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Intervista a Vipra: Simpatico, Solare, in cerca di Amicizie

Assetto da guerra, sguardo minaccioso, un po’ intimidatorio. È così che potrebbe apparire un artista come Vipra a primo acchito. Ma quando sale sul palco, rivela tutte le fragilità e ansie comuni ad un ragazzo della sua generazione. Possiamo affermarlo con certezza, dato che noi di Futura 1993 eravamo presenti al Magnolia, alla prima data del tour di Simpatico, Solare, in cerca di Amicizie, il nuovo album di Vipra. Al Mi Manchi, infatti, Vipra ha esordito sul palco dicendo di avere un attacco di panico in corso, e a dimostrarlo erano i suoi pantaloni slacciati durante tutto il live. Un approccio a dir poco punk. 

È un ragazzo sincero, schietto, che dice ciò che pensa senza paura del giudizio della gente, ed il suo primo album da solista – dopo la fine dell’era dei Sxrrxwland – è lo specchio della sua personalità: poliedrico, tormentato, aggressivo, che sa toccare i punti giusti. Per l’occasione abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, per conoscere meglio le dinamiche che si celano dietro il suo nuovo album. 

In questo album c’è davvero una varietà di generi davvero notevole. Se da un lato quindi la non-standardizzazione e sperimentazione sono sempre un qualcosa di positivo, dall’altro non riconoscersi in un proprio stile/genere distintivo potrebbe essere un po’ fuorviante e non identificativo. Cosa ne pensi a riguardo? E in che modo definiresti quindi il tuo album?
Non ne ho idea. A me piace fare musica, l’importante è che musica venga ascoltata e apprezzata: assecondare i gusti di qualcuno facendo riferimento a un genere per “convincerlo” non solo non mi interessa, è proprio un accollo. È bello quando l’ascoltatore è una parte attiva del processo creativo e non solo un bancomat a cui ficcare in gola il suo genere preferito così sputa fuori più soldi. Il pensiero di fare solo rap, o pop, o punk o elettronica tutta la vita perché così è più facile identificarmi mi annoia. Il mio album non ha bisogno di una definizione di genere, non più di quanto ne abbia bisogno una persona.

In Posacenere parli di alcune meccaniche attuali nel mondo della musica, di persone che sono “soltanto account” o di come l’artista venga spesso rappresentato come un fallito. Come ti collochi quindi sulla scena musicale, e cosa pensi riguardo le dinamiche da te descritte nel brano?
Sostanzialmente mi faccio gli affari miei. Io non voglio insegnare a nessuno come dovrebbe vivere, so solo quello che mi piace e quello che non mi piace, e scelgo dove stare di conseguenza. Come per la questione del genere musicale le “scene” – sia in termini economici che artistici – hanno ciascuna i propri pregi e difetti: mettermi una divisa per definirmi attraverso il giro che frequento è una roba stupida. Mi piacciono le persone, gli artisti, i loro lavori, e stringo rapporti sulla base di questo. Se qualcuno mi dovesse giudicare a priori perché ho un sound diverso dal suo, o peggio per chi frequento o con chi lavoro, non mi interessa stargli simpatico. La necessità di stringere mani ed essere amici della gente giusta è uno dei motivi per cui il panorama italiano è generalmente noioso.

La foto in copertina è un estratto del video di Siamo Seri, e ti vede ritratto come una sorta di “pignatta umana”. Che significato ha?
La pignatta è un oggetto che richiama immagini felici, soprattutto feste di compleanno per bambini, quindi spensieratezza, allegria eccetera. Ho sempre trovato un sottotesto inquietante nell’idea di distruggere un animaletto a mazzate per mangiare le caramelle che ha dentro, e probabilmente anche una metafora di come tendiamo ad affrontare la vita: desiderando e prendendo, a costo di distruggere qualcosa, salvo poi perdere interesse e passare alla prossima necessità. È uno dei motivi per cui il pianeta sta andando verso la catastrofe ecologica, non è che me lo sono inventato io. L’immagine rendeva bene l’idea di come il processo di commercializzazione dell’artista lo trasformi tanto da non essere neppure più un pupazzo da collezione, ma addirittura una scatola da rompere per cinque minuti di festa e dimenticarsene.

Le arti visive sono sempre state parte della tua musica, ed anche le grafiche sono sempre state molto particolari ed in un certo senso futuristiche. Quanto è importante per te la parte visual nel progetto Vipra e in particolare in questo album? 
Penso che sia complementare. L’immagine può aiutare a veicolare meglio la musica e viceversa, anche se ormai ha un ruolo molto più centrale: non parlo solo di videoclip o grafiche, ma proprio di come il pubblico si forma una tua percezione psicologica attraverso l’immagine che dai di te dai tuoi canali. A me interessa solo la prima parte, cioè formulare idee visive che siano d’impatto, nuove e si uniscano bene alla musica. In questo caso pur non avendo lavorato con Tremila, che è l’art director del progetto Sxrrxwland, ho trovato in Barbara Martire – e anche Michele Nannini e Amedeo Zancanella, che si sono occupati della realizzazione di grafiche e video – un’interlocutrice cha ha saputo cogliere al volo la mia visione e spiegarmi come svilupparla dato che io di arti visive non capisco niente. 

Hai affermato che il tuo nome d’arte – Vipra – viene dal sanscrito e vuol dire saggio, e che ti piaceva anche il suono della parola che rimanda a un qualcosa di freddo, malvagio, “anche se io sono tutt’altro che queste due cose”. Vuoi raccontarci di più? Perché hai scelto quest’antitesi fra il tuo nome d’arte e quella che poi è la tua vera personalità?
La mia “vera personalità” non so quale sia e penso ne esistano diverse in base al contesto e alle persone con cui mi rapporto, se uno è sempre la stessa persona con amici, sconosciuti, affetti e collaboratori non è una persona, è un personaggio. Ci sarà qualcuno per cui Vipra è uno stronzo, qualcuno per cui Vipra è una bravissima persona, o un artista di talento eccetera. L’antitesi è naturale, ci sarebbe stata pure se mi fossi chiamato diversamente.

Nell’album ci sono dei feat importanti. Come sono nate queste collaborazioni?
Gli Psicologi avevano sentito il provino di “Ragazzino” in macchina con me due anni fa, gli è piaciuto molto, e siccome siamo amici da tempo è saltata fuori l’idea di fare un pezzo assieme. Con gli altri è stato diverso: quando ho finito di scrivere le tracce mi sono chiesto chi ci avrei sentito bene sopra, quale artista potesse avere il modo di scrivere e interpretare più affine al testo e alla produzione e da lì sono andato a colpo sicuro: ho proposto le tracce a Martina, Fulminacci e Margherita e ci hanno volato, infatti anche se non ci conoscevamo fare musica assieme a qualcuno che sentivano artisticamente “vicino” ha creato tre bellissimi rapporti d’amicizia.

Siamo Seri recita “Siamo fatti, siamo fatti a sua immagine, amen”. In questo ambiguo gioco di parole riprendi una frase presente nella tradizione della religione cristiana. Quale messaggio volevi celare dietro questo rimando?
Che se siamo fatti davvero a immagine e somiglianza di un dio vuol dire che pure questo essere – se esiste – si droga. Il che spiegherebbe molte cose.

In questo album vengono toccate spesso anche tematiche sociali, ambientali, cose che colpiscono la società odierna. Versi come “Siamo servi” o “amici che lavorano / e non avranno mai / il loro cognome / sul citofono” ne sono un esempio. Vuoi approfondire a riguardo? 
Semplicemente ho delle opinioni, come tutti, sulla politica o l’attualità in generale. Penso che – se sono sensate – le opinioni anche radicali non dovrebbero rimanere fuori dall’arte perché il compito degli artisti non è solo intrattenere il pubblico come degli animali ammaestrati. L’Italia, e il mondo in generale, soffrono problemi frutto di un modello economico insostenibile, e non è che sono io a dirlo, ma i fatti. Inquinamento, povertà, disastri ambientali, epidemie, guerre, nazionalismi e forme varie di discriminazione hanno accompagnato la storia dell’uomo da sempre, ma stanno assumendo contorni via via più chiaramente legati al modo in cui percepiamo il valore delle cose e i nostri desideri. Io sono semplicemente bravo a parlarne usando la musica.

A fine 2019, nel post su Instagram in cui annunciavate “lo stop” del progetto sxrrxwland avete scritto “Nei lavori che stiamo preparando, saremo reciprocamente presenti. Sorrowland non è Osore, Tremila e Vipra, ma un sentimento che accomuna noi e tantissime altre persone, per cui continuerà a vivere e tenerci legati finché vorremo”. Quanto è presente quindi sxrrxwland in Simpatico, Solare, in cerca di Amicizie?
Dalla tracklist si vede già: Osore ha prodotto tre brani. Assieme a Mr. Monkey poi si è occupato della fase di mix di tutto l’album, quindi l’ha praticamente sviluppato. Tremila invece ha messo a disposizione la sua inventiva per il merchandise, che ancora dovrà essere completamente svelato. Direi che abbiamo tenuto fede alla promessa.

Simpatico, Solare, in cerca di Amicizie è il tuo album d’esordio da solista. Quanto è diverso approcciarsi ad un progetto del genere da solista piuttosto che in gruppo? E come cambiato il tuo processo creativo?
Per quanta gente ci possa essere intorno a te – da chi produce la musica agli altri cantanti a chi si occupa della parte visiva – sei più “solo”, nel senso che alla fine è la tua faccia a essere in primo piano, quindi l’impatto con il pubblico è meno filtrato. Però ci sono sempre un sacco di amici a coprirmi le spalle, quindi mi fanno stare ancora più tranquillo.

Fra pochi giorni ti esibirai al festival MI MANCHI, rassegna sostitutiva del MI AMI. Cosa provi, quali sono le tue sensazioni ed emozioni ora che pian piano si può ricominciare a fare live?
A questa rispondo in ritardo, mi dovete scusare ma sono state giornate veramente folli. Posso fare un’analisi postuma e dire che uno stop di un anno e mezzo si è fatto sentire ma è passato dopo qualche minuto. Non so se si possa parlare di “concerti”, perché tra il pubblico seduto e i protocolli sanitari la sensazione è un po’ più debole, ma è pur sempre un inizio, oltre che una questione di necessità. Mi sarebbe piaciuto che durante quest’anno ci fosse stato un po’ di attenzione e rispetto per il comparto musicale italiano da parte delle istituzioni, ma a quanto pare almeno possiamo cominciare a ripartire sulle nostre gambe. 

Intervista di Paola Paniccia

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