Articolo di Marzia Picciano
Prendi 15 amici, mettili a Formentera, a ottobre, in una casa enorme, ribaltata e trasformata in studio per registrazioni a presa diretta delle tue canzoni; diffondi creativita’ a go-go, il tutto mantenendo una dimensione da domenica pomeriggio in festa, con i parenti (nello specifico, proprio con tua madre e tuo padre). Se ti chiami Alberto Bianco, sei un cantautore e musicista torinese dei piu’ brillanti in circolazione in questo sgangheratissimo Paese di penne e pensieri facili, e hai davvero fatto quanto riportato in apertura anzi, lo hai pure registrato, direi: certo che stai bene, siamo tutti vincitori premi G.A.C. qui. Peccato che questa sia solo la fine della corsa, quella che a due anni dall’ultimo lavoro Alberto, allora piu’ semplicemente Bianco, ha intrapreso per arrivare a una pacifica constatazione in 10 canzoni: si puo’ stare bene, eccome.
E’ il 14 novembre, siamo all’Arci Bellezza a poco dall’inizio della presentazione del documentario firmato da Francesco Coppola dell’omonimo disco “Certo Che Sto Bene” di Alberto (Virgin Music/Universal, uscito il 10 novembre), storia in trenta minuti della fuga dalla realta’ che ha messo insieme un gruppo di persone che si vogliono molto bene andare a coronare il percorso di liberazione personale dell’artista da una verita’ che a volte ci sta troppo stretta nel chiederci quello che neanche lei stessa sa. Il sesto lavoro in studio di Bianco e’ una summa teologica della religione del quotidiano inteso come indiscutibile credo su cui ancorare le nostre certezze e le nostre velleita’. Bianco dice in camera a Francesco: sono un cantautore, un papa’ (due le canzoni dedicate al figlio), e si commuove. Ma nel disco canta anche, guardando un po’ trasognato alla scena di Wilco, The War On Drugs e Beirut e condendoli nella salsa italiana, quant’e’ buono il sugo di pomodoro che ti fai da solo.

Serve un buon paroliere per mettere giu’ i versi di una poesia che magari non ci esalta ma ci rassicura, e per farlo serve anche calarsi nella parte. Luogo dell’atto: Baleari, una tenuta appartenuta a una ex compagna di Alberto ma messa a sua disposizione (e qui momento di profonda riflessione sulla gestione non altretttanto di successo dei miei ex), finestre spalancate per ridurre rumori esterni, Bianco, le sue canzoni e i suoi sodali. Siamo a meta’ tra un viaggio tra diciottenni liberati dalla matturita’ e un film della Marvel, una combriccola composta da persone come Federico Dragogna, il produttore “baby sitter” Takedo Gohara, una Margherita Vicario sale e vento, Dente in veste di fotografo (e Groucho Marx della situazione) ma anche dalla Signora e dal Signor Bianco. Non c’e’ stato un momento nella proiezione e nella chiacchierata a seguire in cui io non abbia pensato di voler essere li, e non come una mosca, ma come membro di una comunita’ di persone che stanno lavorando e credendo nel lavoro di qualcuno, o semplicemente il proprio, a prescidere da quello che potra’ essere, di successo o meno. Takedo dice di cercare l’errore umano, perche’ e’ irripetibile e a me sembra si siano aperte infinite porte di interpretazione che varrebbero nuove entusiasmanti sessioni di rielaborazione del passato con la mia analista, e invece no, perche’ il sospetto e’ che sia proprio questo che non riusciamo a cogliere mentre ci sbattiamo da una parte all’altra e che invece Alberto Bianco e i suoi compagni sembrano aver inteso: possiamo anche goderci il momento, eh.
E infatti Alberto, non banalmente, lo sta facendo e sta bene, molto bene. “Sto vivendo questo lancio del disco in maniera molto serena, molto tranquilla, rispetto ad altri dischi in cui percepivamo una pressione che poi nessuno mi poneva davvero, ma che era mia perche’ ero piu’ giovane e avevo altre aspettative da questo mondo, da questo lavoro”. Sara’ anche a causa dei compagni di viaggio. “Una squadra completamente nuova di persone fondamentali per la loro professione, ma anche per la loro passione e il loro cuore, e questa cosa mi rende molto tranquillo, sereno e completo ora”.

Dove e’ il segreto di questa inaspettata serenita? “Fermarsi ogni tanto a cercare di comprendere, rispetto alle cose terrificanti che succedono in altre parti del mondo, e fare propria in maniera sana e non retorica la fortuna che abbiamo nell essere nati dalla parte giusta e protetta del mondo… e’ una cosa importante”. Riconoscere lo stato di grazia che viviamo non ci solleva pero dalle incessanti urgenze quotidane che emergono, grandi o piccole, ma che d’altra parte ci aiutano a comprendere meglio i momenti felici. “Mi sono accorto che una serie di probemi che mi ‘infastidivano le giornate’ erano dati un po’ da un’ambizione non raggiunta che diventava sempre piu’ grande, un po’ per inerzia, senza pensare a quella originiaria”. Sara’ la societa’ e i ritmi, le immagini instagrammate con cui siamo bombardati. Un’ambizione ingigantita in maniera esponenziale, di cui Alberto si e’ scordato il nucleo.
“Quando mi sono fermato, mi sono ricordato ad esempio che per quanto riguarda il mio lavoro ho sempre visto la musica in maniera molto pratica… il mio sogno da bambino, mentre guardavo i documentari delle band punk, era prendere un furgone, andare per citta’, prendere birre con ragazzi di altri posti che non conoscevo, andare nel posto, montare il banchetto delle magliette e poi suonare… non era immaginarmi la foto in posa e lo stadio. A quel punto mi sono detto: beh, insomma, e’ quello che sto facendo da una quindicina d’anni, una cosa l’ho raggiunta!”. E finalmente ci si rilassa. Forse.
Perche’ bisogna accettarsi. E se per qualcuno il processo e’ lungo, difficile e non lo neghiamo, doloroso, nelle parole di Bianco c’e’ una valenza assolutamente ‘super positiva’, anche quando dice che come tanti si sente nessuno (in Maremoto). Si parte dalle relazioni, quelle lunghe. “(ad esempio), Le abitudini della domenica, che e’ questa cosa del rapporto che dopo tanti anni perde da un lato ma ne guadagna da un altro, semplicemente si evolve e cambia, e’ un’accettazione molto bella” E’ un altro stadio dell’amore? “Esattamente come impare una lingua straniera ,che inizi ad appassionarti quando cominci a capire anche le sfumature”.

Abitudine vuol dire casa, che e’ un luogo fisico, una “residenza artistica” appunto o una sensazione. Vuol dire Nord Italia (un gran gioco di parole che e’ in Paura Padana), vuol dire Torino, a cui Alberto guarda con un certo orgoglio, vedendo come la sua famiglia allargata (che include la Vicario, ma anche la sua storica collaborazione con Fabi) si stia di fatto avvicinando da Roma alla sua citta’. “Io sono molto appasionato anche dalla dimensone di progetti che hanno qualcosa di casalingo, a ‘conduzione famigliare’. E’ quella dimensione che ti permette di godere della vicinanza delle persone che ti ascoltano, e di imparare reciprocamente cose che poi entrano nei dischi”. I ‘nuovi amici’? “Sono persone nuove da un certo punto di vista. Con Margherita (Vicario) ci lega un’amicizia da tantissimi anni, almeno decina. Con Federico Dragogna e Dente (che firmano rispettivamente Il Tempo Dal Mare, insieme alla Vicario, e Fuochi D’Artificio) ci conosciamo da meno tempo, pero’ la cosa assurda e’ che una volta che hai consolidato un’amicizia, una volta che ti trovi a condividere il testo di una canzone piuttosto che un’armonia o una melodia, sembra di averlo fatto insieme da sempre”. E infatti sono insieme sul palco dopo la proiezione per la loro stand up comedy di ricordi della casa di Formentera. “Come un atto platonico in cui hai questo amore, che si consuma e dici: vabe’, facciamolo sempre… e ora non smettiamo piu!”
Sara’ questa la tanto agognata felicita’? Chi puo’ dirlo. Ci saranno almeno dieci date a partire dal 24 novembre nel tour di Alberto per convincerci di aver scoperto una grande cosa. Nel frattempo, nel mio piccolo, anche io vorrei stare bene oggi come Alberto Bianco.
