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Interviste

Vivere o Morire: Intervista a Francesco MOTTA

In occasione di Home Festival 2018, abbiamo intervistato Motta, reduce dal successo del secondo disco “Vivere o Morire” e alla fine di un intenso tour estivo. L’intervista è stata “collettiva” (e tra qualche giorno potrete vedere la versione video sulla nostra Instagram TV), ringraziamo quindi i colleghi Nicola Lucchetta, Camilla Franceschini, Futura 1993, Chiara Colasanti, e tutti quelli di cui ci siamo dimenticati.

La fine dei 20 anni è il tuo primo successo da solista e l’hai inciso con collaborazioni indie: mi riferisco a Giorgio Canali, Cesare dei Bud Spencer Blues Explosion e Alessandro dei Pan del Diavolo. Secondo te nel 2018, o comunque negli ultimi anni, il confine tra musica indie e mainstream si è assottigliato o quasi annullato?
Non saprei come distinguerle le due cose: ci sono artisti liberi e artisti meno liberi. Ci sono canzoni bellissime e canzoni che personalmente a me non piacciono. Mi avete fatto diventare democristiano ed è solo colpa vostra. Se mi vengono chiesti i nomi di solito non li faccio, non mi piace dire che ci sono gruppi che non mi piacciono, in questo senso sono democristiano. Dai, leviamo il “democristiano”, perché non lo sono in realtà, sono solo attento alle risposte. Più di prima. Ti posso dire chi mi piace: Riccardo Sinigallia di cui ora è in uscita anche un disco che ho avuto l’opportunità di ascoltare e di registrare con un paio di chitarre e che sarà bellissimo. Iosonouncane mi piace da morire, poi il disco che è uscito di Filippo Gatti mi piace tantissimo. Ci sono un sacco di cose che mi piacciono.

E di straniero niente?
Di straniero sì, c’ho un gruppo preferito di cui non posso dirvi il nome. Questa è un’altra storia e mi sto incasinando, fatemi un’altra domanda.

A un ragazzo che sta muovendo i primi passi nel mondo della musica che consigli daresti? Cosa fare e cosa non fare.
Di essere molto seri nello studio, e di ricordarsi sempre che quando studi la musica in realtà non devi solo studiare, ma devi suonare. Di stare molto attenti agli insegnanti di musica che ci sono perché purtroppo ce ne sono pochi di bravi. E sembrerà una banalità ma direi di divertirsi tanto con la musica e capire che sarà difficile.

Nel 2013 sei entrato in contatto con la scuola sperimentale di cinematografia di Roma e inoltre hai anche composto delle colonne sonore. Come cambia l’approccio alla scrittura quando sai che stai facendo una cosa per un documentario o per un film? Ripeteresti l’esperienza?
Certo che lo rifarei. In realtà cambiano pochissime cose, una cosa che però cambia tanto è il fatto che il testo non è che non c’è ma è come se fosse stato già scritto da un’altra persona e in qualche modo il fatto di non essere solo, ma di essere assieme a tanti altri aiuta ad arrivare a un risultato corale. Dunque mi piace tantissimo e lo rifarei anche perché musicalmente possono venire fuori cose molto diverse.

Parteciperesti a Sanremo?
Dipende, ma insomma, è il Festival della Canzone Italiana e io faccio il cantautore.

C’è una qualità emotiva veramente grande nei tuoi testi, Pacifico ti ha psicanalizzato praticamente, per far uscire testi che hanno rivelato ciò che sei e ciò che provi. Com’è stata questa esperienza, il conoscersi forse per la prima volta?
Beh, per la prima volta no, però ha passato più tempo con me rispetto al disco precedente. Queste sedute di co-scrittura possono avvenire in vari modi. Può accadere che l’altra persona scriva proprio un testo o, come è capitato a me, raccontando la propria vita e iniziando a parlare e buttare fuori delle cose esattamente come venivano dette nella conversazione poi venivano scritte. Poi dopo magari ci vuole un processo di sintesi oppure questa partenza ti può portare da un’altra parte. Magari si tratta di una verità immaginata e non si tratta esattamente di ciò che è successo a te, ma è quello che racconti di un’altra persona. Però, per tutte le mie canzoni, almeno per me, l’unica cartina di tornasole che c’è, è che appena finisco di sentirle mi devo emozionare e perché avvenga questo ci deve essere sempre un aggancio emotivo con una cosa che realmente mi è successa. Per me è molto sbagliato scrivere per cercare di arrivare al pubblico, quello deve essere una conseguenza. Poi ho visto anche che più vado sul personale, più arrivo alle altre persone.

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In questo mare di musica omologata, che futuro c’è per il cantautorato italiano?
Io faccio i dischi, non li vendo, quindi in realtà non saprei. Dico che c’è tanta gente brava e tanta attenzione e secondo me ci sarà una scrematura ad un certo punto tra chi riesce a fare i dischi belli e chi no. Però purtroppo non lo posso decidere io, se così fosse sarebbe fantastico.

Hai fatto 100 date per presentare il primo album, sta finendo il tour estivo di Vivere o Morire, cosa puoi dirci del futuro?
Ve lo dirò tra poco, però succederanno delle cose che saranno molto molto stimolanti.

Riguardo a questo, era meglio suonare in location più piccole, o adesso che hai raggiunto palchi importanti come l’Alcatraz, l’Estragon o grandi festival estivi, preferisci questi ultimi?
In qualche modo è come se mettessimo insieme in una produzione maggiore le persone che venivano a vedermi nelle piccole location. Adesso c’è una responsabilità maggiore per cui è più difficile e di conseguenza mi interessa di più. Però mi manca andare tanto in giro come facevo prima, quello sì.

Potresti tornare a fare il turnista?
Lo potrei fare, devo capire con chi però. Tutte le cose che ho fatto come turnista, non so se è stata una scelta veramente consapevole, ma se mi riguardo indietro sono state con i miei artisti italiani preferiti degli ultimi anni, quindi insomma ne sarei molto felice. Con tutti loro.

Ultima domanda: Qual è l’artista che non vuoi assolutamente perderti in questi giorni dell’Home Festival?
La Dark Polo Gang. Ma anche i Prodigy e i Prozac+.

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