I Westfalia sono Vincenzo Destradis, Jacopo Moschetto, David Paulis ed Enrico Truzzi. Legati all’ambiente del Jazz e con studi di Conservatorio alle spalle, il quartetto sceglie Bologna come loro casa creativa.
Durante l’ultima edizione di X Factor fanno un grande regalo all’audience del noto talent show. In che modo? Semplicemente partecipandovi e presentando un progetto musicale, originale e nuovo, in cui ricerca e sperimentazione stanno alla base. A loro volta, si portano a casa una maggiore consapevolezza e qualche tip professionale in più, che non fa mai male!
Il 18 febbraio lanciano Sunset Kids, il nuovo singolo fuori per Needn’t che vuole essere il manifesto di una generazione sofferente per un futuro pieno di incertezze, capaci di spezzare qualsiasi sogno nel cassetto.
I Westfalia lanciano un messaggio di esortazione ai giovani affinché i loro sogni possano sorgere all’alba piuttosto che morire insieme all’effimera bellezza del tramonto.
Ciao ragazzi come state? Quali sono state le tre cose più belle successe dopo X-Factor?
“Ciao! Beh, siamo in forma smagliante. È appena uscito il nostro nuovo singolo Sunset Kids e stiamo lavorando su un EP, inoltre abbiamo realizzato un video live al Deposito Zero di Forlì e siamo veramente contenti del risultato. Al momento ci stiamo preparando per le prime date di quest’anno: Milano (al Biko, 3 marzo), Roma (Alcazar, 4 marzo) e Bologna (Locomotiv, 26 marzo). Insomma, dopo quasi due anni in cui non si è mollato niente nonostante la situazione tutt’altro che rosea, finalmente si cominciano a vedere dei risultati.
La prima cosa bella che ci è successa sicuramente è stata quella di recuperare un contatto diretto con le altre persone, quelle in carne ed ossa e che non sono necessariamente mediate e filtrate dai social. Capiamoci, anche durante il periodo di X-Factor abbiamo conosciuto un sacco di gente stupenda e stretto dei legami importanti, ma la sensazione di fondo era quella di stare dentro una bolla, sotto una specie di campana di vetro dove del mondo esterno arrivava solo un eco lontano. La nostra musica si nutre letteralmente del tessuto sociale circostante, racconta delle storie magari anche in modo caricaturale, ma che come punto di partenza hanno sempre qualche esperienza reale. Condividere ciò che siamo con altre persone, musicisti e non, è qualcosa che ci ha sempre stimolato e arricchito tantissimo, siamo felici di essere tornati alla realtà.
La seconda, ma non in ordine di importanza, è stata il fatto di poter tornare a suonare e a scrivere in totale libertà, arricchiti dalle esperienze maturate in questi mesi e con una consapevolezza nuova di quello che possiamo arrivare ad aspettarci dalla performance e di come possiamo costruirla, ma finalmente svincolati dalle logiche tipiche della televisione e dei prodotti per essa concepiti, come il fatto di doversi attenere a una certa durata dei brani, di dover suonare musica di altri perché più apprezzata dal pubblico o di essere semplici a tutti i costi.
La terza non la possiamo dire, ma non vediamo l’ora di annunciarla. Diciamo che questa primavera per ora promette molto bene e che ci sono importanti novità in arrivo, non solo dal punto di vista discografico. Abbiamo costruito un live bomba, dove abbiamo cercato di mettere insieme il meglio dell’esperienza fatta in televisione con quello che consideriamo più rappresentativo della nostra estetica e dopo le date di marzo siamo pronti a portarlo in giro per la penisola…e non solo.”
Certamente una vetrina importante, ma cosa vi ha spinto – oltre a questo – a partecipare?
“Dobbiamo essere completamente onesti? Inizialmente l’idea di partecipare a una trasmissione a metà tra il pop mainstream e il reality show non ci convinceva affatto, al punto che in un primo momento abbiamo deciso di rifiutare la proposta che era arrivata dal nostro management. Poi abbiamo approfondito la questione: nessuno di noi aveva mai visto un talent, d’altronde non abbiamo neanche la televisione in casa, figuriamoci la pay tv! Ci è sembrato che il format e la qualità media della proposta musicale fossero molto cambiati negli ultimi anni, così ci siamo detti che partecipare poteva essere un modo per provare a suscitare un po’ di interesse da parte del pubblico per l”universo musicale da cui proveniamo, quello della black music e dei grandi strumentisti performer, che in Italia è ancora poco noto al grande pubblico mentre comincia negli ultimi anni ad essere un po’ più diffuso tra gli addetti ai lavori, anche se spesso solo limitatamente alla musica jazz. Abbiamo partecipato alle selezioni di X-Factor consapevoli di non essere musicisti mainstream, con l’idea di portare ciò che eravamo, ma al contempo ci affascinava l’idea di conoscere un po’ meglio il mondo del mainstream e di provare l’esperienza della televisione, dove si lavora a un livello altissimo e l’attenzione per la performance è al top perché nei tre minuti che hai a disposizione devi convincere chi ti ascolta. Insomma, è stata una bella scommessa e dobbiamo dire che non è andata affatto male.”
Siete in quattro: diverse le influenze, diversi i background, suppongo. Quanto le esperienze individuali possano poi arricchire un progetto collettivo?
“In una musica come la nostra, dichiaratamente crossover, l’apporto individuale è fondamentale. C’è chi di noi è più legato al mondo del soul/r&b, chi al mondo dei beat e della trap, chi è più progressive o math rock…quello che tiene insieme tutto è il fatto di essere tutti e quattro aperti e curiosi, oltre che la stima e il rispetto che ciascuno ha verso gli altri. Non che manchino divergenze di opinione a volte, in fondo è normale quando si passa tanto tempo insieme, ma se poi si trova sempre la quadra è grazie al fatto che ci piace creare e suonare insieme, e ci divertiamo tantissimo a farlo. Abbiamo tutti e quattro una creatività inclusiva, che contempla e valorizza l’apporto degli altri, quindi tendiamo più a voler incorporare che a voler prevalere.”
E’ innegabile che siate tutti musicisti preparati! Si evince un certo tipo di formazione accademica. Dove avete studiato?
“Beh, diciamo che abbiamo tutti dei trascorsi da frequentatori di Conservatori, Vincenzo ha finito il biennio di jazz a Bologna, Davide a Rovigo ed Enrico e Jacopo lo stanno frequentando rispettivamente a Mantova e a Vicenza…potremmo dire che è stato l’ambiente del jazz a farci conoscere, anche se ognuno aveva già alle spalle anni di studi diversi, alcuni di tipo accademico come Davide con il contrabbasso classico ad Amsterdam o Jacopo con la composizione classica, altri intrapresi individualmente, magari suonando altri generi con altre band o prendendo lezioni private e frequentando seminari. Per dirne una, ad esempio Enrico e Davide hanno dei trascorsi da metallari.”
Ricercatezza e contaminazione sono due aspetti che vi caratterizzano: voi che musica ascoltate e quale artista ci consigliereste di ascoltare?
“Difficile sceglierne uno, ma su Spotify puoi trovare la nostra playlist con un po’ dei musicisti che sono stati e sono fonte di ispirazione per la nostra musica, e che a dal nostro punto di vista possiedono entrambe le caratteristiche che hai nominato. Ci piacciono i classici, ma ci affascinano gli sperimentatori.”
Gusto e sperimentazione sono due keywords della vostra musica. Credete che il target di un talent show – in Italia- sia pronto per una proposta per nulla mainstream e trasversale come la vostra?
“Inizialmente abbiamo accettato di partecipare a un talent con la quasi certezza di non arrivare oltre ai bootcamp… e comunque di sicuro non ai live! Dobbiamo dire che i giudici sono stati coraggiosi a portarci avanti, così come lo è stata la Redazione a togliere l’eliminazione alla prima puntata dei live, cosa che di fatto ci ha permesso di esibirci per due volte al teatro Re-Power, e a voler inaugurare i live con una prima puntata all’insegna della musica originale, scelta che da quanto abbiamo capito non ha incontrato particolarmente i gusti del pubblico. Secondo noi è giusto che si ascolti musica nuova, tutta diversa e fatta dai musicisti di adesso per il pubblico di adesso, perché la musica non deve rimanere appannaggio del mercato, ma deve tornare a connettersi con la società e a rappresentarla. Ci hanno fatto piacere queste scelte da parte della Redazione e ci ha fatto soprattutto piacere il fatto che, su cinque volte che ci siamo esibiti, tre volte abbiamo suonato la nostra musica.”
Parliamo del nuovo singolo, Sunset Kids, uscito venerdì 18 febbraio. Brano dal contenuto importante. Cosa vi ha spinto a sensibilizzare sulla condizione in cui tantissimi giovani si trovano oggi?
“Sunset Kids è nato nella primavera del 2020 in piena pandemia, un momento di difficoltà ma paradossalmente di piena ispirazione per il progetto. Abbiamo buttato nella scrittura tutte le nostre insicurezze sul futuro e la band ne è uscita rafforzata. Abbiamo voluto raccontare una generazione che di cambi abissali ne ha vissuti parecchi e che nel momento in cui deve prendere le redini della società si sente smarrita, osteggiata da un “paese per vecchi” che pecca spesso di fiducia nei confronti dei giovani. Per questo il brano vuole essere un inno di incoraggiamento e orgoglio, usando l’autoironia come arma vincente.”
La realtà digitale dei social network sembra essere diventata in modo assurdo più performativa della vita reale. Secondo voi quanto è insano tutto questo?
“Più che performativa diremmo che è più diffusa. In fondo i social sono molto performanti nel veicolare contenuti, ma non lo sono altrettanto nel veicolare sensazioni o emozioni. Il like di un amico, un commento online o un video su youtube non sostituiranno mai un abbraccio, un complimento ricevuto di persona o l’energia di un concerto dal vivo. Poi certo, chi vuol vivere di musica sui social deve necessariamente imparare a starci, ma per noi non sono sicuramente al centro di tutto.”
Riguardo al testo di Sunset di Kids, perché l’espediente dell’autoironia e della provocazione?
“Ci piace parlare di cose serie e che consideriamo importanti senza sentirci depositari di chissà quali verità, ma in modo sincero e con leggerezza. L’autoironia è un ottimo modo per non prenderci troppo sul serio. Anche perché in fondo a dirla tutta non siamo proprio noi quelli di cui parla il testo: tutti e quattro studiamo, ci diamo un sacco da fare e vorremmo che il ruolo della musica e dei musicisti fosse maggiormente riconosciuto, come all’estero in molti casi già succede.”
La cover di Sunset Kids mi ricorda quella di Demon Days dei Gorillaz. Ovvia e naturale la scelta dell’inglese per la musica che fate. Sperimenterete qualcosa in italiano in futuro?
“Beh, intanto grazie per l’accostamento con i Gorillaz, una delle nostre band preferite! Quella dell’italiano è una strada che sicuramente abbiamo intenzione di percorrere, ma sempre partendo da esigenze espressive e non per inseguire il mercato, per cui probabilmente ci decideremo a fare uscire qualcosa nella nostra lingua madre sono quando saremo convinti del risultato…quando sarà ti faremo, insomma!”
Alessia Pardo
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