Sub Pop / Audioglobe
Pare che il buon Daughn Gibson, prima di partorire Carnation, abbia fatto incetta di film e libri, recluso nella sua casetta di Carlisle in Pennsylvania. E si sente. Stemperato il country fluttuante e fantasmatico dei precedenti due lavori l’opera terza dell’ex batterista dei Pearls and Brass aumenta il tasso di elettricità, asseconda represse voglie elettroniche e amoreggia con suadenti traiettorie da raffinato pop-crooner europeo (Bowie/Sylvian) per enfatizzare le sue, ormai consuete, torbide storie (spesso tragiche, A Rope Ain’t Enough ) dal retrogusto cine-letterario.
Nuove fragranze sonore, dunque, tanto da relegare appena sullo sfondo quella patina tex-mex da motel sgangherato che ha spesso assecondato la sua voce pastosa (davvero esemplificativa, in tal senso, la densa Heaven You Better Come In). Quei “bad guys they made their mommas sad” incrociati tempo addietro sembrano ancora lì fermi dietro l’angolo, sì, ma dentro abiti più “borghesi”.
