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Interviste

Attraverso i CANOVA: intervista a Matteo Mobrici

Articolo di Anna Signorelli – Foto di Giulia Manfieri

Da Resta in Festa a Eco Sound Fest, continua il secondo tour della band milanese

Probabilmente, nel 2017, la maggior parte di noi ha visto un live dei Canova, e non dev’essere stata una cosa complicata, visto il tour mastodontico che hanno affrontato per la promozione di quel primo album, “Avete ragione tutti”: più di 120 date, da un capo all’altro dell’Italia, conservando dal primo all’ultimo concerto la stessa verve, che è poi il loro segno distintivo.

Dopo la pausa a seguito di quell’esperienza parecchio rock’n’roll, non ci hanno fatto attendere più del dovuto e sono tornati con il loro secondo lavoro, “Vivi per sempre”: qualcuno, forse, è rimasto perplesso e ha nutrito qualche dubbio dopo il primo ascolto, ma come sempre, la cartina tornasole sono i live.

È proprio per questo motivo che noi di Futura 1993 non ci siamo fatte scappare l’occasione di sentire la loro esibizione sul main stage di Resta in Festa, un bellissimo festival a Palazzolo, in provincia di Brescia, che si è svolto dall’11 al 14 luglio, grazie all’impegno di un bellissimo gruppo di giovani volontari dell’associazione Linea Catartica. In un contesto suggestivo, immersi nel verde di Parco Metelli, un mare di quasi ottomila persone si è riversato con largo anticipo sull’orario di inizio previsto, pronti saltare a ritmo delle canzoni: evidentemente, i Canova non hanno ancora perso il loro fascino. Non ho potuto fare a meno di notare come in transenna ci fossero persone di ogni età: ragazzini appena adolescenti, un numero consistente di giovani tra i venti e i trenta, ma anche tanti adulti, che non si sono assolutamente risparmiati dal cantare a squarciagola.

Dopo quest’ultima esibizione sono ancora più convinta che i Canova si possano amare o detestare, poco cambia: arriveranno lontani, e quel “Vivi per sempre” diventa quasi un augurio affettuoso. 

In attesa di rivederli il 27 luglio all’Eco Sound Fest di Caprarola (VT), post concerto ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con Matteo Mobrici, il cantante e frontman della band, per farmi raccontare quanto è cambiata, in questi tre anni, la vita di quattro ragazzi normali che hanno visto esaudirsi il loro desiderio più grande.

Ora che immagino possiate vivere di musica, com’è cambiata la vostra vita quotidiana? Com’è una vostra giornata tipo?
Sì, viviamo di questo, e la fortuna è che possiamo svegliarci la mattina e pensare solamente alla musica. Fai conto, io mi ricordo benissimo di quando andavo all’università, perché io non lavoravo, mentre gli altri sì: mi ricordo la felicità vera di quando finiva la sessione e io dicevo “che bello, da domani mattina posso scrivere canzoni!”. Quella era la vera conquista, perché in realtà gli esami non li davo (ride), però mentalmente mi sentivo libero. Adesso è così tutti i giorni, le mie giornate sono questo: mi sveglio, scrivo canzoni, le arrangio. Per assurdo, poi, diventa monotono, però è quello che ho sempre voluto fare.

L’essere molto conosciuti, per non dire famosi, ha cambiato la vostra percezione? Ci sono cose che evitate e altre che invece vi sentiti liberi e legittimati a fare per il vostro status?
Mah, non cambia niente, e il nostro secondo disco è la dimostrazione che non siamo stati a badare a queste cose. Eravamo arrivati ad un punto in cui tutti si aspettavano un’altra cosa, e invece abbiamo deciso di fare un disco molto suonato, non di moda, e questa è la conferma che facciamo quello che ci pare.  Probabilmente una volta fatto un disco così non lo faremo più, ma in quel momento volevamo fare qualcosa che fosse molto diverso da qualsiasi altra cosa che ci accumunasse con altri progetti. Quindi totale libertà, vera.

Domanda inevitabile, visto che vi ho conosciuto in tour: dopo più di 120 date per il tour di “Avete ragione tutti”, ora siete passati a un tour più canonico, meno date in location molto capienti. Cosa vi manca di quella vita e cosa invece siete contenti che sia cambiato?
Sì, ora facciamo un tour più canovico (ride). Sono contento che, avendo meno date, posso concentrarmi sulla scrittura di nuove canzoni: quando eravamo in giro due anni fa non c’era davvero il tempo di fare nulla, quando tornavamo a casa eravamo morti, anche perché ogni sera dai il 100%, non puoi mai fermarti, che sia davanti a cento persone o a mille. Anzi, paradossalmente dai ancora di più quando sotto il palco c’è poca gente. Questa è la differenza fondamentale. Due anni fa è stato molto intenso, però ora non penso mi piacerebbe rifarlo, perché comunque eravamo in condizioni veramente rock’n’roll, che è bello se le provi una volta e all’inizio; una volta che ti abitui al fatto che il furgone non lo scarichi tu, per fare un esempio, basta, non torni indietro. Riusciamo anche a stare più concentrati su quello che davvero ci compete fare, cioè il concerto: invece quell’anno noi montavamo il palco, lo smontavamo… è stata veramente tosta. Allo stesso tempo è stato anche molto bello dal punto di vista umano, abbiamo conosciuto un sacco di gente, e per noi quattro è stata una sorta di vacanza lunga un anno e mezzo. Però tosta, molto tosta.

Come sono nate le canzoni di “Vivi per sempre”? Sono tutte nate durante la pausa post tour?
No, non tutte. Sono nate allo stesso modo di quelle del primo disco, ovvero in solitudine, in una stanza con un pianoforte o una chitarra, semplicemente. Abbiamo recuperato “14 Sigarette”, che è una canzone che doveva entrare nel primo disco, ma aveva delle aperture armoniche tali che si sarebbero adattate solo ad un pubblico molto numeroso, a concerti grandi. Noi, invece, abbiamo affrontato quel disco nel mood “andrà di merda di nuovo”, per assurdo, quindi avremmo fatto una figuraccia ad andare in locali da venti persone con un brano, se vuoi, quasi da forum, molto aperto. Per questo non ce la siamo sentita di pubblicarla nel primo disco, però poi era il momento giusto.

Ascoltando “Domenicamara”, come in realtà quasi tutte le canzoni che hai scritto, si avverte sempre quest’amarezza di fondo, non c’è mai un lieto fine, nemmeno per le storie apparentemente più romantiche. A volte sembra quasi che tu, in quanto autore, ti crogioli in questo male di vivere. È vero, quindi, lo stereotipo per cui l’artista bravo è quello maledetto, che soffre?
Io non penso che una persona inizi a fare questo tipo di attività senza avere una sensibilità maggiore rispetto a qualcun altro. Sicuramente ci sono state un insieme di situazioni in infanzia e in adolescenza, specialmente casi di rifiuti da parte di ragazze… dovevo costruire un’arma che fosse più forte del mio fisico. Non ti piaccio perché non sono bello come quell’altro? Ok, allora io ti scrivo una canzone, e sono sicuro che l’altro, che sa solo guidare il motorino, non lo sa fare. All’inizio vedevo che questa cosa funzionava, e da lì è scoccata la scintilla, è diventata un’esigenza vera di sfogo giornaliero. Così ho capito che la mia strada era quella, a prescindere dal successo: avrei buttato lì le mie amarezze, come dicevi tu. E comunque è vera la storia che quando uno sta bene non fa altro. Ti ritrovi davanti a un foglio bianco quando devi vomitare qualcosa, infatti per assurdo quando finisco di scrivere una canzone sto molto male.

Quindi la scrittura per te non è catartica?
No, sto malissimo, come se avessi liberato una parte che aveva bisogno d’uscire. Infatti c’è una differenza grande tra la scrittura di una canzone, e poi la pubblicazione, il disco, i live… sono cose totalmente diverse. Io posso scrivere una canzone e non pubblicarla mai: io non scrivo per i dischi, per i tour. Scrivo per i cazzi miei, poi diventa Canova, poi ancora Maciste Dischi eccetera, però all’inizio non è un lavoro, io non lo vivo così.

Parliamo del progetto “Faber nostrum”: come vi siete approcciati alla canzone che avete scelto? Avete sofferto di complessi di inferiorità davanti a un grande della musica come De André?
Io non ho questo tipo di complessi rispetto a nessuno, in generale, più che altro perché non penso sia giusto. Secondo me, se ci fosse qua De André, non vorrebbe che gli si baciassero le mani, e lo stesso vale per tutti gli altri, quindi non mi sono sentito inferiore. All’inizio avevamo rifiutato la proposta perché stavamo registrando il disco e pubblicare una cover non era nei nostri primi interessi. Poi però il secondo disco, uscito a marzo, è stato per noi una dichiarazione di libertà, quindi ci siamo detti: vuoi vedere che questa canzone, “Il suonatore Jones”, che ho amato da sempre, va a rappresentare quello che stiamo facendo adesso? Quindi semplicemente l’ho riarrangiata e l’abbiamo registrata durante le sessioni del disco. Queste cose penso facciano bene, anche perché ho notato che tanti ragazzi hanno avuto la possibilità di approcciarsi a canzoni che altrimenti non avrebbero mai ascoltato.

Il mercato musicale è molto cambiato negli ultimi tre anni, e se fino a qualche tempo fa facevate parte di un mondo sconosciuto ai più, ora le vostre canzoni, così come quelle di altri artisti dello stesso mondo, passano tutti i giorni nelle radio più importanti. Avete comunque uno sguardo per chi è rimasto in quel mondo? Nomi che magari al grande pubblico restano ignoti ma voi avete modo di conoscere.
Ti dico, la percezione dal mio punto di vista non cambia: cioè, non è che se passi in una radio importante, la sera esci con la radio importante, la tua vita rimane la stessa, quindi è tutto uguale a prima. Quello che è vero è che perdi un po’ il controllo su quello che ti circonda, ma per un motivo: noi due anni fa, quando siamo usciti, abbiamo avuto l’occasione di conoscere in tour tantissimi altri musicisti, che erano al nostro stesso livello e portavano avanti lo stesso percorso, mentre ora è complesso andare a cercare novità. Ora, probabilmente, a meno che qualcuno non mi dica “ascoltati questa roba qua”, non arriverei nemmeno ai Canova di tre anni fa, paradossalmente. Questo perché non me ne frega niente, principalmente, come non me ne fregava tre anni fa.

C’è una canzone a cui siete particolarmente legati in quanto band? Magari dal punto di vista del live, e del coinvolgimento del pubblico.
Guarda, nel live ci sono diversi momenti importanti, quindi non ti so dire. Poi nei momenti in cui sono al piano io rimango concentrato su quello, quindi non ho bene la percezione di ciò che accade, neanche durante una canzone come ad esempio “Santamaria”, che è forse nella top cinque per il pubblico. La verità è che non stiamo tanto a badare a quello che succede, o meglio sì, ma è più importante suonare bene. Fortunatamente però abbiamo diversi brani che accompagnano il concerto, con dei picchi tra canzoni che tutti aspettano e canzoni meno conosciute. Tutto il concerto è pensato così, come fosse un grafico.

Il bello di continuare a pubblicare dischi, ed è per questo che io non voglio stare fermo dopo l’estate, è che poi quando guardi da lontano il tuo live hai tante canzoni da proporre, puoi scegliere, puoi decidere quale vestito metterti addosso: se vuoi fare il rock’n’roll, vuoi fare le ballads… per questo ho voglia di pubblicare canzoni nuove e dischi nuovi. Il progetto Canova andrà giudicato tra sei dischi: quando prima tu parlavi dei giganti della musica italiana, devi anche pensare che noi giudichiamo gente come Dalla, Venditti, De Gregori, Battisti, osservandoli da lontano, alla luce di dieci dischi dove si avevano due o tre capolavori per disco. Ora per noi è tutto passo passo, perché siamo solo agli inizi, è questa è l’unica cosa di cui sono curioso nella vita: vedere dove posso arrivare a livello di scrittura e cosa può succedere. Per il resto sono tranquillo.

CANOVA – Tour 2019

venerdì 26 luglio 2019 – Beky Bay · BELLARIA IGEA MARINA (RN)
sabato 27 luglio 2019 – Eco Sound Fest · CAPRAROLA (VT)
venerdì 02 agosto 2019 – Indiegeno Fest · PATTI
sabato 17 agosto 2019 – Locarno Film Festival · LOCARNO (ingresso gratuito)
sabato 07 settembre 2019 – Circolo Magnolia · SEGRATE (MI)
domenica 15 settembre 2019 – Piazza dei Cavalieri · PISA

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