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Interviste

MUDHONEY: “Continuiamo ad andare in tour e siamo ancora dannatamente grunge”

Lunga chiacchierata con il chitarrista e il bassista della storica band di Seattle. Che confermano che, dopo quasi quattro decenni, non è ancora giunto il momento di fermarsi

Intervista di Silvia Cravotta

Il manager dei Mudhoney, Bob, ci viene incontro sorridente e gioviale mentre un vento gelido sferza le persone in attesa del concerto del gruppo in Santeria a Milano (qui il reportage della serata). Ci accompagna dentro il locale da Guy Maddison che, dopo una vigorosa stretta di mano, ci fa cenno – a sorpresa – di seguirlo verso il bus della band, dove ad aspettarci c’è Steve Turner. Il co-fondatore (insieme a Mark Arm) della band è scalzo e gentile, e accomodiamo tutti a un tavolino stretto. Accanto c’è Guy, ovvero colui che ha sostituito il bassista Matt Lukin dopo il suo addio nel 2001, permettendo alla band di proseguire quel percorso arrivato fino ad oggi.

Non è una impresa semplice mettere su carta una intervista con i Mudhoney, anche se a parlare sono solo due di loro. Perché, nella mezz’ora che ci hanno dedicato, si è fatta una piacevole chiacchierata a tre in cui le voci hanno interagito e si sono sovrapposte su più piani. Quello che segue è quello che ci hanno raccontato.

Tornate in Italia dopo due anni, con nel bagaglio Plastic Eternity, uscito l’anno scorso. E suonate in un club, vostra location preferita. Com’è questo tour 2024?

Steve Finora è stato fantastico. L’ultima volta abbiamo fatto un solo concerto in Italia, a Bologna. Fortunatamente, questa volta suoniamo un po’ di più. E ne sono felice, amo l’Italia.  

Guy Sì, è stato un grande tour finora. Siamo andati anche in Spagna, un’area che ci è sfuggita un paio di volte in passato, e abbiamo fatto più date lì rispetto ad altre volte. Ogni tour è un po’ diverso in termini di percorso e di pubblico. E questo lo rende interessante per noi.

Mudhoney in concerto a Bologna 2022 foto di Andrea Ripamonti

Sono 36 anni che siete on stage. Qual è il segreto della vostra longevità? Vi sentite gli stessi ragazzi che hanno iniziato negli anni ’90 a Seattle?

Steve Mark e io suoniamo insieme dal 1983, quindi in realtà per noi sono più di 40 anni. Certo, le sensazioni sono diverse. Sai, siamo vecchi a questo punto e dovresti sentire come suoniamo la mattina. Un sacco di gemiti e lamenti, tosse e lamentele per le nostre anche (ride).

Guy I danni dell’età, non si può sfuggire. Ma sì, alcuni elementi sono diversi, altri sono sempre gli stessi. Suoniamo ancora lo stesso tipo di musica. Alcune canzoni sono state suonate per molti anni prima che io entrassi a far parte del gruppo. Queste cose rimangono una sorta di costante.

Steve E penso che, dentro di sé, ognuno si senta ancora la stessa persona di quando era bambino. Giusto? Il cervello sa che non siete la stessa persona, eppure io non mi sento come un uomo di 59 anni. Tranne quando inizia il dolore fisico.

Siete considerati una band di culto, dopo tutti questi anni siete riusciti a venire a patti con la popolarità?

Steve La nostra popolarità è inferiore a quella di molte altre band associate al grunge. Abbiamo altri lavori e altre vite, tre su quattro di noi hanno figli. C’è quella vita e poi c’è la vita dei Mudhoney, che è una specie di costante e ci piace molto. Sono incredibilmente grato per il fatto che la gente ci venga a vedere, che si possano fare questi viaggi e che questo ci permetta di portare a casa un po’ di soldi, altrimenti non lo faremmo.

Guy Penso che il nostro livello di popolarità non sia lo stesso di quello che la gente generalmente considera il livello di popolarità delle rockstar. Come dice Steve, siamo molto fortunati a poter andare in giro per il mondo, e persone in tutto il mondo vengono a vederci, il che è incredibile.

Steve Tutto questo rappresenta un certo livello di successo che non avrei mai immaginato quando avevo vent’anni. Ma allo stesso tempo non è, come dire, travolgente. La nostra popolarità non è travolgente come forse lo è per Eddie Vedder o altri.

Guy Siamo amici di molte persone di Seattle che hanno avuto successo. Uno dei miei migliori amici è Stone Gossard che, negli anni Novanta, non riusciva ad andare da nessuna parte. E io pensavo: “Non voglio questo. Voglio poter andare al supermercato senza essere importunato dalla gente”. Stone è riuscito in qualche modo a scomparire. Adesso esco a cena con lui e nessuno lo riconosce mai. È davvero strano. Ora è un uomo di 50 anni con i capelli grigi che va a cena fuori e nessuno lo riconosce. E questo è fantastico.

Mudhoney in concerto a Milano 2024 | Foto di Davide Merli

Come gestite la vostra vita da band con quella normale tra famiglia e lavoro?

Guy Questa cosa va avanti da molto tempo. Anche quando vivevo a Seattle, prima di trasferirmi in Australia, lavoravo e potevo assentarmi dal lavoro solo per un certo periodo di tempo. Anche Mark, pur lavorando per la Subpop, non può assentarsi a tempo indeterminato. Quindi il modello di tournée è stato costruito intorno a queste restrizioni. 

Steve E poi, sai, abbiamo dovuto tenere conto della vita e delle responsabilità dei nostri figli, anche se ora sono cresciuti.

Guy Credo che questo si riferisca anche a ciò che ci hai chiesto prima sul livello di fama della band. Non sono sicuro che il nostro livello di fama abbia un corrispettivo nel fatto che siamo in giro tutto l’anno, tutto il tempo.

Steve Sarebbe difficile. Una delle band che mi viene in mente che lavora così duramente sono i Melvins, che sono in tournée quasi tutto l’anno con progetti diversi. Modificano qualcosa per renderlo abbastanza diverso da far sì che la gente torni a vederli, anche pochi mesi dopo. Ma io non vorrei andare in tournée così tanto. 

Guy La loro vita è essenzialmente quella, costruita intorno all’etica del lavoro, del continuo essere là fuori, il che è fantastico per loro. Perché sono davvero bravi.

Steve Registrano costantemente. Possiedono il loro studio di registrazione e pubblicano nuovi dischi. Vedo i Melvins più di qualsiasi altra band in questo momento.

Guy Ma è una scelta che fanno e che comporta delle concessioni da fare. Non hanno lo stesso tipo di vita che abbiamo noi, che lo vogliano o meno, con i figli che vivono in casa e diversi tipi di lavoro e di vita professionale. E quindi hanno fatto questa scelta.

Steve È un lavoro e va fatto. Non abbiamo mai voluto essere sempre in tour, ma questo è l’unico modo in cui una band del nostro livello può avere un lavoro, perché non si tratta di royalties sulle vendite dei dischi o sulle piattaforme di streaming. Non si ottiene nulla con questo, in pratica è come regalare la propria musica. Quindi, sì, devi fare un sacco di tour, ma noi non vogliamo farne troppi.

Mudhoney in concerto a Pordenone 2024, foto di Cesare Veronesi

Siete chiamati pionieri, padri, fondatori del grunge. Questa etichetta vi piace o vi infastidisce?

Steve Se guardo al contesto storico, non si può negare che siamo una delle prime band grunge considerate tali. E mi sta bene. Mi sta bene questa parola. Non credo che ci limiti in alcun modo, ma storicamente è un dato di fatto che siamo stati la prima band di successo della Subpop. Eravamo grunge. E, dannazione, siamo ancora grunge.

Guy La parola stessa non è stata creata da musicisti come noi. Non siamo stati noi a metterla in circolazione. È come se anche il punk non fosse stato creato dai musicisti. È l’etichetta che è stata appiccicata, come dice Steve, a un momento storico e a una certa scena. E quindi, sì, noi siamo il grunge. La cosa interessante è che molte cose di quel periodo sono considerate di quella scena, ma sono tutte completamente diverse, proprio come il punk.

Steve So che i Pearl Jam non erano particolarmente entusiasti di essere chiamati grunge, dato che provenivano da quella scena. La loro musica è certamente un rock più classico.

Guy Ma, sai, se pensi alle principali band di Seattle che vengono raggruppate insieme, c’è molta varietà nei gruppi. Gli Screaming Trees, gli Alice in Chains, i Soundgarden… Stesso movimento, musica diversa. E forse questo è ciò che attrae, anche le generazioni più giovani. È una sorta di tempo e luogo, piuttosto che un suono.

È vera la storia che Mark ha coniato il termine “grunge”?

Steve Ha usato il termine in una lettera scritta a una rivista nel 1981, o giù di lì. Ma il termine era già stato usato per descrivere la musica, riferito a chitarre sporche e distorte. La prima volta che l’ho visto è stato in un articolo su Johnny Burnette e il Rock and Roll Trio, un gruppo rockabilly degli anni Cinquanta che suonava con l’amplificatore rotto. Quindi aveva un suono di chitarra sfuocato che l’articolo descriveva come “grungie”. Mark stava solo pubblicizzando la sua band, Mr. Epp & The Calculations. Ha scritto una lettera fingendo di essere qualcuno che si era arrabbiato dopo aver visto la band dicendo che era terribile. E che faceva un rumore sporco e terribile.

Il disagio di una generazione è esploso a Seattle: vi siete mai chiesti perché proprio lì e in quel momento?

Steve Credo che tutta questa storia di Seattle si sia sviluppata per un bel po’ di anni prima di esplodere. Eravamo già tutti in gruppi musicali nell’83 o nell’84. E venivamo tutti dal punk rock, che è una musica arrabbiata. Quello che stava accadendo nella scena musicale underground americana a metà degli anni Ottanta era un sacco di rock and roll tormentato che cercava di capire cosa fare dopo l’hardcore e il punk rock. L’hardcore era una specie di vicolo cieco nella mia mente perché potevi andare solo così veloce. Ma ci sono band come i Sonic Youth, i Big Black, i Whole Surfers, i Black Flag che hanno rallentato. Erano, come dire, molto tormentati nei loro testi e cose del genere. Credo che in generale i giovani musicisti tendano a vedersi come artisti tormentati.

Guy La gente vuole esplorare cose nuove e i tuoi orizzonti si allargano dopo un po’, suppongo. Come ha detto Steve, molte cose sono nate dall’hardcore e dal punk. Ricordo che quando ero giovane e ascoltavo solo certi tipi di musica e poi pensavo che non avrei ascoltato nient’altro perché non poteva essere altrettanto buona. Poi, con l’avanzare dell’età, ci si allarga e si esplorano nuove cose. Credo che per me sia stato proprio questo il punto di partenza: scoprire altre cose che non fossero necessariamente punk rock e che mi divertissero.

Quella rabbia e il disagio che hanno caratterizzato il movimento di allora li vedete anche nelle band di oggi?

Steve Penso non sia legato strettamente alle generazioni, perché ogni anno si formano nuove band. Sento ancora molta rabbia nella musica, è una di quelle emozioni che si provano con la musica forte e aggressiva. E poi devi scrivere dei testi che vadano di pari passo con questa forte aggressività. Potrebbe non trattarsi di gomme da masticare e lecca-lecca se stai cercando di distruggere la gente con la tua musica.

Guy Se parliamo di noi, i sentimenti di quei temi sono ancora presenti nella scrittura dei testi di Mark. Molte cose sono cambiate, ma i temi sono ancora presenti. E, insomma, ci sono ancora certi suoni che faremo sempre perché ci piacciono. 

Steve Ma di sicuro vedo molta rabbia nelle giovani band. Voglio dire, questo è il punk rock.

Guy E c’è sempre un nuovo raccolto che arriva. Credo che alcune delle cose interessanti che sono state fatte di recente siano state le sperimentazioni con i diversi strumenti. Si vedono molti più gruppi synth e punk oggi rispetto al nostro periodo.

Mudhoney in concerto a Roma 2018, foto di Emanuela Vh. Bonetti

Chi potrebbero essere oggi i vostri eredi?

Steve Le band più giovani che abbiamo amato nel corso degli anni, come i Metz e i Pissed Jeans, sono tutte band Subpop. Non di proposito. Ma sono solo band con cui siamo andati in tour, più giovani di noi, e che abbiamo trovato fantastiche. Anche alla fine degli anni Novanta, vedevo i Murder City Devils come la nuova generazione di quello che stava succedendo a Seattle, perché anche loro avevano un po’ di influenza anni Sessanta e un po’ di punk rock di quell’epoca. Se vedo gruppi come questi, mi viene da pensare: “Sì”. Credo che li abbiamo un po’ influenzati. E poi abbiamo appena fatto un tour negli Stati Uniti con una band chiamata Hoover 3, che non credo sia necessariamente influenzata da noi, ma si sente come un compagno di viaggio: so che gli piacciono molti dei nostri stessi dischi.

Guy Ma, voglio dire, si potrebbe anche parlare della band di supporto che fa parte di questo tour, i Søwt dai Paesi Bassi. Mi piace ascoltarli. Hanno ovviamente ancora una certa rabbia nella loro musica e hanno influenze che provengono dallo stesso luogo da cui arrivano molte delle nostre influenze.

Steve Quando li ho sentiti per la prima volta, ho pensato: “Beh, hanno sicuramente un sacco di dischi dei Sonic Youth”. E sono giovani.

Steve Sai, è come se non vedessi il rock and roll legato a una generazione, perché ci sono solo band che continuano ad andare avanti. E molte di esse si costruiscono l’una sull’altra. Si scavalcano i morti, se vuoi. Si può continuare ad andare avanti e scegliere diverse influenze dal passato perché sai che a questo punto non farai mai qualcosa di completamente originale.

Come il digitale e il sistema Spotify hanno influenzato il vostro modo di fare musica?

Guy Parlo per me e posso dire che Spotify non abbia alcun effetto sul mio modo di creare musica. Non uso nessuno di questi servizi di streaming. Sicuramente le band più giovani che conosco rimangono in contatto con altre band, attraverso i social. Sembra che negli Stati Uniti ci sia una comunità di band giovani che si conoscono tutte e che comunicano attraverso Instagram. È il loro spazio di collaborazione, il che è un po’ strano per noi, non penso certo a queste cose quando penso alla musica. Siamo un paradigma della vecchia scuola, tipo: scriviamo un album e facciamo, sai, 10 canzoni che riempiranno un album e poi si vedrà…

Steve E lasciare che qualcuno dell’etichetta discografica decida cosa ne pensa. Dovrebbe essere un singolo da mettere sulle piattaforme, insomma. Non siamo noi. In questo non siamo molto efficaci.

Fino a quando vi vedete con gli strumenti in mano?

Steve Ci pensiamo. A volte è un “voglio fermarmi”, a volte un “non voglio fermarmi”. Ma ci saranno momenti in cui i problemi di salute saranno un problema. Non c’è modo di evitarlo. Vedi Neil Young che ha dovuto cancellare il suo tour di recente. Sappiamo tutti che succederà.

Guy Voglio dire, non c’è nulla che possa cambiare nell’immediato futuro, ma sì, Steve ha ragione. Voglio dire, è ovvio che per giocare servono sia le facoltà mentali che quelle fisiche. Penso che ci sia sempre la possibilità di cambiare, di trovare un nuovo modo di fare le cose se qualcosa non funziona più. Cioè, se le dita smettono di funzionare, ci sarà un altro modo per fare rumore. Giusto? Quindi c’è sempre questa possibilità. Penso che, sì, il tour non sia un obiettivo infinitamente raggiungibile.

Steve Sono fortunato perché mi piace anche la musica acustica, quindi posso sempre sedermi sul mio divano e suonare la chitarra acustica. Probabilmente è lo strumento che suono di più, perché puoi farlo in qualsiasi momento.

Ultima domanda. “Acetone” è il sacro Graal per i vostri fan che vorrebbero sentirla live. Perché non la suonate in concerto?

Steve Non c’è modo di suonare quella canzone.

Guy È una canzone fantastica, sì

Steve Non possiamo, erano tutte sovraincisioni. Avevamo così tanti strumenti diversi in quella canzone che non c’è modo di farla dal vivo. E almeno nella mia mente, quello era il nostro tentativo di fare una canzone di Townes Van Zandt, in pratica. Sai, era un po’ folk e, tipo, stratificava sempre più strumenti man mano che la canzone andava avanti. E non vedo proprio come si possa fare una canzone del genere dal vivo.

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