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Reportage Live

A Glastonbury come al Flowers Festival: gli IDLES al loro meglio

Articolo di Umberto Scaramozzino (Flowers Festival, Collegno) | Foto di Denis Ulliana (Sherwood Festival, Padova)

Arrivano direttamente da Glastonbury, il festival dei festival, nel quale hanno confezionato uno degli show più iconici di questa edizione. Se avete aperto Instagram o TikTok nelle ultime ventiquattro ore – ammesso che abbiate il feed giusto – avrete certamente visto uno dei tantissimi contenuti a testimonianza dell’ultima opera di Banksy, che ha scelto proprio il live degli Idles a Glasto per tornare a far parlare di sé. Ma mentre tutto il mondo della musica sottolineava la grande prova del combo di Bristol e la benedizione arrivata senza preavviso dallo street artist più conosciuto al mondo, gli Idles volavano dal Regno Unito fino a Torino, per raggiungere Collegno, nello specifico il piccolo ma accogliente cortile della Lavanderia a Vapore, sede del Flowers Festival.

Era dai tempi dei Biffy Clyro nell’edizione del 2017 che il festival che anima le estati dell’hinterland torinese non vantava in lineup un gruppo rock internazionale di tale qualità. Il fiore all’occhiello del cartellone 2024 rischiava però di risentire della stanchezza o della fase fisiologicamente calante che segue un evento ad alto tasso d’intensità, come Glastonbury. Insomma: se domini l’Other Stage e spingi decine di migliaia di inglesi a urlare all’unisono “Fuck the King” all’evento musicale più iconico e importante del Regno, mentre Banksy lancia il suo “migrant boat artwork” durante una tua canzone, sei più che legittimato a prendere sottogamba la data di Collegno, limitandoti a timbrare il cartellino. Ma niente di tutto questo: un po’ di stanchezza c’è, ma da autentici professionisti gli Idles fanno ugualmente e clamorosamente quello che sanno fare meglio: spaccare, come si suol dire.

Con una scaletta di un’ora e mezza serratissima, che predilige il recente disco TANGK e il seminale (e ancora insuperato) Joy as an Act of Resistance, gli Idles non perdono tempo in chiacchiere e, a parte i doverosi ringraziamenti verso il focoso pubblico, si prendono qualche secondo di pausa dalla loro festa punk giusto per sostenere la Palestina, puntare i riflettori sull’immigrazione e ingiuriare la corona inglese. C’è tempo anche per il tema più innovativo del loro ricco repertorio: l’amore. Sì perché, per usare un costrutto ormai irrinunciabile al giorno d’oggi, questa è la “Love Era” degli Idles. Incomprensibilmente Grace resta esclusa dalla setlist, ma con Dancer, Gift Horse e gli altri brani del lotto,  il nuovo e scintillante messaggio di Joe Talbot e soci investe la platea del Flowers Festival in tutta la sua potenza: smettete di pensare, amate e ballate. «Perché l’amore è una cosa molto complessa, che non richiede di essere pensata» dice Joe, ballerino formidabile che tra un movimento pelvico e un pugno autoinflitto al proprio scalpitante petto riesce a rinnovare con fervore la sua immagine assolutamente iconica.

Nello squadrone in missione per diffondere amore e passetti di ballo libero i ruoli restano ben definiti. Lee Kiernan è la scheggia impazzita della band, quella che surfa sul pubblico e sferza l’aria con il manico di quella chitarra che per puro miracolo arriva sempre intatta a fine concerto. Mark Bowen ammalia la platea con i suoi outfit unici e spavaldi, mentre quel sorriso nascosto dai baffoni scatena un malsano desiderio di salire sul palco e abbracciarlo forte. Adam Devonshire e Jon Beavis sono la granitica sezione ritmica ma anche il nucleo istituzionale che tiene in piedi tutta la baracca, senza rinunciare a divertirsi vistosamente, prendendo parte ai festeggiamenti. E poi c’è Mr. Talbot, con la sua postura granitica che si scioglie nell’imprevedibile fluidità dei suoi passetti di danza, e miete vittime a destra e sinistra. La platea risponde urlando, ballando e pogando fino a spremere l’ultima goccia di sudore, mentre nel cielo si staglia un sensazionale spettacolo gentilmente offerto da una tempesta di fulmini.

Gli Idles confezionano l’ennesima prova di forza, tonica, muscolare. Ribellione, antifascismo e amore si amalgamano in una miscela che definire esplosiva sarebbe banale, ma anche riduttivo. Inutile girarci intorno: al momento, Joe Talbot e soci sono una delle migliori rock band in circolazione. Dal vivo, poi, non temono praticamente alcun rivale. Si pensava che la bolla del post-punk fosse destinata a scoppiare molto presto, al moltiplicarsi di band surrogate che sembravano uscire da una catena di montaggio, ma così non è stato. La scena musicale più vitale del rock inglese sta continuando la sua marcia verso l’Europa e verso il mondo, con due nomi in particolare, provenienti rispettivamente dalle due isole di Irlanda e Gran Bretagna: Fontaines D.C. e Idles. C’è addirittura chi azzarda un paragone grosso, quello con la rivalità tra Oasis e Blur, che qualche decennio fa decideva le sorti della musica occidentale, ma la verità è che dagli abbracci nei backstage dei grandi festival e dalle parole di stima reciproca appare chiaro il clima di co-elevazione che caratterizza queste due band e tutte quelle che ne seguono la leadership, molto distante da quello vissuto nell’era del Britpop, forse meno divertente, ma di sicuro più edificante.

Rispetto ai cugini di Dublino – attualmente agli albori di una nuova era artistica che si prospetta elettrizzante – gli Idles danno l’idea di essere arrivati al loro massimo splendore. Hanno senza dubbio margine per conquistare ancora una buona fetta di pubblico grazie al passaparola di chi assiste ai loro live incendiari, ma creativamente risulta difficile credere che li vedremo salire più in alto di così. Con l’ottimo TANGK, a oggi uno dei migliori dischi dell’anno corrente, hanno provato a innovarsi ulteriormente, come già fatto più timidamente con Ultra Mono e Crawler. Obiettivo senza alcun dubbio centrato, in una varietà di proposta mai vista prima nella loro carriera, ma è altrettanto innegabile che le frecce nella proverbiale faretra dei nostri arcieri di Bristol sembrano essere ormai pressoché terminate. Che altro potrebbero inventarsi, senza snaturare uno dei progetti più belli e riusciti dell’ultimo decennio? Tutti pronti a ricredersi piacevolmente al prossimo appuntamento discografico, ma nel frattempo godiamoci quella che con ogni probabilità è la migliore forma che gli Idles hanno mai avuto e che avranno mai.

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