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Interviste

Intervista a MARCO FRACASIA. Come avere dei miti e rimanere geniali

Il cantautore torinese arriva per la prima volta all’Arci Bellezza per presentare il suo universo “a bassa fedeltà ” e siamo andati a conoscerlo. Una telefonata di inizio gennaio per parlare di genio, spontaneità e la voglia (in)confessabile di “stare tranquillo” per fare cose belle.

Articolo di Marzia Picciano

Se mi avessero detto di dare una definizione di ‘duro e puro’  prima di intervistare Marco Fracasia, artista torinese salito agli onori della cronaca musicale indie nazionale l’anno scorso con un paio di singoli – a mio avviso lapidari – e che si esibirà domani 12 gennaio all’Arci Bellezza insieme ad Andrea Poggio (già Green Like July) per presentare il suo ultimo EP Adelaide, probabilmente avrei pensato a un numero imprecisato di eroi del classicismo e martiri di patria, insomma quelli che hanno visto la propria fine pur di non venire meno a un canone, che fosse veramente sentito o meno. Ecco, dopo mezz’ora di conversazione con Marco, venti e poco piu anni, ho sentito la necessità di rivedere la mia visione, e qui vi spiego perche’.

Fracasia ha conosciuto una fetta di pubblico e attenzione grazie a due EP (Adesso Torni A Casa, 2022 e Adelaide, 2023) che lo hanno fatto entrare senza troppa difficoltà, nell’arco di soli due anni, nelle liste di quelli da seguire. black midi, singolo d’esordio, e’ un pezzo contessiano animato da un amore o una fissa, come la chiamerebbe lui, non tanto per l’omonima band ma per gli LCD Soundsystem e nello specifico per la struttura a ritmi stratificati di Murphy. “Hai provato a imitarli, ma nessuno ha capito e ti senti come fossi speciale/In realtà non interessa a nessuno il fatto che tu sia così poco brillante” suona come una per niente poco velata autocritica al velleitarismo che anima chi vuole fare musica e che si chiude in un universo, o un lessico, tutto suo, forse anche un po’ tossico. Insomma, andiamo a perdere il senso di quello che stiamo facendo, fino a interrogarci – ma staremo facendo bene?

Ecco perche’ mi sento di rivedere la mia immagine di duro e puro. Marco Fracasia e’ sicuramente un ragazzi fuori dagli schemi. E’ anche un puro, ma sgamato (“Ho 14 anni!” mi risponde, severo ma giusto, al mio laconico “ma sei giovanissimo”) anche se sono riuscita a metterlo in difficoltà a neanche due minuti dall’inizio della conversazione, chiedendogli di presentarsi – quindi si, e’ un puro. Lo avevo visto qualche mese prima allo Spring Attitude di Roma (“Che concerto terribile! Mi ero riempito di cibo, non lo faccio mai!”e per chi non ricorda chi c’era, qui il report, ma non ci sono note negative) ed il suo nome e’ tornato a solleticarmi qualche settimana fa mentre spulciavo le mille liste di cantautori da tenere a mente per il prossimo anno. Riuscita a connettere i puntini, ascolto (bene), leggo di lui e quindi niente, concludo che devo conoscerlo.

Quanto ne e’ venuto fuori e’ la visione di qualcuno che ha cominciato a fare musica guardando con estrema chiarezza cio’ che lo attende, come si evince dal disincanto dei suoi testi, tanto da sfidarlo, aiutato da quella che e’ in realtà una ferrea distinzione tra bene e male (nel fare musica). Dice di chi scrive: “non capisco chi ci guadagna a fare le cose per finta”. E per questo e’ anche un duro.

Come ti descriveresti come artista, parte due

Come artista, quello che mi piace e’ starmene tranquillo. Non lo so, non so tanto come funziona ‘là  fuorì, e non mi sento di appartenere troppo alle dinamiche del contesto odierno (parlando dello scenario indie attuale ndr). Non che non mi importi, anzi mi e’ importato, qualche tempo fa… parlo come se avessi una carriera decennale e ho fatto solo due EP!” La domanda e’ delle più banali, lo so, ma avevo curiosità  di sapere come si vede uno che sembra comprendere e abbracciare il grande amore per la delusione molto più di qualsivoglia temporanea fibrillazione cardiaca. Risposta: non ci vediamo, o forse si, ma non come vorremmo noi.

Quello che ho capito e’ che non so se ci voglio stare troppo dentro a come funziona oggi. Semplicemente, quando ho qualcosa da fare o dire, cerco di farlo e dirlo nella maniera piu spontanea e sincera possibile, più coi suoni che con le parole forse. Come artista non ho un vero e proprio obiettivo. Sono stato molto fortunato a incontrare delle persone ‘giuste’ che mi hanno permesso di essere, di esistere artisticamente ed essere credibile. Una cosa a cui penso spesso e’ che se non le avessi incontrate, non mi sentirei neanche troppo credibile. Sono stato fortunato. E’ importante per me.”

Il genio, quello riconosciuto o sconosciuto

Nel mondo “astratto”  (nel senso proprio di ridotto a principi base) in cui il nostro sembra rifugiarsi quando scrive e canta esistono una serie di concretissimi valori, primo fra tutti, appunto, la credibilità  di fare qualcosa di valido. E quindi il genio.

Premesso che non sono nessuno per dirlo, o sei geniale o no. Sei una persona che fa una cosa bella, e allora quando si fa una cosa bella, e questa e’ la speranza che ho, e’ che viene ancora riconosciuto il bello. Se fai un bel disco ti viene riconosciuto” . Il genio e’ una cosa riconosciuta, altrimenti stai facendo le cose per te e dice giustamente Marco, non ci paghi le bollette. E allora come la interpretiamo la nota critica di black midi?

Ognuno ci vede quello che vuole vedere. E’ facile comprarsi un computer e fare musica, e’ molto complicato avere la consapevolezza di sapere quello che si sta facendo.” Altrimenti e’ pura emulazione. Il genio poi, e’ spontaneo. “Io spesso imito le cose che mi piacciono, e vedo cosa ne viene fuori, magari una cosa carina. Però … e’ un’arma a dopppio taglio. Il segreto, ed e’ una cosa che voglio raggiungere, e’ essere consapevole al 100% di quello che sto facendo.

Mi sorge spontanea la questione. Se alla fine siamo tutti emuli, dove stiamo andando a parare nello sforzo di genialità ?

Da nessuna parte! Anche se ne uscisse fuori qualcosa, per chi sto facendo musica? Per me. Se piace agli altri, se anche solo due persone mi ascoltano, sono contento, ma sono comunque cose che faccio per me.”

Le prime date del mini tour di Adelaide (Roma e Torino) sono andate molto bene, ma al pari di un certo Contessa che aveva paura del successo ma non quanto dell’insuccesso Marco pensa che fare concerti può fare male. “E’ il metodo principale, lo specchio di come sta andando”. E domani al Bellezza lo aspetta il raffinatissimo avvocato Andrea Poggio che condivide con Fracasia il mood sospeso nelle parole.

Qualcosa e’ cambiato

Comunque oggi Marco Fracasia l’hanno ascoltato più di due persone (e sicuro l’ha sentito bene il suo producer Marco Giudici). E’ passato un anno dall’EP Adesso Torni A Casa e siamo al nuovo. Cosa e’ cambiato?

E’ cambiato che sono da solo nella casa dove sto (e’ venuta a mancare la nonna che abitava sotto il suo studio di registrazione home made ndr). Tendo a tenere il volume più alto” per la gioia de vicini. “E’ cambiato l’approccio con gli strumenti. Ho suonato di piu strumenti acustici, ho comprato un puanoforte da solo e sono contentissimo”, e’ “un vecchio Yahama acustico con le corde, e’ quello di James Murphy”.

Parentesi. Marco e’ stato presentato su tutte le testate come il fan sfegatato dei LCD Soundsystem che sì, e’ vero, ma che, nelle sue parole: “questa cosa degli LCD soundsystem deve finire. Sta diventando logorante.” E allora forza con J Dilla, Carpenters, Fiona Apple.

Sono cambiati gli ascolti, ma non credo che continuerò  con quanto fatto finora”. Quella di Marco e’ un’evoluzione artistica che come posso comprendere, va avanti per stimoli e focus, non sempre allineati, come lui invece vorrebbe. Come per Adesso torni a casa, in cui aveva privilegiato una serie di temi “anche per Adelaide mi sono fossilizzato su una serie di altre cose, e ora mi sono fossilizzato su altre ancora”. Nella sua duropurezza non condivide molto questo suo modo di fare, “ma funziono così e andrò  avanti cosi”.

Stesso vale per l’ultimo EP. “Adelaide non esiste. Mentre stavo scriendo la canzone, grazie a questo brutto vizio di aprire Instagram, avevo visto la notizia di un concerto di Nick Cave ad Adelaide (Australia), e ho pensato che fosse davvero un bel nome. Il giorno dopo ero a un maneggio e ho pensato che se avessi mai avuto un cavallo, lo avrei chiamato Adelaide”. Qui le influenze sono Wilco, Father John Misty, Elliot Smith. Se la casualità  e’ per molti un lusso o un appannaggio di una certa liberta, per troppo pochi e’ promessa di genialità . Ed e’ già pronto per cambiare focus.

E’ cambiata l’attenzione che avevo intorno, sento meno curiosità , che per me e’ meglio. Prima avevo una tale pressione, adesso interessa di meno, come e’ giusto che sia! E ora si tratta di fare cose belle per fare interessare le persone, e non semplicemente esistere. Sono più tranquillo”. Ha ricominciato a scrivere da un mese circa ma si gode l’assenza di ansie non avendo ancora definito un album. “Ho comprato un campionatore, e ora sono in quella fase”. E per il disco? “Quando ne farò  uno e andrà  male, allora dirò  adesso posso andare a casa”.

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Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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