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Interviste

DITONELLAPIAGA e sperimentazione: l’intervista

I hate being bipolar, it’s awesome” questa è la scritta che troviamo sulla copertina dell’album YE di Kanye West.

La musicista romana Ditonellapiaga non fa hip hop, ma quella frase riflette totalmente la sua musica: prima fredda e distaccata, poi avvolgente e intima, prende emozioni completamente opposte tra di loro per poi unirle e giocarci a ping pong tra una canzone e l’altra. E io – che ho dei lati caratteriali estremamente diversi tra di loro – mi sono sentita subito compresa e apprezzata dai suoi brani.

Ditonellapiaga è Margherita Carducci, una giovane ragazza romana del 1997, che sta portando fluidità, innovazione e beat dance dal 2019.

Abbiamo tante artiste italiane nel pop, ma ci mancano le stesse figure all’interno dell’indie; Ditonellapiaga c’è e si fa sentire. Ha una voce sicura di sé, una consapevolezza artistica, e un’attenzione per i dettagli e i visual che la differenziano da altri artisti, uomini e donne che siano.

Nel 2020 è entrata a far parte di Dischi Belli/BMG Italy, il 5 febbraio 2021 è uscito Spreco di potenziale e quest’anno Ditonellapiaga pubblicherà il suo album di esordio.

Ho parlato con lei di vulnerabilità, di come si è approcciata alla musica, e degli artisti che andrà a vedere dal vivo appena torneranno i concerti.

Ditonellapiaga è un nome bellissimo e buffo in cui mi ritrovo molto: com’è nato e quand’è stata l’ultima volta che hai messo il dito nella piaga? 
Innanzitutto grazie per i complimenti, non sono affatto scontati. Questo nome o lo ami o lo odi, come tutto ciò che ha una componente provocatoria, ma difficilmente passa inosservato, e questo mi fa molto piacere. La scelta è legata al bisogno di rappresentare l’anima ironica che caratterizza una buona parte dei brani e, ovviamente, del mio modo di essere. Nella vita non sono solita infilare il dito nella piaga se non per scherzare, la provocazione è sana se leggera, nel momento in cui diventa aggressiva sono la prima a non tollerarla. 

Quando hai iniziato a fare musica? 
Ho iniziato da piccola, agli scout, munita di chitarra e boschi infiniti nei quali disperdere la mia voce, molto diversa da quella che ho adesso. Al liceo ho avuto la classica lista infinita di band (lasciando le mie doti chitarristiche da parte, per la salute delle orecchie di tutti) e piano piano, non so dire come, ho imparato a cantare. Diciamo che ho imparato facendo, ho studiato troppo poco per poter affermare di averlo fatto, la mia palestra è stato il suonare in gruppo. 

I testi delle tue canzoni sono molto personali, non hai paura di dire ciò che pensi e provi, la vulnerabilità (che a volte può essere umiliante) nei tuoi pezzi è in primo piano. Sei sempre stata così, o riesci ad aprirti al 100% solamente attraverso la musica? 
Non sono mai riuscita ad aprirmi realmente prima dei vent’anni e, purtroppo, credo di avere ancora bisogno di tanto lavoro su me stessa per farlo quanto vorrei. È più facile vivere sulla superficie, senza farsi domande e lasciando semplicemente accadere le cose. A volte bisogna avere il coraggio di scendere in profondità e averne il doppio per mostrare il tesoro sommerso che si è riusciti a scovare, per quanto mostruoso o spaventoso sia. La musica aiuta sicuramente, è il modo che preferisco per farlo, ma mi sento di dire che scrivere un brano non è sempre un’esperienza così intensa e profonda, a volte è semplicemente un puro atto creativo, sano divertimento.

I tuoi video musicali sono incredibilmente aesthetically pleasing, mi ricordano quelli di Jain e Angèle. Quali sono le tue ispirazioni e com’è nato il video di “Parli”? 
L’estetica è importante, sempre, a partire dalla scrittura. Trovo molto difficile scrivere senza un’immagine chiara in mente e credo che i videoclip siano di fatto un’estensione del messaggio della canzone, che sfrutta un linguaggio diverso. L’idea alla base del videoclip di “Parli” era quella di ricreare una sorta di “fabbrica dell’uomo perfetto” (poi diventata un laboratorio per esigenze tecniche ed estetiche), l’importante era evitare una narrazione didascalica e cercare di raccontare il concept in un modo originale e poco scontato. 

Cosa possiamo aspettarci dal tuo album di esordio in uscita quest’anno? 
Tanta schizofrenia. I brani sono molto diversi tra loro, le storie raccontate anche, credo sia un ottimo riassunto di come sono adesso e un perfetto punto di partenza per capire come vorrei diventare e che strade musicali mi piacerebbe esplorare per riuscirci.

Il tuo album uscirà tra poco; quest’anno molto probabilmente non avremo la possibilità di andare a sentire la musica dal vivo. Quali sono i primi artisti che vuoi vedere live, appena si potrà? 
La mancanza dei live è devastante per tutti. Pesa molto non poterli fare ma, per quanto mi riguarda, moltissimo anche non potervi assistere. Prima della pandemia ascoltavo musica dal vivo mediamente una volta a settimana, ovviamente non sto parlando esclusivamente di concerti di mega artisti internazionali, ma in qualche modo sono sempre riuscita a portarmi a casa la mia razione di live music settimanale. Roma da questo punto di vista offre scenari molto interessanti, se sai dove cercare. Gli artisti che mi piacerebbe vedere dal vivo appena si potrà sono tantissimi, tra i nomi imperdibili ci sono: Tyler, The Creator, Billie Eilish (ho già i biglietti per la data di Milano prevista per luglio scorso), Nathy Peluso e un bel live set di Kaytranada.

“Morphina” è il brano perfetto da ballare alle tre del mattino in pista, non a caso ha ricevuto molte attenzioni in un periodo in cui è vietato ballare. Com’è nato? 
In realtà non lo so come sia nato il testo. So solo che mentre ero in treno mi è capitato per caso questo file audio che avevo sempre ignorato di avere memorizzato nel telefono. Ho ascoltato il basso e ho subito avuto la sensazione di doverci scrivere qualcosa sopra. Sono tornata a casa e ho semplicemente scritto ciò che mi comunicavano quelle sonorità.

Qual è il tuo pezzo preferito dell’album? 
Ahia, non si chiede mai a una mamma di scegliere quale figlio preferisca. Premesso che tutti i brani sono importanti, ce n’è uno che per me è proprio troppo speciale: “Come fai”.

di Denise Tshimanga

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