Il nuovo album degli Amari esce proprio all’indomani delle Top 10 dei momenti migliori e peggiori del 2012, che ognuno di noi ha stilato mentalmente in uno stato a metà tra la voglia di fare tipica di inizio anno e l’apatia post-feste. Un disco di bilanci, Kilometri, che rappresenta lo spasmodico bisogno della band friulana di raccontarsi e invitarci a entrare nella dimensione spazio-temporale in cui è stata racchiusa negli ultimi quindici anni.
Kilometri di strada e kilometri fatti di ore, minuti e secondi: puoi averli e sprecarli, come il procrastinatore di Aspettare, aspetterò, inesorabilmente, e quasi ipnoticamente, bloccato da un atteggiamento attendista su un sottofondo sciallato di arpeggi pastosi e balzellanti. Oppure, puoi svegliarti un giorno e renderti conto di essere impotente di fronte al tempo tiranno che spezza un amore sul nascere, o di non avere ritagliato abbastanza spazio per le persone fondamentali, per parlare col cuore e non per convenevoli, come la band esprime ne Il tempo più importante. Nel singolo di lancio predominano lyrics fatti di grovigli di pensieri ora sconnessi, ora lucidi; gli stessi di Africa, una lettera a cuore aperto scritta da lontano dalla quale, anche grazie al morbido e dolce pizzicare delle corde di chitarra, traspare l’immensa profondità d’animo e la palpabile veracità della parola cantata. Questa spiccata vena cantautoriale ben s’incastra in un tessuto sperimentale che da sempre identifica il sound gli Amari, come l’incalzante loop di tastiere elettroniche e magnetici motivetti che apre il sipario di Ti ci voleva la guerra, un brusco risveglio per il nostro apatico eroe che si ritrova a percorrere kilometri in bicicletta districandosi in una giungla cittadina, o nelle iterazioni strofiche de Il cuore oltre la siepe, accompagnate dalla tromba di Michele Procelli. Entriamo in orbita underground con la sintesi pop de La ballata del bicchiere mezzo vuoto, dove vaporosi e singhiozzanti cori fanno da contrappunto alla voci di Pasta e Dariella, ricamati da beat e bassi visionari e vorticosi. Il disco si chiude con un triangolo di ballad: A questo punto, che ricorda con un pizzico di nostalgia e ironia alla 883 gli anni novanta; Kilometri, un’ariosa e lineare narrativa di viaggio, e Rubato, aggettivo riferito ancora una volta al tempo che ci serve e che ci andiamo a prendere per garantirci un futuro.
Con questo disco, l’asse di Kilometri staziona ormai nella sfera della musica pop leggera, se non per qualche memento spensierato da nonsense tipico del passato. Il repertorio lo-fi è comunque indice di una maturità compositiva interessante, che si cristallizza in testi nel complesso più profondi e cronicamente più nostalgici e in sordina, e un nerbo sentimentale più accentuato ed edulcorato. Sarà questa l’arma a doppio taglio che sgretolerà del tutto l’ascendente esercitato dagli Amari sulla generazione indie italiana?
di Karen Gammarota
