro case, tra le loro  famiglie. Ci tengo a dirlo soprattutto in questo momento storico, mentre siamo spettatori di un’onda di conservatorismo che spinge fuori e non accoglie.

Anche noi in passato siamo stati migranti e dobbiamo oggi essere accoglienti con chi soffre ed è in cerca di un futuro. Per me empatia è la parola più bella del mondo.

Con chi vorresti fare un feat e perchè?

Se potessi pensare in grande farei un featuring con Nai Palm.

E poi Neffa. Lui apprezzò la mia cover di Aspettando il Sole al pianoforte e mi scrisse per complimentarsi.

Mi piacerebbe poi molto una collaborazione con 3 giovani artisti giovani italiani, Idda una cantante siciliana, Ste e Viscardi due artisti napoletani. Tutti e tre cantano in dialetto e portano una cultura del Sud diversa da quella mainstream, raccontano le storie della loro terra e mi piace il fatto che stia tornando questa ondata di giovani che trasportano la musica afroamericana nel loro dialetto.  E’  questa la musica in Italia che mi piace.

Ultima domanda di rito. Vuoi consigliare 3 dischi ai lettori di Rockon?

Journey in Satchidananda di Alice Coltrane. Un viaggione totale. Qui torna il tema delle donne…”Accanto a un grande uomo c’è una grande donna” è una frase tanto criticata, ma nel caso di John ed Alice Coltrane credo sia vera. Del suo cambiamento venne incolpata Alice Coltrane definita la Yoko Ono del jazz, come se lui non fosse capace di intendere e di volere. Lei aveva questa spiritualità immensa e portò Coltrane dentro quel mondo magnetico. Poi dopo che Mccoy Tyner, lo storico pianista di Coltrane se ne andò lei prese il suo posto e poi il resto è storia.

Choose your Weapon di Hiatus Kayote. Il disco della vita, il mio riferimento musicale in assoluto.

Emphatogen di Willow. Una grandissima scoperta. Un disco meraviglioso, lei è fortissima sia vocalmente che musicalmente. Belli i temi, le melodie, i ritmi. Lei è un genio.

Back to Me di Wena. Lei ha un’identità come poche, ma soprattutto Wena è un’artista che trasmette emozioni fortissime.

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Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

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