Quando si sente parlare per la prima volta di una band il rischio è quello di lasciarsi influenzare dalle presunte somiglianze con colleghi più blasonati.
Conseguentemente questo può generare aspettative, positive o negative a seconda del punto di vista.
Oppure, se si tratta di paragoni con la band o il genere del momento, può insinuare un pregiudizio di fondo, ovvero quello di trovarsi di fronte alla classica e terribile “clone-band”.
Bene, fatta questa necessaria premessa, ecco una simpatica regoletta (in realtà valida anche in molti altri casi) da applicare per ascoltare questo disco: liberatevi da tutto ciò che avete sentito dire sui Foxhound e sulle presunte influenze che hanno portato alla produzione di Concordia.
E’ importante farlo, perché dei Foxhound si è sentito parlare parecchio e molte parole sono state spese nei loro confronti.
“Concordia” è un disco che non può essere catalogato sotto questa o quella etichetta. Sarebbe davvero un errore descriverlo e considerarlo per quello che non è.
E allora diciamo chiaramente cos’è “Concordia”.
“Concordia” è il disco d’esordio dei giovanissimi (classe 1992) torinesi Foxhound.
La questione anagrafica in questo caso sorprende molto positivamente, in quanto non è semplice trovare una band così giovane che riesca ad esprimere in modo così marcato la strada che intende percorrere. Il disco, appunto, segue delle precise coordinate che portano la band ad esplorare territori già percorsi, ma che ci vengono presentati in maniera del tutto personale.
Questa precisione dell’obbiettivo da perseguire unita a un’ottima capacità compositiva fanno di “Concordia” un buon disco. Senza dubbio i Foxhound sono partiti con il piede giusto realizzando un disco il cui ascolto scorre piacevole e veloce e vien voglia di riascoltarlo.
Menzione d’onore: uno dei protagonisti principali di queste 9 canzoni è senza dubbio il basso che riesce a dettare ritmi incalzanti per l’intera durata della parte centrale del disco.
Infatti la prima traccia è una brevissima intro, mentre in chiusura troviamo “I beat that bitch with her bats” che si fa notare per il bel lavoro delle chitarre.
“Movin’ back” e “Please, please you” non fanno prigionieri.
Andrea Castellan
