Interviste

The SMOKE ORCHESTRA: il funk che vola nello spazio con “Celestial Bodies”

THE SMOKE ORCHESTRA, il progetto nato come SMOKE e composto dai musicisti tra i più apprezzati nella scena funk italiana, ha pubblicato a metà novembre l’album di debutto CELESTIAL BODIES, il primo album di inediti del nuovo progetto, anticipato negli scorsi mesi dai singoli HENRIETTA LEAVITT AND THE CEPHEIDS VARIABLES, INTERSTELLAR e HOT MERCURIO.

 – Come nasce The Smoke Orchestra? Qual è stato il percorso che vi ha portato da Smoke al progetto più ampio e orchestrale di oggi?

 Il passaggio da “Smoke” a “Smoke orchestra” è avvenuto nel periodo in cui ci siamo “prostituiti” musicalmente, mettendoci al servizio di altri artisti (non rinneghiamo, sono state tutte esperienze formative…) che non facevano parte del mondo del reggae dal quale provenivamo, nella fattispecie fu Nina Zilli a “ribattezzarci”  per questioni editoriali.

Già dalla fine di questa sopracitata esperienza c’era la voglia di tenere insieme la band e, in maniera molto spontanea e naturale, abbiamo messo in piedi un repertorio di cover funk d’annata quasi interamente strumentale, che abbiamo suonato un po’ in giro, e registrato in “Hot Funk & sweaty” nel 2020 pubblicato con Irma Records. 

Poi, con l’avvento del Covid si è aperta una falla spazio-temporale che ci ha permesso di (costretto a) fermarci completamente da tutte le nostre variegate attività, e poter fare un percorso immersivo in stile con alcune grandi band del passato, che si chiudevano in studio per mesi e mesi, a fare e disfare lavorando su un unico progetto.

 Inizialmente anche “Celestial Bodies” doveva essere un disco strumentale, e questa cosa ha fatto sì che tutti gli arrangiamenti funzionassero anche senza voci, ma poi, dopo averne cantato uno (per caso) ci siamo accorti della maggior potenzialità dei brani e del fatto che l’uso dei testi contribuisse ad allargare l’orizzonte creativo senza uscire dal seminato.

 – “Celestial Bodies” è un concept album ispirato allo spazio. Cosa vi ha spinto a esplorare un tema così particolare e cosmico?

 Esiste la figura del musicista che è anche un romantico e curioso osservatore del cielo… ed è bastato che ci si trovasse in due a condividere questi interessi per dare il via al progetto. Non siamo comunque i primi a mettere insieme questi “argomenti”, basti pensare a Bowie o, prima ancora, i Gong. 

Diciamo che la ragione metaforica che ci ha spinti a esplorare questo tema è che non potendo effettuare in prima persona viaggi spaziali, abbiamo trovato così il nostro modo per alienarci, questa volta volontariamente, da questo nostro pianeta in via di decadimento generale.

 – Le sonorità funk si mescolano a sintetizzatori e atmosfere psichedeliche. Come avete lavorato per far convivere strumenti vintage con elementi più moderni?

Siamo tutti appassionati di musica e strumenti vintage, ma viviamo nel presente e lavoriamo anche con strumenti di oggi.

Abbiamo da subito rinunciato a voler ottenere un suono puramente vintage, cosa che ci avrebbe imposto troppi limiti creativi, oltre che un notevole dispendio di energie, e abbiamo cercato di fare uso dell’elettronica in maniera molto ponderata e solo quando completamente inserita nel sound generale. Credo inoltre che l’elemento più moderno siano in verità le parti cantate…

L’uso dei sinth è essenziale per dare il tocco spaziale (vedi George Clinton) così come l’aggiunta di effetti tipo Delay e riverbero.

 In un brano abbiamo utilizzato il vocoder che crea l’effetto voce robotica come facevano i Kraftwerk 40 anni fa. 

 – “Henrietta Leavitt and the Cepheids Variables” è dedicata a un’astronoma spesso dimenticata. Come mai avete scelto di raccontare proprio la sua storia?

Come Henrietta ci sono tante altre figure dimenticate in ogni ambito, semplicemente l’abbiamo eletta personaggio simbolo di chi come lei ha svolto un lavoro immane ed importantissimo ma non è ricordato abbastanza.

Innanzitutto abbiamo provato a guardare dalla sua prospettiva, immaginandoci la sensazione di aver  finalmente trovato quello che si cercava da sempre …proprio li davanti a te!

In secondo luogo abbiamo scelto una grande Donna del passato che nonostante la sua importanza non appare nella lista dei grandi nomi, composta quasi sempre da uomini. 

Oggi come allora le donne fanno più fatica ad emergere rispetto ai colleghi maschi, e abbiamo ipotizzato che solo quando potremo raggiungere la nube di Magellano (al centro degli studi della Leavitt) saremo in grado anche di vivere veramente in pace ed unità.

 – “Pluto, the Dwarf Planet” celebra Plutone come “Pianeta del Funk”. C’è una storia particolare dietro questo brano?

 Plutone è sicuramente la nostra mascotte. Declassato a pianeta nano, non appare più nell’elenco dei pianeti ufficiali del nostro sistema solare.

Il fatto che presenta una grande macchia di ghiaccio a forma di cuore sulla sua superficie  e l’irrispettoso trattamento che ha subìto da parte della comunità scientifica internazionale ci ha spinto a dedicargli il nostro inno funk. 

 – Come è stato il processo creativo dietro “Celestial Bodies”? Vi siete ispirati a film, libri o esperienze personali legate allo spazio?

 Come dicevo, il disco inizialmente avrebbe dovuto contenere solamente brani strumentali, e come immaginario sonoro pensavamo a sigle\colonne sonore di telefilm\film di fantascienza anni 70, anche di serie B. Da quando abbiamo cominciato a scrivere anche i testi , non siamo stati più obbligati a rendere la musica a tutti i costi spaziale, ma l’abbiamo resa la base per gli argomenti astronomici, che ci sono stati ispirati in gran parte documentandoci, attraverso enciclopedie astronomiche cartacee (sempre vintage) e virtuali, consultate di volta in volta in base agli argomenti trattati.

L’unica citazione cinematografica/letteraria vera e propria è il messaggio alla fine di interstellar che rimanda a “Guida galattica per autostoppisti”.

 – Nella formazione live aggiungete ulteriori musicisti e cori. Come riuscite a portare sul palco l’energia e la complessità del disco?

 Faccio il musicista da 30 anni e devo dire che i brani di Celestial Bodies sono tra i più difficili da eseguire che abbia mai incontrato. Durante la fase di  registrazione, quando si suona uno strumento alla volta e si canta una voce alla volta (senza suonare) va tutto liscio (o quasi)… al contrario, per mettere tutto insieme la cosa diventa più complessa… ma le sfide sono sempre ben viste, e in molti casi portano a miglioramenti, come musicisti e come persone. 

 Nel disco abbiamo sovrainciso parecchie tracce di fiati che danno la sensazione orchestrale,  in due brani abbiamo inserito una sezione di archi…dal vivo ne faremo a meno, cercando di fare come i grandi artisti del passato (ai quali ci ispiriamo) che adeguavano la sonorità alla formazione live senza usare sequenze preregistrate per far suonare a tutti i costi il concerto come il disco.

 Abbiamo aggiunto all’organico due musicisti (Fabio “Faboulous” Forni – chitarra e Giovanni “Jack” Chierici – batteria) che fanno anche i cori, parte fondamentale del nostro tessuto sonoro.

 – Quale messaggio sperate di trasmettere con “Celestial Bodies”? Cosa vorreste che il pubblico si portasse a casa dopo averlo ascoltato?

Premesso che ognuno può trovare il messaggio che vuole e dove vuole… è il bello della musica e dell’arte in generale.

Comunque… se puoi fare una festa su Mercurio… fare due salti sulla luna… godere dello spettacolo di una Supernova che sta esplodendo… ballare il Funk su Plutone…  fluttuare antigravitazionalmente… e tutte le altre cose che in realtà non si possono fare, ma che puoi immaginarti di fare solamente ascoltando Celestial Bodies… forse il messaggio è: prova anche tu a mettere un pò di bellezza dove non c’è, e dove non ci potrà mai essere! 

Perché la verità è che al di fuori della nostra sottile atmosfera, è un fottuto inferno. 

E dopo averlo ascoltato vorrei che le persone cominciassero a pensare che si può ancora fare della buona musica, con strumenti veri, suonati veramente, e con delle idee, uscite dalla testa di persone umane, che ci hanno ragionato sopra un bel pò, per cercare di fare qualcosa di bello. Quindi, anche se non si direbbe,  nascosto sotto tutto il disco c’è un lungo grido di risveglio e di riscatto. Ma… non ditelo a nessuno! …Che non si sappia!

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