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Reportage Live

BLACK STONE CHERRY: foto, reportage e scaletta del concerto di Milano

Articolo di Serena Lotti | foto di Davide Merli

Stivali sporchi di fango, il sapore dei liquori americani e una botta di Sound of the South: a Milano i Black Stone Cherry.

I Black Stone Cherry sono arrivati ieri a Milano per l’unica data italiana del loro Family Tree Tour 2018 per promuovere il loro sesto album omonimo anticipato a inizio anno dai singoli Burnin’ e Bad Habit. Un Alcatraz strapieno non ha aspettato a lungo prima di vedere Chris Robertson, Ben Wells, Jon Lawhon e John Fred Young salire sul palco ed infiammarlo. Si parte subito, non si aspetta nemmeno un secondo. Salutano, attaccano. Lo starting con una decisamente swampy Burnin’ ci scuote subito fin dai primi acuti di Robertson e ci trattiene in tensione fino a spingerci con forza dentro il mondo durissimo dei BSC. Ora siamo dentro. Non è bastato che un pezzo per entrare nel microscosmo allucinato e roboante del quartetto di Edmonton.

Con Me And Mary Jane assistiamo ad un esperimento acidissimo che è un crocevia tra groove metal e hard rock e qui inizia il processo demoniaco di Ben Wells, tra virtuosimi in bilico tra aggressive schitarrate muscolari e velocissimi cambi di posizione con Jon Lawhon, tra salti e corse on the stage.

Rallentiamo un attimo con la ballad soul-bar My Last Breath che Robertson ha scritto e dedicato a sua moglie e suo figlio: qui tiriamo il fiato, la band rallenta e ci regala un sound dolce e trasognato e un cantato graffiante ma senza che incursioni di light rock non si prendano i giusti spazi. Su Cheaper to Drink Alone ci dimentichiamo del tempo. Un pezzo lunghissimo, infinito. Un’onda elettrica di rock arrogante che prende volume secondo dopo secondo su alti e bassi virtuosi e influenze sludge metal e hard rock. Fin da subito è evidente che la band conta almeno tre personalità di spicco ed è qui si manifesta in pieno il trittico Robertson/Wells/Young. Ognuno si prende un lunghissimo spazio per schitarrate slide, percussioni tuonanti e virtuosimi infiniti. Soprattutto sulla performance di Young il pubblico va in visibilio ed è davvero uno spettacolo assistere ad un tale esercizio di stile misto a follia pura, un’energia che resta immutata e valorizza particolarmente il brano James Brown, traccia del nuovo album che ascolteremo qualche minuto dopo. Su Ain’t Nobody i BSC si prendono ancora tempi importanti regalandoci una scarica di adrenalina allo stato puro nel pieno stile rock “made in USA”. Qui le chitarre si fanno feroci, la sezione ritmica mantiene picchi di tensione altissimi e ci fa respirare a pieni polmoni autentica e travolgente passione per il rock. In chiusura ancora Young che porta il pezzo fino alla fine con un effetto bomba disintegrando letteralmente piatti e rullanti.

Su Blind Man, caratterizzato da un riff durissimo, il viaggio è verso un’altra stazione: gli anni settanta. Qui la linea melodica che tiene il quartetto è decisamente coinvolgente e sfocia in un ritornello ad effetto che tutto l’Alcatraz si mette a cantare in stile “put your hands in the air”. Continuiamo il viaggio con la magica Hoochie Coochie Man di Willie Dixon, resa famosa da un’interpretazione Muddy Waters, e  White Trash Millionaire che ci ricorda lo stile dei Lynyrd Skynyrd degli ultimi tempi. Non esiste soluzione di continuità. I pezzi si susseguono con un ritmo delirante e forsennato e noi non prendiamo fiato, mai. Andiamo in chiusura con una psichedelica Family Tree dal sound heavy alla Soundgarden e ci congediamo con una mistica Peace is Free, tutti a mani tese.

E’ vero il sound dei BSC è stato spesso paragonato a quello dei Lynyrd Skynyrd, Black Crowes, AC/DC e Metallica e lo si sente, forte, ma la band ha sviluppato in vent’anni di carriera un suo personalissimo stile in bilico tra un hard rock modernista e un metal aperto alle più diverse influenze e stasera ce lo ha dimostrato. Il live è stato un percorso attraverso quasi tutti i lavori dei BSC (oltre a Family Tree, brani estratti dagli album Between the Devil & the Deep Blue Sea, Folklore and Superstition e Black Stone Cherry). Da un robusto southern rock che si assapora in alcuni brani, passando per un modern rock che non conosce pause. Un live condito da un rock energico e feroce, chitarre distorte che si sono alternate con fraseggi veloci e cambi di registro improvvisi dove si sono sentite tutte le influenze assorbite negli anni: Pearl Jam, Nickelback, Black Label Society, Led Zeppelin.

Le orecchie più fini stasera avranno sentito anche i richiami ai texani ZZ Top e chitarre dissacrate che ricordano le sonorità degli Slash’s Snakepit, ma in fondo il southern rock born in the USA targato Black  Stone Cherry è uno stile fedele alla tradizione americana del rock d’assalto in grado di tingersi anche di groove metal e potenziare le strutture con lunghe improvvisazioni di chitarra. Piacciono, divertono, entusiasmano, sorprendono. I Black Stone Cherry sanno farsi amare. Rischiano, cambiando direzione. Una strada nuova che non sai mai dove andrà a finire.

Qui sotto la gallery del live:
Black Stone Cherry

BLACK STONE CHERRY – scaletta del concerto di Milano

Burnin’
Me and Mary Jane
Rain Wizard
Bad Habit
Like I Roll
My Last Breath
Cheaper to Drink Alone
Soulcreek
James Brown
Things My Father Said
Ain’t Nobody
In My Blood
Blind Man
I’m Your Hoochie Coochie Man
Lonely Train
Blame It on The Boom Boom
WhiteTrash Millionaire
Family Tree
Peace is Free

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