Articolo di Redazione | Foto di Andrea Ripamonti
Spettacolare. Del resto come dovrebbe essere un concerto dei Thirty Seconds To Mars, la creatura dei fratelli Leto?
Il day after la prima data italiana della band nata nel 1998 dal progetto casalingo californiano dei due, questo uggiosissimo 24 maggio, a Bologna, ovviamente all’Unipol Arena, è stata il preambolo di un successo, come del resto lo erano le precedenti del tour Seasons 2024, di presentazione del loro ultimo album, It’s the end of the world but it’s a beautiful day.
Ma fermiamoci sullo “spettacolare”, perchè è la chiave giusta per interpretare quello che è successo ieri.
Due elementi che aiutano a capirlo. Primo, i Thirty Seconds To Mars non tornavano in Italia, ma che diciamo, sul palco, da parecchio tempo. Insomma, avevano voglia. Secondo: lo so che il signor Jared Leto, un premio Oscar (oltre ad essere la puntale, concreta, rappresentazione della dicitura “fregno”), non ci tiene ad appellarsi alla sua fama per promuovere il gruppo, ma dobbiamo dare a Cesare ció che è di Cesare, non per quello che si potrebbe pensare, tuttavia. Jared Leto è una creatura istrionica, a tratti folle nelle sue imprese, per molti versi sfrontatamente visionario (da brava bimba di Palahniuk, mai smetteró di credere che in fondo, lui sia davvero un pó Faccia D’Angelo nel suo piccolo, e chi sa capisce), come poteva essere quindi una band che lo vede tra i soggetti fondatori, insieme a suo fratello? Il (buon) sangue non mente. In breve: sono oggettivamente pazzi, hanno un fan club officiale che è un esercito di militanti, scalano l’Empire State Building per dire che sono tornati, fanno musica che alla fine di tutto il continuo provare generi e sound, è definita e non a errore “apocalittica”. Cosa ci si doveva aspettare se non adrenalina a mille, una sessione di urla e batteria archiettata alla perfezione (a partire dal fan club più attivo che abbia visto, con i cartelli “Italy Loves Mars” e”You Got Us Stuck” distribuiti alle prime file), l’idea di essere finiti in una specie di esperimento sociale?
Intrattienici, famiglia Leto, per favore, raccontaci questa beautiful lie. Il palco è quello già impostato nelle precedenti date: un enorme triangolo di luci, immagini, video (soprattutto quelli di Jared nella fase emo), o nuvole infuocate (sono le foto che Leto ha fatto al cielo e che sono parte del concept art dell’ultimo lavoro, insomma di che stiamo parlando?), Leto è epico nell’outfit di apertura (mantello ariosissimo e occhiali a schermo), con il suo gilet di pelle è uscito direttamente da un videogioco (ah, l’ultimo mondo di vera libertà). Ma andiamo oltre, il primo gesto di follia è dall’inizio: dopo un countdown a trenta (in italiano), entrano dalle tribune. Poi andiamo veloci, saltiamo direttamente alla fine del triplete iniziale delle nuove hit (quelle che escono dall’esperimento quasi pop degli ultimi anni), quando tornano con Kings and Queen al core della produzione Letiana e Jared decide di far salire tutti i fotografi sul palco, a fotografare il pubblico. Insomma, premesse di un certo livello.
Anche perche non c’è solo quello. È chiaro, quando si va ad un concerto è normale che tutti siete lì per la stessa ragione, e la vera magia è quando ti senti parte di un tutto, e decisamente lo è quando Jared Leto ti chiama fisicamente sul palco – e lì, tutto cambia. Perche dicevamo, non bastano i fotografi: fan sul palco a suonare (esatto), a ballare, a cantare con lui, con loro. È evidente che i Thirty Seconds To Mars hanno un’idea dell’esibizione artistica e della gestione del marketing da band oltremodo avanzata (Progetto Mayhem, anyone? La smetto), ma questo i fan non lo sanno, o forse si, e in fondo, in un mondo oggi alla fine di una pace armata che è una fallimentarissima riproposizione di una politica dell’appeasement di non si sa più chi, in un quotidiano in cui non sei mai abbastanza per la favola che ti hanno inculcato come ideale da bambino, un pó di marketing, un pó di fuochi di artificio, fuochi o palloncini sul palco e quel “fregno” di Jared Leto sul palco che ti dice che sei il pubblico più bello (anche se l’ha detto ad altri? Chissà) e mentre urla al cataclisma climatico chiede dove sono i crazy dancers che vogliono salire su, insomma, sentirci speciali per un paio di ore, non ce lo meritiamo?
Aggiungiamo che Leto mette le mani avanti e dice che è stato ammalato e non avrebbe dovuto cantare, eppure canta eccome (e cantano pure gli altri). Ma non è un problema. Quello dei Thirty Seconds to Mars non è uno show esclusivamente canoro, sono stage performer, i fratelli Leto sono cantati (e suonati, non dimentichiamo che The Kill e From Yesterday, due brani iconici, sono stati suonati da un fan) e non solo ascoltati, e questo fa la differenza. Soprattutto perchè l’altro grande spettacolo sono loro, i fan. C’è gente che con i Thirty Seconds To Mars ci ha urlato via un sacco di ansie e nella spettacolarizzazione della loro arte ha trovato conforto a sorde depressioni adolescenziali. Che non è un modo per sminuire, assolutamente, no. È che è difficile trovare una band che poi ci tenga così tanto a darti lo spettacolo che giustamente speri e vuoi avere, che ti faccia sentire di essere presente. Il nostro Ripamonti, per dire, è ancora elettrizzato – la sensazione di essere stato toccato dalla grazia, per dire, c’è. Esiste modo migliore di dire che lo spettacolo siete voi?
Probabilmente no. E a noi questa “bugia”, ci piace. Nell’Unipol Arena ieri c’era tutto il mondo che desideravamo, e fuori quello che non accettavamo. Un’implosione, controllata. E stasera ce ne sarà un’altra a Torino. Per arrivare dritti a Marte.
Clicca qui per vedere le foto del concerto di THIRTY SECONDS TO MARS a Bologna o sfoglia la gallery qui sotto
THIRTY SECONDS TO MARS – La scaletta del concerto di BOLOGNA
Countdown
Intro
Avalanche
Up in the Air
Kings and Queens
Walk on Water
Rescue Me
Seasons
Hail to the Victor
Hurricane
This Is War
Alibi
From Yesterday
Capricorn (A Brand New Name)
Attack
Night of the Hunter
City of Angels
A Beautiful Lie
Attack
Encore
Stuck
The Kill (Bury Me)
From Yesterday
Closer to the Edge