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Interviste

Il Rock, le feste, le buone idee. Genesi ed evoluzione di DIRTY MONDAYS

Torna la quattordicesima stagione del lunedi ‘sporco’ e rock di Milano e di LA, e quest’anno e’ di casa all’Apollo. Ma il format non cambia, specie se e’ di successo. Ne abbiamo parlato con Paolo Casartelli, mente dei Dirty Mondays, e anche di come va il Rock a Milano, e di come portare avanti buone idee.

Articolo di Marzia Picciano

Le buone idee non smettono mai di esserlo. Resistono alla prova dei tempi e potenzialmente, anche delle pandemie; non facile se si tratta di feste e di musica. Non toglieremo mai alle persone la voglia di riunirsi, fare Gemeinschaft nel nome di un valore o semplicemente del rock and roll. Lo sa bene Paolo Casartelli, fondatore nell’oggi lontanissimo 2011 di uno dei format piu’ di successo del party rock di Milano (e anche d’Italia), Dirty Mondays, con cui ho avuto il piacere di fare una chiacchierata telefonica, lui dalla West Coast californiana, io nel diluvio meneghino. Occasione: l’avvio della 14esima stagione dei lunedì alterni outrageous per eccellenza. Dopo Santa Tecla e Nepentha, quest’anno la casa del Dirty Mondays milanese sarà lo storico Apollo Club (via Giosuè Borsi 9). Dalla data zero dei Magazzini Generali, una scommessa iniziata quasi per gioco e arrivata a 700 presenze solo in quella serata, oggi Dirty Mondays e’ una società che opera in Italia e USA, con base a Milano e Los Angeles, un marchio riconosciuto da migliaia di persone e soprattutto da chi cerca una casa nella patria dei divertimenti che non riesce ancora a soddisfare la domanda di quello, esatto, dell’amante del rock.

Fare di necessita’ virtu’, o un business

Siamo in bilico tra una rischiosissima, retorica storia da eccellenza italiana imprenditoriale e la ricerca non sempre fortuita di spazi in cui si possa divertirsi senza morire sotto i diktat dei most streamed di Spotify o delle mode del momento; stiamo parlando di intercettare la domanda di entertainment e dare una risposta credibile a dei consumatori, creando del valore aggiunto. It’s the economy, stupid! ma anche una sana voglia di scatenarsi con gli Strokes.

Io arrivo da un background un po’ diverso da quello dell’organizzazione dei concerti, ho una formazione piu da ingegnere gestionale. Mi ero buttato in business finance, in tutto quel mondo li, del 2007 – 2008… C’era quell’ondata di aspirazione, prima della crisi”. Questo e’ Paolo, 24 anni. Master a Barcellona, e una visione precisa, poi la prova aziendale in consulenza e l’epifania “Mi stavo per sparare, ero super annoiato. Pero’ avevamo (Paolo e il suo futuro socio, ndr) gia’ questa idea di cominciare a fare un po’ di eventi anche per divertimento con qualche amico a Milano mentre lavoravamo, e cosi siamo arrivati al primo Dirty”  mi dice, mentre mi chiedo come mai non ho avuto la stessa intuizione in tutti questi anni consumati malamente in logiche aziendaliste. E neanche quell’incoscienza per fare il passo in piu.

Non era proprio un lavoro, era un hobby… e non avevo mai organizzato nessun tipo di evento ‘ufficiale’, ma neanche feste e compleanni! Eravamo dei pivelli, degli sbarbati in questo mondo. Forse ci ha aiutato avere la mente piu fresca nella strategia di pensiero di quello che volevamo fare”. Un mindset costruito tra New York, Madrid e Barcelona. E la voglia di ‘fare festa’. “Ci piaceva la musica rock che in quell’epoca era in declino. C’era l’ascesa dell’hip hop e a Milano non c’era nulla di simile. Siamo nel 2010, ci diciamo: e’ un piattume.” Se negli anni ’90 c’erano gli Stones, qual’era la controparte milanese dieci anni dopo? Da li’ la decisione, portare la musica che ‘ci piace’, quella rock appunto, nel clubbing, creando Dirty Mondays e un luogo che negli anni ha visto in consolle o in pista nomi come Marky Ramone, Glen Matlock dei Sex Pistols, Mike Joice dei The Smith, Pete Doherty, Frank Carter, Maneskin, Drew McConnell. Mica male.

Niente nasce senza il capitale (umano)

C’e’ un segreto per il successo di un evento-festa dedicato al meglio del rock che poi diventa un caso culturale? Primo cartellino rosso: “non é nella playlist o nella musica… quella ce l’hanno in tanti, e’ la musica di tutti e vogliamo che sia di tutti.” Del resto ci sono diverse serate alternative a Milano, pensiamo al Karmadrone, ma anche a fenomeni storici romani come AnyGivenMonday, che hanno raggiunto numeri non indifferenti. Ma se non e’ la musica sara’ chi la balla o mette. “Dirty Mondays e’ community. Una community molto legata da questi valori. Direi che quello che differenzia noi da altre serate che e’ questo. Traspare proprio la passione per questo tipo di musica e di conseguenza anche in quello che facciamo inevitabilmente catalizziamo nelle città in cui andiamo una community che avvicina e che ama questo mondo, questo stile di vita, anche perché siamo nel mondo alternative”.

Quando parliamo di comunita’ facciamo riferimento a quello che Paolo definisce lo ‘zoccolo duro’, la crew di super fedeli che sono quasi famiglia, con cui fare grandi aperitivi, e poi al mondo dell’appassionato del clubbing “che il lunedì ha bisogno di fare festa, e allora viene da noi anche se non è un super amante del rock. La forza di Dirty Mondays é anche quella di raggiungere persone che non sono dei rocker. Sono persone ce nel weekend sono a sentire la techno, EDM, altri tipi di musica ma apprezzano e si divertono alla nostra serata”. Un principio di gentrificazione? Giammai, anzi.

Il rock e’ sempre una buona idea, anche all’estero

Paolo ci parla di un obiettivo più ampio, svecchiare l’immagine del rock. “I personaggi dei rock events a Milano avevano 50 anni, hanno fatto la storia ma dopo anni e anni non sei più cosi’ appealing per i giovani. Volevamo rendere figa la serata dedicata al genere”. A condividere la missione non da poco, accanto a Paolo e i suoi soci c’erano Virgin Radio e Andrea Rock con cui Dirty Mondays aveva siglato una partnership ufficiale nel 2015 (conclusasi l’anno scorso). Eppure la sinergia spirituale e di contenuti e’ iniziata prima. “Andrea ci diceva: voi siete l’incarnazione di quello che Ringo chiama lo Style Rock, non solo a livello di musica ma anche appunto la New Generation di rock per i più giovani”.

In breve: un uso sapiente del marketing (a cui Paolo e il suo team sono molto attenti), di definizione di tratti riconoscibili di una serata e brand, e la convinzione che il valore-musica rock sia davvero una sorta di cappello adatto a tutti, forza unificatrice e casinista. Quando si deve fare casino, del resto, ci sono pochi modi per farlo, anche se è lunedì. “Il lunedì è veramente arrogante, è il massimo dell’alternative. Puoi decidere di stare a casa, ma se esci hai veramente voglia”. Anche qui, è il mercato che ce lo chiede.

Il mercato lo chiedeva anche in California? Paolo ammette l’arrivo per caso e legato a motivi personali a Los Angeles. Hanno iniziato dal nulla. “Inizialmente non volevo farlo mi dicevo: bah, figurarsi se io da milano posso venire qua a fare un evento rock nella capitale del rock del mondo. Alla fine sono entrato (n.b. con Stefan Poole, il loro futuro partner americano, noto anche alla TV italiana), ho raccontato quello che facevamo ed effettivamente è stata una grande novità. Per assurdo anche qui sono rimasti stupiti dal format. Penso che sia anche una combo con la scelta del lunedì’”. Oggi Paolo e soci riempiono anche le sale a Los Angeles, di persone e di artisti, come John Dolayman (System Of A Down, batteria) grande apprezzatore della serata e che rimane tra le presenze preferite di Paolo.

L’effetto pandemia e quello Maneskin, per davvero

Anche Dirty Mondays ha subito l’effetto pandemia. Ma dopo dopo il covid “è stato pazzesco”. Dopo due anni chiusi e probabilmente troppa troppa musica ascoltata in claustrofobiche camerette è venuta giù tutta la voglia di fare festa. “C’è stato un effetto elastico. I primi eventi post Covid erano sold out”. Un giusto traino, ma guidato anche da specifici fattori, tutti italiani, dei quali Paolo è estremamente sicuro.  “In questi due anni poi c’è stato l’evento Maneskin, che sicuramente ha aiutato a riposizionare il rock come genere. Non sembra, ma ha fatto tanto. Ha rimesso le chitarre in mano ai giovani, li ha rimessi a suonare, non ho mai visto cosi tanti ragazzi nelle sale prove”.

Parliamo di effetto Maneskin sull’economia musicale? Rabbrividiranno in molti, i detrattori si lanceranno a difendere il sano rock. “È inutile che lo dicono, l’hanno fatto! Poi puoi odiarli, ti piacciono o non ti piacciono, ma hanno creato una wave pazzesca. E meno male! Le band di Los Angeles quando vedono i Maneskin vanno a conoscerli, e per noi, per l’Italia, va benissimo. Quando sono li, vengono al Dirty, e le persone impazziscono.”

Per Paolo e Dirty Mondays vale la stessa storia. Bisogna dare più chances alle idee nuove, anche per le serate. “È importante prendere per mano i piccoli senza criticarli troppo, evitare odio tra generazioni”. Del resto non si può vivere di rendita. E infatti Dirty Mondays diventa live dal 29 novembre. L’obiettivo: aprire anche qui il mondo dei concerti, per spingere i local e piccole band da nord Europa. Lo si fa iniziando anche qui col botto. La prima volta dei live dei Dirty sarà con l’acoustic performance di Pete Doherty. E anche qui sarà un’altra sfida, per un’altra storia.

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Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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