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Reportage Live

Breve, ma dolcissimo. La versione di JAMES YORKSTON e NINA PERSSON su un settembre che va preso con leggerezza

Un duo scanzonato, uno scozzese innamorato della Svezia e una svedese dal celebre passato, presentano il loro lavoro a quattro mani in Italia arrivando fino a Milano il 10 settembre. Ne poteva uscire qualcosa di estremamente malinconico, invece abbiamo avuto la controllata gioia delle feste. E meno male.

Articolo di Marzia Picciano

A short but very sweet tour: potrebbe essere questa la chiave perfetta per descrivere il passaggio di James Yorkston, cauntatore scozzese del(l’alt-) folk con 20 anni di carriera e riconoscimenti, e Nina Persson, gia’ voce della band svedese fenomeno degli anni 90 i The Cardigans, in queste tre quattro date italiane a cura di Solid Bond Agency con la chiusura del 10 settembre a Milano, al BASE. Quelle riportate sono le parole della Persson nel descrivere l’esperienza italiana, con il piglio, ispirato e un po’ teatrale, di chi vede il traguardo di questa trasferta italiana e gia’ tira le somme.

Breve e dolce e’ anche cio’ che direi io della sessione di ieri: un concerto intimo (non a caso la data di Roma e’ stata realizzata nell’ambito della kermesse capitolina de i ‘re’ dei concerti chitarra e cuore, Unplugged in Monti, come del resto anche le altre tra Pesaro e Marostica), un non-concerto, un momento di condivisione dei pezzi di un album, The Great White Sea Eagle, uscito a inizio anno, ma non solo: si inizia con l’inedita With Me With You e si guarda indietro ai successi del cantautore folk, reinterpretati dalla melodia magica della Persson. Soprattutto, e’ stato un momento di condivisione dell’intimita’ di un rapporto tra due persone che nonostante siano alla prima collaborazione sembrano aver passato diverso tempo, decisamente, a divertirsi. Yorkston, autore invero prolifico ed estremamente apprezzato nel suo genere, ha messo a terra con la complicita’ di Nina una struttura di storie in strofe e brigde che raccontare, nella piu’ essenziale delle condizioni, e con un certo caos scanzonato, le ere della vita. Si parte dall’adolescenza di Sam And Jeanie McGreagor, passando per le gioie (mancate) dell’infanzia di An Upturned Crab, al pop di belle speranze di Hold Out For Love. E i due, anche se privati di altri svedesi illustri coinvolti nella stesura del disco quali la Second Hand Orchestra (gia’ collaboratori di Yorkston) e quindi della carica di violini e fiati, sembrano non soffrirne troppo.

Non c’e’ un momento in cui James non ammicchi verso Nina, e viceversa, quest’ultima scivolando pericolosamente verso un’indulgente dose di ironia (anche verso se stessa) da riversare a sua volta su Yorkston, e che Yorkston scarica sull’albero sul palco, sulle formiche che invadono la tastiera o sugli alpini venuti a svegliarli alle 9:30 del mattino (omaggiati pertanto con una breve simpatica ode in acustica). C’e’ dell’assurdo, estremamente affascinante, nella venuta di questi due alieni sul suolo italico e dei loro aneddoti di vita di tour: non riesco a non pensare alla scena, a meta’ tra la stasi di un film di Sofia Coppola e il dissacrante wesandersiano, di uno scozzese rossiccio e un’angelica svedese a cui la vita non ha fatto sconti, in piscina, che guardano gli alpini marciare. E non farsi tentare dall’idea di una poesia luppolosa dal retrogusto bretchiano. (Vi prego, finite la canzone sugli alpini).

Sembrano attori chiamati a interpretare un ruolo che conoscono cosi bene da giocarci. Del resto, The Great White Sea Eagle suona come delicata musica da camera, una camera affollata di persone, vite famiglie e bambini che nonni sfiancati dal correre del tempo devono seguire, pero’ tutti in ordine nel loro piccolo placido dramma esistenziale. E cosi’ sul palco, se da in lato si perde la caoticita’ della Second Hand Orchestra, dall’altro si lascia tutto alla logistica a volte comica di Yorkstone, lasciando grande spazio ai testi che dettano la linea, relegando gli unici due strumenti a disposizione quasi come un necessario contorno. Lo vediamo saltare da sinistra dalla tastiera a destra verso la chitarra, muovendosi intorno a Nina che si insinua nel tracciato musicale e ne prende possesso solo, semplicemente, iniziando a cantare.

Se c’e’ una prova di forza e grazia reale a cui applicare la parabola del farsi mare e infrangersi infinitamente per non scomporsi mai, allora quella e’ Nina Persson, in tuta nera e sneakers, sguardo sornione e voce di un’armonia devastante, ipnotica e imperante, che prende possesso in poche strofe di tutte le canzoni del collega scozzese, come in Struggle, e le porta a un altro livello. Non c’e’ bisogno ora di riscoprire il suo passato per sottolineare la percezione artistica di un’artista che vanta tra le sue collaborazioni Tom Jones e Mark Linkous e che lei, tra l’altro ieri sera non aveva intenzione di ricordare, anche se qualche nostalgico dietro di me c’era e s’e’ fatto sentire. Non c’e’ niente di graffiante e rock nell’intera esibizione, e non era richiesto: forse, solo il refrain del piano di The Heavy Lyrics Police che si pone accattivante all’orecchio fermandosi giusto in tempo. Eppure la Persson guida Yorkston mentre aggira il microfono, ironizza ad alta voce sulla coreografia di gruppo tra lei e la co star, gioca la sua parte e si diverte; in breve applica il suo code of conduct da rockstar disincantata a quello che e’ un ritrovo da amici, la cena di Natale dove i parenti di citta’ a una certa tirano fuori chitarra o rispolverano il piano e cantano una canzone, un po’ malincolica, un po’ paracula, su se stessi e come si sono ridotti.

Ma, come detto, non c’e’ niente di sofferto nella performance dei due. Non c’e’ drammaticita’ neanche quando Yorkston ripesca il riff inquisitorio del piano di Ella Mary Leather (da The Wide, Wide River, 2019). Persiste per tutto il tempo una sottile, distaccata, quasi brilla ironia che viene trasmessa senza veli o artefizi artistici al pubblico seduto, una leggerezza che arriva come un passpartout per la salvezza, almeno in questa domenica sera, per chi mal vive e non capisce settembre e la “logica del rientro”. Come spiegare che le ripartenze possono non essere faticose, se non smettiamo di vivere l’estate come un’estatica e gentrificata pausa dalla realta’? Se ci droghiamo di fughe esotiche o tentativi di proiettarci fuori da schermi per posizionarci in avveneristici sfondi desktop, come affrontiamo il freddo come down in una desolante quotidianita’ di responsabilita’? Ecco, se ci avventurassimo come i nostri eroi James e Nina nelle imperscrutabilita’ dei disastri quotidiani, ne facessimo una raccolta di brani di incredibile delicatezza (un po’ british ed estremamente corale) e poi decidessimo di portarli in un tour europeo e di raccontarli senza sembrare patetici forse, ecco forse non metteremmo la testa come struzzi sotto il cuscino di lunedi mattina. Mia madre avrebbe detto di “sublimare”, Calvino avrebbe detto di planare sulle cose, la mia analista mi avrebbe probabilmente consigliato di aumentare la posologia delle gocce delle felicita’, ma come evitiamo lo scontro quando percepiamo la gravita’ invincibile e indesiderata del suolo su cui stiamo per atterrare?

We’re lucky we have a very good job” dice Yorkston e in realta’ penso sia questa, l’essere degli artisti, la loro fortuna davvero: di riuscire a infiltrarsi nel dolore altrui come acqua nei controsoffitti e “stagnarci” dentro, consumandoli e mettendo in mostra la brutale vulnerabilita’ degli stucchi che guardiamo delusi mentre alziamo la cornetta del pronto intervento. James Yorkston risponde al sorriso di Nina Persson sghignazzandoci su, ringranziando per il cibo e impostando il suo piccolo show, dove lei e’ la star e noi i parenti trepidanti di vedere prodigi scalciando i resti del pranzo sotto il tappeto. Nel libro che sto leggendo a un certo punto una nonna troppo saggia dice “This life is filled with inescapable moral compromises. We should do what we can to avoid the easy ones”: e ieri sera, almeno in parte, e’ stato cosi’.

JAMES YORKSTON e NINA PERSSON – La scaletta del concerto di Milano

With Me With You

A Sweetness in You

An Upturned Crab

Peter Paulo Van Der Heyden

Mary

Choices, Like Wide Rivers

Struggle

A Forestful of Rogues

The Heavy Lyric Police

Ella Mary Leather

A Droplet Forms

A Hollow Skeleton Lifts a Heavy Wing

The Harmony

Encore

Sam and Jeannie McGregor

Hold Out For Love

Written By

Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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