Dal 28 febbraio 2025 è disponibile “Ragazzini viziati”, il nuovo singolo di Tommaso Imperiali, un brano che racconta una generazione in cerca di senso tra sogni e precarietà.
Con un sound rock ispirato a Springsteen, la musica diventa rifugio e speranza, trasformando l’insoddisfazione in energia collettiva.
“Ragazzini viziati” racconta una generazione in cerca di senso tra sogni e precarietà. Qual è stata la scintilla che ti ha portato a scrivere questo brano?
Sicuramente c’è qualcosa di autobiografico ma l’idea nasce soprattutto dall’osservazione, in persone intorno a me, anche molto vicine, di quella “fatica” che canto nel pezzo. La canzone si è costruita tutta proprio a partire dalla prima frase: “cominciano a essere tanti / i ragazzi con la faccia stanca / lo sguardo di chi sogna / e i polsi di chi si adatta”.
Il sound richiama artisti come Springsteen, ma anche influenze più recenti. Quali sono stati i tuoi riferimenti musicali durante la lavorazione del brano?
Il tentativo è sempre quello di tenere insieme i due mondi con cui sono cresciuto: il cantautorato italiano e il rock di ispirazione americana. Sicuramente c’è tanto Bruce ma come reference abbiamo preso molto anche i nuovi “springsteeniani” che stanno emergendo adesso soprattutto in Usa e in Inghilterra: penso a nomi come Sam Fender, Zach Bryan, Nina Nesbitt.
Nel videoclip di “Ragazzini viziati” hai scelto di raccontare l’attesa e il valore dei piccoli momenti. Come è nata l’idea di girarlo nella tua mansarda?
Sarò sincero: il pezzo è stato preso in finale ad Area Sanremo e ci hanno dato 5 giorni per realizzare il videoclip. A quel punto abbiamo fatto di necessità virtù, scegliendo di girarlo nella mansarda dove abito e dove la canzone è nata. Il risultato, secondo me, è un videoclip sincero e spontaneo, ci sono davvero affezionato. Il lavoro enorme è stato quello di Fabrizio Ferraro che è riuscito a mettere in piedi da solo, in un pomeriggio di riprese e in una notte di montaggio, un video che coglie in pieno il significato del pezzo.
Sei passato dall’esperienza con i Five Quarters al percorso solista. Quanto ha influito il passato con la band sul tuo modo di scrivere e suonare oggi?
Moltissimo. Quando scrivo ragiono ancora sempre in un’ottica di band, provando da subito a immaginarmi il pezzo suonato dal vivo con i ragazzi. La scelta di lavorare discograficamente da solista è dovuta a un desiderio di ottenere un’identità più personale nel sound e nei testi, dal vivo però siamo ancora a tutti gli effetti una band.
Le tue influenze spaziano da Fossati a Glen Hansard. Qual è il disco che più ha segnato il tuo percorso artistico?
Potrei fare il sofisticato e tirare fuori album di artisti che conosciamo in cinque. Però se posso dirne davvero solo uno scelgo Born in The U.S.A.: è il disco che mi ha fatto innamorare di Bruce e senza quell’album forse non avrei mai deciso di fare questo mestiere.
Qual è il tuo sogno più grande come artista?
Molto semplice: fare quello che sto facendo adesso ma tutti i giorni e sempre di più. Quindi scrittura, studio, live, interviste con RockOn… e poi da capo.
