Articolo di Serena Lotti | Foto di Marco Arici
C’è Justin e Justin. C’è chi ama il Justin teen idol e rifinito sparapose, c’è chi ama il Justin icona sexy strappamutande e genitore esemplare e c’è chi ama un altro Justin ancora, meno inappuntabile, meno integro e decisamente più irriverente, che si può altrimenti definire l’uomo pazzo dello spandex.
Al motto Every girl crazy about a sharp dressed man ci ritroviamo tutti al Carroponte per la tappa italiana del tour dei Darkness, indimenticato quartetto inglese musicalmente a briglia sciolta su un moderno glam rock rivisitato e targato 70’s e 80’s che nel 2003 mise a segno Permission To Land, una bomba di puro hard rock e ironia grezza, capitanata dal frontman Justin Hawkins, un autentico folle in tuta di neoprene. Da allora in Italia contano un seguito di fedelissimi ed appassionati; noi ci siamo infilati tra orde di ragazze coi capelli decolorati in hot pants e reggiseni fluo, nostalgici metallozzi con tagli mullet e un pò di chiodaglia sparsa e gente scandalosamente normale in un tripudio di passeggini, bambinetti sudati e piangenti e tanta voglia di divertirsi.
Justin e soci arrivano sul palco del Carroponte puntualissimi, il quadro è dannatament cool. In barba alle tutine glitterate di mercuriana memoria Justin indossa un pantalone pink in latex e camicia hawaiana sbottonata fino ai talloni a mostrare gli addominali scolpiti e baffo appuntito a metà tra il commissario Scaloja di Romanzo Criminale e D’Artagnan.
Siamo pronti per partire per un viaggio chiamato Permission to Land per celebrare l’inizio di quello che è stato un percorso artistico e personale accidentato fatto di cadute, ricadute, scioglimenti e reunion. I Darkness riproporranno tutti brani del loro album d’esordio fatta eccezione per Holding My Own (con pezzi tratti anche da Pinewood Smile e Last of Our Kind). Justin da capitano pazzo, frontman d’assalto e monopolizzatore di attenzione e grazie ad una chitarra orgasmica suonata in tutti i modi che la fisica gli ha potuto garantire in un mondo sottoposto alla legge di gravità, si è assicurato senza soluzione di continuità una partecipazione collettiva che non ha mai visto momenti di stanca ed un engagement pressochè continuo ed eccitato (i banchetti dei birrai resteranno vuoti per tutta la durata del live). Di cose assurde ne abbiamo viste, tra i palloni che volavano su Growing on Me e Open Fire che Justin prendeva di testa impegnato a scansare nel contempo orde di coleotteri attratti da luci degne del faro di Lindau, reggiseni e mutande in volo libero on the stage appesi all’aste dei microfoni, il cambio d’abito su Love Is Only a Feeling alla richiesta “Mi date un paio di di pintilani?” (ndr pantaloni) in cui tra siparietti d’avanspettacolo e momenti di raro kitch vedremo il nostro bel Justin presentarsi nudo con un paio di shorts zebrati ricevuti dal pubblico sottopalco. Un live dove le chitarre sono state sempre in prima fila, con arrangiamenti ben fatti e quella sana natura glam rock che diverte e illumina.
Tra tributi più o meno evidenti, passando la palla alle sonorità dell’hard rok degli anni 70 e 80, lanciandola senza sforzo, tra un salamelecco agli ACDC e uno ai T-Rex, verso quella che è una natura glam spontanea e disincantata e nel contempo ironica e coinvolgente, i Darkness hanno realizzato un concerto bomba, dove un adorabile too much è stata la chiave di lettura.
Lasciando correre sui falsetti di Justin, non sempre perfetti ma a tratti calanti e grevi, degni di nota sono stati il momento dell’attesissimo e necessario cambio d’abito che stavolta sembra essere stato rubato dall’armadio di Paul Stanley (una tuta nera glitterata e catarifrangente), e quello che è stato il momento di stage diving più fico che abbia mai visto. L’erotico Justin surferà sul pubblico, portato sulle spalle dall’uomo della security, facendo il giro di tutta la venue sestese, tra riff granitici e sensuali schitarrate in loop che potremmo definire quasi malinconiche e meste.
Un’esibizione sanguigna e dannatamente divertente sopra le righe in cui, oltre alla magia dell’eccesso e dello stravaganza, abbiamo sentito una band che suonava, e lo faceva bene. Dai tributi agli ACDC su Black Shuck e alle hit super spompazzate come Growing On Me, I Believe In A Thing Called Love e Love Is Only A Feeling tra soft moshing, jumper impazziti e momenti di headbanging siamo arrivati lisci al capolinea con la lunghissima Love On The Rocks With No Ice, con i suoi assoli ficcanti e morbidissimi. Grazie a una strepitosa sezione ritmica e dalle instancabili chitarre dei fratelli Hawkins il live è stato che un bel contenitore di infiniti riff e assoli lisergici.
Ci congediamo passando vicino al tour bus della band dove orde di ragazze in pantaloncini e canotte sudate stanno buttate sui marciapiedi, fumando drum e bevendo birre appena spillate, aspettando i Darkness. Penso alle fan posh di Bieber. Penso alle fan griffate di Timberlake. Penso a queste fan metallozze e scarrellate. Per fortuna c’è un Justin per ogni gusto.
Clicca qui per vedere le foto dei DARKNESS a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto).
DARKNESS – La setlist del concerto di Milano
Black Shuck
Growing on Me
Open Fire
Love Is Only a Feeling
One Way Ticket
Barbarian
Southern Trains
Friday Night
Roaring Waters
Givin’ Up
Japanese Prisoner of Love
Stuck in a Rut
I Believe in a Thing Called Love
Encore:
Get Your Hands Off My Woman
Love on the Rocks With No Ice
Claudio
23/07/2019 at 12:34
Bellissima recensione sui Darkness!
Complimenti allo staff 😉