Ragazzi che sperimentano, che abbattono i pregiudizi e che vogliono prendersi il mondo: loro sono i Måneskin, vincitori di Sanremo 2021 e concorrenti italiani per l’Eurovision.
Che non fossero banali l’avevamo già notato ad xFactor, abbiamo avuto la conferma sul palco dell’Ariston, e ci stupiranno ancora di più attraverso il loro album “Teatro d’ira – Vol.1”, in uscita il 19 marzo. I Måneskin sono un fiore all’occhiello per noi italiani non solo per la qualità della loro musica, ma anche per le tematiche che ci portano attraverso i loro pezzi: sessualità, identità di genere, pregiudizi di ogni tipo. Insomma, non sono tematiche che in Italia vengono affrontate tutti i giorni, e il loro nuovo album non è sicuramente quello pieno di ballad romantiche che ci si aspetta dopo un festival come quello di Sanremo.
Noi di Futura 1993 abbiamo avuto l’occasione di sentire qualche canzone in anteprima durante la loro press conference, insieme ad altre testate, e ci hanno rivelato qualcosa in più su tutti i brani, sulle loro collaborazioni – ci hanno svelato un feat importante, quello con i The Struts – e il loro processo creativo.
Ecco quello che ci hanno raccontato durante la conferenza:
Partiamo dal titolo dell’album: cosa significa, perchè l’avete scelto?
Damiano: L’abbiamo scelto per creare contrasto tra teatro – la collocazione – e ira – che è il soggetto -, per trasmettere a tutti come la nostra rabbia sia un’impeto da collocare in un contesto, per trasformarla in qualcosa di positivo. La nostra non è un’ira negativa, ma un’ira che porta a cambiare le cose, una rivoluzione.
Victoria: Dal nostro ultimo album siamo maturati, abbiamo capito qual è la nostra “forma naturale”, abbiamo sperimentato, e ora abbiamo chiaro qual è il nostro sound, la nostra crudezza. Ecco, crudezza è la parola giusta per descrivere il nostro nuovo album. Il disco è tutto suonato, crudo, contemporaneo e ci rappresenta oggi.
Thomas: Altra cosa importante che vorremo sottolineare è il concetto del live: questo disco vuole trasmettere musica viva, musica live, è frutto di un grande percorso, dai singoli suoni.
Ethan: Noi, come band, nasciamo live e moriremo live (ride, ndr). Se si pensa alle nostre origini, siamo partiti dalla strada, e vogliamo trasmettere noi stessi.
Parlate di ira, rabbia positiva: ma cos’è che vi fa arrabbiare, di cosa parlate nel vostro disco?
Victoria: noi nei nostri pezzi inseriamo quello che ci succede. Può essere qualcosa che ci è accaduto in passato, come le persone che ci dicevano che non ce l’avremmo fatta, ma anche una cosa esterna, come i pregiudizi e le ingiustizie che osserviamo tutti i giorni. Il concetto che sta dietro ai nostri pezzi è “non reprimiamo l’ira ma esprimiamola nella musica”.
Nel vostro album ci sono anche dei pezzi in inglese: da cosa deriva questa scelta?
Victoria: Volevamo dare una varietà, sia linguistica che sonora. Hanno nature diverse.
Damiano: Ora come ora non vogliamo abbandonare il nostro lato inglese. Ad esempio, il pezzo I Wanna Be Your Slave – probabilmente avrò denunce per quel testo (ride, ndr)-, è un modo per descrivere con crudezza tutte le sfaccettature della sessualità e come possono essere influenti nella vita di tutti i giorni. Abbiamo inserito dei contrasti: “I’m the devil, I’m a lawyer, I’m a killer, I’m a blonde girl”, vogliamo far passare l’idea che non dobbiamo per forza avere una sola identità, ognuno può avere tante sfaccettature.
E poi, a proposito di inglese, possiamo darvi uno spoiler: abbiamo fatto una collaborazione con i The Struts. Quindi la nostra avventura in inglese continuerà anche all’estero!
Siete concorrenti all’Eurovision 2021, ma avete dovuto censurare qualche pezzo nella vostra canzone. Cosa ne pensate?
Damiano: Molti ci hanno criticato, ma in questo caso si parla di buon senso. Noi non ci facciamo cambiare, non è il togliere una parolaccia nel nostro pezzo che ci snaturerà. Da regolamento, non si possono avere canzoni con parolacce, ci avrebbero squalificato, quindi per noi è meglio togliere qualcosa piuttosto che perdersi quest’opportunità.
Victoria: Sarebbe presuntuoso non partecipare per questo motivo, e a volte bisogna anche far pace con la realtà. Siamo ribelli ma non scemi. Per noi portare un pezzo così all’Eurovision è già tanta roba. Poi le parolacce non sono il fulcro della canzone, sarebbe sciocco farci eliminare per questo motivo.
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Molte persone, sopratutto di generazione più vecchia, hanno criticato il vostro “essere rock”. Ma cos’è per voi essere una rock band?
Victoria: Sarò sincera, non è un nostro interesse doverci incasellare in una categoria, siamo un gruppo di ragazzi che hanno tanta voglia di fare. Noi siamo liberi, scriviamo quello che ci piace e non ci interessa quello che dicono gli altri. Facciamo la nostra musica, che la gente può apprezzare senza pensare per forza a che genere facciamo.
Thomas: Noi vogliamo giocare attraverso la nostra musica, sperimentiamo. Poi, avere un’identità come la nostra e portarla nel mercato mainstream e a Sanremo ci sembra già abbastanza rock, no?
Abbiamo parlato dei giudizi dei più anziani, ma dai vostri coetanei che feedback avete sulla vostra musica?
Damiano: Feedback super positivi!
Ethan: Il pubblico che è arrivato post Sanremo magari non è abituato al nostro genere, ma sono contento di vedere che in moltissimi si stanno appassionando. Molti giovani ci vedono come una novità.
Damiano: Sì esatto, sono molto incuriositi. Ieri un ragazzo con la tuta dell’Adidas e il borsello ci ha chiesto la foto, non me lo sarei mai aspettato, non è il genere di fan a cui eravamo abituati. Mi piace perchè stiamo superando le barriere, stiamo diventando comuni, e sono contentissimo.
Avete portato sul palco dell’Ariston l’anticonformismo. Che riscontro vi aspettate dalla società con il vostro modo di fare musica?
Damiano: Sempre più ragazzi iniziano ad essere informati sulle problematiche sociali, sulle minoranze, finalmente c’è consapevolezza. Il nostro goal sarebbe che la nostra generazione si sentisse rappresentata da noi.
Ethan: Esatto, noi vogliamo abbattere i pregiudizi, vogliamo che la gente si possa sentire se stessa anche attraverso la nostra musica.
Ci avete fatto ascoltare in anteprima “In nome del padre” e “Coraline”. Parlateci di questi due pezzi.
Damiano: Ecco, ci tengo subito a dire che In Nome Del Padre non è blasfemia (ride, ndr.), significa che noi facciamo musica con talmente tanta passione che per noi è sacrale. Per noi è una cosa personale.
Coraline invece è una favola senza lieto fine. E’ la vita reale. E’ una situazione metaforica, non è una storiella. E’ la storia dell’ appassimento di una ragazza, mentre il cavaliere è uno spettatore inerme. E’ come se fosse un film.
di Eleonora Bruno
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