Articolo di Marzia Picciano | Foto di Andrea Adamasi
Pensate a un concerto che in realta’ e’ una lunga chiacchierata, o confessione, con Dio o con lo psicanalista – in base a quanto e a chi credete -, un flusso unilaterale, Joyceano, a tratti sommesso, a tratti carico di sfrondate emotive. Aggiungete un piano, un teatro storico, racchiuso, in una cittadina che il freddo di una domenica di novembre rende sola, impensabile. Avrete la performance di Lambchop di ieri 26 novembre al Teatro Verdi (si, quel Teatro Giuseppe Verdi) di Busseto, a Parma.
Serata ed evento conclusivo del Barezzi Festival, realta’ ormai radicata nel territorio emiliano che nella sessione del 2023 ha portato artisti non scontati a suonare per le varie citta’ e teatri locali (sempre situazioni di un certo spessore e, non c’e’ neanche bisogno di dirlo, bellezza), come Micah P. Hinson, Blonde Redhead, Jesus and Mary Chain, insomma, quell’alt-rock non commerciale, non da radio per tutti, ma in heavy rotation sicuro sulle FM dei nostri inconsci cinematografici. Kurt Wagner, mente e centro focale dell’ensemble dei Lambchop, ieri non e’ stato da meno, soprattutto nell’interpretazione voce e piano in duetto con un fantasmagorico Andrew Broder della sua ultima, a mio avviso, notevole fatica, The Bible, uscito nel 2022 ma che ha ancora parecchio da dire.
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Diciamo che la location ha aiutato a creare la sensazione di stare per assistere a qualcosa non da tutti i giorni. In realta’, non sapevo bene cosa aspettarmi. The Bible e’ la sciacquatura in autotune e elettronica raffinata della produzione infinita di Wagner, uno che e’ nato a Nashville e dei natali da patrizio del country americano ha deciso di farne un’arte a sua forma e somiglianza, ma soprattutto in linea con una istrionicita’ creativa che in 18 album non ha mai stancato i suoi ascoltatori (stigmatizzato perfettamente nell’incipit di uno suoi pezzi piu noti: “The future is so important, this is a ballad/Of a country music nerd”). Insomma, mi preparavo ad assistere a un concerto dai toni quasi lirici e il rosso dorato affrescato del Teatro Verdi aiutava moltissimo a costruire questa mia fantasia; invece eccolo qui. Cappellino, giacca, camicia che si aggira sul palco mentre Broder suona il piano, la quintessenza dell’intimismo. Leggere la Bibbia del resto e’ un’esperienza personale, checche’ se ne dica.
Oltre a essere un’esperienza personale, e’ un’esperienza unica. Nel testo sacro di Wagner c’e’ posto anche per si’, l’abbiamo detto, una confessione, che e’ una piece teatrale, con quel pianoforte a coda dietro, sotto che continua a suonare perverso come l’ansia in un film di Cronemberg. E’ cosi’ che inizia il candidato, alle primarie della sua coscienza. His Song Is Sung, che rappresenta anche vividamente dal testo l’entrata drammatica nella stanza del padre con un’ipotesi di morte e fine imperante, che lascia senza scopo, e’ un memento mori, falcinante, con cui si inizia la seduta; e Wagner non si pone minimamente il tema di spiegarlo. L’opera entra in moto immediatamente, ci mettiamo un po’ a capire cosa succede, dove siamo, il buio e’ imperante, solo una luce su di lui e sul piano. Wagner muove le mani, spiega, addita, nello Sprechgesang di un delirio lucidissimo, queste mani non si fermano mai, il candidato concorrente dopo la tripletta dei tre pezzi di inizio (a seguire, una tuonante So There, e la piu’ andante Dylan at the Mousetrap) e infiniti bicchieri d’acqua bevuti e’ chiaramente stecchito, chiunque esso sia.
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In una resa di questo genere, c’e’ da dire, certo e’ di effetto. Certo, ammutolisce. Nulla da dire, il mio Super-io alla costante ricerca della catarsi e’ contento, appagato. Nel gelo della bassa parmense, dove la strada da Parma a Busseto era piu’ simile a uno slowmotion di qualsiasi film di Kaufman, c’era una trepidante solitudine che cercava disperatamente rifugio nel caldo di una scricchiolante balconata. E li’ ci ha trovato. Ma si e’ persa per strada l’unicita’ di alcune costruzioni, magiche, di Lambchop che credo nel mio piccolo volessi sentire. Sono emerse, piu’ chiaramente, in Daisy, sebbene sia sempre un pezzo recente, ma in maniera davvero precisa, impossibile da nasconere, in A Chef’s Kiss, That’s Music, Up With People, e la splendida e struggente Police Dog Blues, un canto al dramma dell’apatia apocalittica nato quasi per gioco in risposta al jazz soul di Blind Blake. Non e’ mancata anche la cover a se’ stessi di Sun June, Listening (to Lambchop by myself again). Ma in piano. Senza nient’altro.
Cosa rimane? La voce assurda di Wagner, quello che e’ il marchio di fabbrica di un artista che in termini di produttivita’ non ha niente da invidiare all’intera forza lavoro della Cina, roboatica, nel senso che sembra aprirsi in mille altre stanze mentre prende una nota; teatrale, e ora lo sappiamo di certo, con cui ha performato un album che poteva essere scritto a braccetto con Bon Iver (e comunque la connessione esiste) senza artefizi, un po’ a dire: alla fine, sotto sotto, sono io. E a piu di sessant’anni vi insegno ancora come si fa arte. Infatti dopo l’encore di Theone ha salutato e molto teatralmente si e’ tirato fuori le sigarette dalla giacca, infilata una in bocca, e insomma incamminatosi per la sua cicca del post performance (io scommettevo sarebbe scappato in bagno, ma sono chiaramente una donna di poca fede).
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Cosa mi rimane. Siamo usciti poi dai legni scricchilanti, a riveder le stelle e i nostri aliti nel freddo. La sensazione che non sia tutto sprecato. “It took ‘til death to tell your story/Nothing was wasted on us all”. Alla fine Wagner la sua storia ce l’ha detta, teatralmente o meno. Ed e’ stato proprio un bel concerto.
LAMBCHOP – La scaletta del concerto di Parma
His Song Is Sung
So There
Dylan at the Mousetrap
Give It
Daisy
A Major Minor Drag
A Chef’s Kiss
The New Cobweb Summer
Listening (to Lambchop by myself again)
(Sun June cover)
That’s Music
The Man Who Loved Beer
Up With People
Police Dog Blues
Encore:
Theöne
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