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Reportage Live

A Roma è settembre ma c’è aria di primavera. Perché lo SPRING ATTITUDE è il festival della Capitale 

Lasciate stare i giri al Colosseo e la ricerca della carbonara perfetta. La XII edizione della kermesse capitolina dedicata alla contaminazione del nuovo e all’elettronica è il segno che la Capitale non è sempre vittima di una gloriosa decadenza esasperata da un turismo pacchiano. Anzi.

Foto Credits Spring Attitude Instagram @springattitudefestival @kimmica

Articolo di Marzia Picciano

“Eppur si muove”: e’ il pensiero che rimane di un weekend (23 e 24 settembre) a Roma, Cinecitta’ dopo lo Spring AttitudeSA, il festival elettro-alternative che rinnova il suo appuntamento con l’Urbe da ormai 12 anni. In una città, in cui la stasi e l’immobilismo strategico sono stati corroborati da anni di politiche inefficaci anche quando ambiziose (infine confutate dalla frase “ma che ce frega a noi, c’avemo il Colosseo“) e una scena culturale che ha visto la ribalta nazionale facendosi portatore di buona parte della oggi inflazionatissima “It pop” wave (CarlBrave e Calcutta insegnano), lo Spring Attitude è un unicum. Per una buona sezione di romani, e’ un appuntamento fisso; per la sottoscritta, e’ una pratica da coltivare. Almeno per diversi anni a venire.

È un piacere vedere come un’iniziativa di cui sono riuscita a vedere i primi passi si sia mossa e con successo si stia facendo posto sul fronte dei festival non solo nazionali, pur mantenendo la propria anima. Stiamo parlando di un tentativo non da poco in una capitale che si vede una serie di grandi manifestazioni musicali e grandi ospiti (Rock In Roma, Villa Ada Incontra il Mondo, i concerti dell’Auditorium) ma troppo spesso viene tagliata fuori dal triangolo delle Bermuda nazionale delle nuove proposte (Milano – Torino – Bologna), complice la mancanza di strutture adeguate e connessioni che vanno oltre la presenza di due aeroporti (tra cui il principale italiano) e la presenza o piuttosto costante chiusura nel tempo di locali che hanno ospitato forme più alternative di musica (questa è per tutti gli orfani del Circolo Degli Artisti). Per una città tacciata di essere malata di provincialismo, lo Spring Attitude è oggi una coraggiosa cura di boccate d’aria, o meglio, di sedute di ossigeno per terapie intensive. Ed è l’esperienza culturale più autentica che potrete trovare a Roma.

L’edizione settembrina del 2023 non è da meno delle precedenti. Anzi, la line up ha segnato la volontà di imporsi portando nomi ormai di primo piano, a partire dall’acchiappo dell’attuale regina del dancefloor, Peggy Gou, atterrata sabato sera dalla sfilata milanese di Bottega Verde nella FW23 (e così anche Roma è nella wishlist dei vip impegnati a nord che non sono da Marracash). La scenografia è delle migliori: ottobrata romana, quella strana quinta stagione nonche’ zona franca climatica perfetta per le sperimentazioni, al riparo delle fronde mobili e rassicuranti di vendittiani pini marittimi. Contaminazione e Natura, che nella sua accezione latina è il tema del SA di quest’anno, sono il leitmotiv su cui un pubblico nutrito ha visto alternarsi su due palchi paralleli artisti di diversa matrice, passando dal rock mordente e asfittico dei Verdena al glam cantautorato del Bowie italiano, Lucio Corsi, e la gloriosa elettronica dei Moderat. Senza ovviamente dimenticare la scena romana e un suo esponente senza dubbio tra i più criptici e controversi, il trap colto e anti-intellettuale di Tutti Fenomeni (al secolo Giorgio Quarzo Guarascio)

Sembrerebbe un mischione senza senso, invece è un quanto ben calibrato (e d’effetto?) tentativo di creare un’offerta musicale in due giorni ricca, inaspettata e perfettamente comunicante in tutte le sue parti. Lo si vede anche nelle nuove proposte sul palco nel pomeridiano: c’e’ volontà di andare oltre quello che semplicemente piace per trovare una quadra su dove cercare il “prossimo fenomeno”. Quello che non si percepisce in 48 ore quasi continue (si inizia alle 4 e si chiude alle 3 di notte, un formato forse troppo pesante, che è costato in termini di presenze domenica) è una forma di straniamento o distacco tra un set e l’altro. 

Gli artisti sul palco contaminano e si fanno contaminare, in un unica soluzione di continuità. Questo diktat dello Spring Attitude dagli albori si è consolidato come pratica utile a scovare l’anima in un coglomerato urbano poliforme che troppo spessi e’ sul punto di perderla.

Cominciamo a intuire questo sacro comandamento da sabato, certamente il giorno più acchiappa-like e da sold out. Ma anche quello in cui la ‘natura’ emerge, rotonda, con maggiore veemenza. Ne sono la prova le esibizioni a tutto rumore dei sempre bravi e devastanti Bud Spencer Blues Explosion seguiti dai Verdena più chitarrosi e criptici che mai sui loro vecchi soprattutto e nuovi pezzi di Volevo Magia (mi hanno regalato la gioia di una Valvonauta urlata a pieni polmoni, saltata nell’ultimo live visto); ma ne e’ esempio perfetto anche la Gou a chiudere le danze immersa nel suo vortice di dance e autoritratti manga, in viaggio su un astronave che fa na na na na na, e non c’e’ nessuno che tenga su questo refrain, anche se siamo stanchi morti. Infatti nel mezzo la scaletta del SA ha proposto due nomi alla ribalta nell’elettronica, i francesi Acid Arab e Chloe Caillet. I primi, già noti ai romani nelle sessioni di Villa Medici, con i loro oud impazziti e sound ipnotici sono i vincitori morali di questa prima giornata, regalandoci un’ora e mezzo di tribalismi e psichedelia pura; la Caillet è la nuova enfant prodige del clubbing ed ha già ha visto il Coachella. Due, insomma, che non hanno niente da invidiare a Peggy, che pure è stata il traino della folla. Nelle sessioni pomeridiane, dopo le variazioni dei giovani Valentino, Ibisco e del cantautorato di Marco Fracasia, meritano uno shout out il jazz digitale degli Archivio Futuro e l’eterea spina nell’anima del piano di Maria Chiara Argirò, italiana basata a Londra e che prova a portare un po’ di vibes UK in un progetto musicale che suona fine e celeste come una Cappella Sistina. Il tutto senza dimenticare il funk equatoriale dei Parbleu, nati da una costola napoletana dei Nu Genea e travasati poi in Colombia e dintorni, che hanno animato la golden hour sotto gli aerei di Ciampino con il ricordo di un’estate ormai chiusa.

Il secondo giorno è quello contenutisticamente più ricco (anche se ingiustamente meno affollato). Se sabato abbiamo avuto l’altisonante presentazione del problema, domenica lo abbiamo affrontato e assolto; la line up e’ piu matura nella sua proposta. Già tra gli emergenti spiccano quelle contaminazioni stupende dell’arcipelago dei quartieri capitolini, e non solo: dalle promesse di GIIN (rocker nostalgica), Ele A (rapper svizzera in rampa di lancio), Anna Carol (bolzanese che guarda a un pop di coscienza tra Joan Thiele e Levante) agli Studio Murena. Si passa poi agli estremismi del sound psico-trap dei campani Fuera per lanciarsi nel cantautorato del grossetese Corsi e quindi nell’erede e protetto di Nicolò Contessa, Tutti Fenomeni. Si entra nella sessione notturna. Domenica è dedicato ai grandi movimenti teutonici: Christian Loeffler apre le danze con il suo sound delicato di enfasi e malinconiche shavasana, passando poi ai maestri di Apparat e Modelselektor, aiutati da visual che sono parte stessa dell’esibizione. Piccola pausa con una Meg attivissima e impegnatissima (un po’ di ritardo è stato dovuto alla sua – giusta – presa di posizione sulle recenti politiche sull’immigrazione) per poi chiudere con i sognanti austriaci HVOB, acronimo per Her Voice Over Boys: delicatissimi, dolcissimi, Anna Mueller e Paul Wallner arrivano alle 2 di notte come una visione tra fumogeni e campionature d’oltrevita. La vera scoperta di questa seconda serata, proprio ai titoli di coda. 

Lo SA si è confermato anche quest’anno capace di farci “ballare ma anche riflettere”, soprattutto su quello che vuol dire organizzare (un buon) festival, a Roma. In un luogo piu’ dell’anima che fisico, dove l’incontro degli opposti è una roulette russa di ordinaria amministrazione, non c’è niente di più normale che mixare la dance più chiacchierata alla critica sociale della vuota borghesia dei sette colli più famosi d’Italia. Ma quanto è difficile affermarlo ad alta voce? Piano piano, l’esperimento decennale dello Spring Attitude ce la sta facendo, cedendo anche alle logiche, a volte folli, del full cashless, ma senza la spocchia tech di chi e’ sopra-il-Po. E noi siamo qui a fare il tifo.

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Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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