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Reportage Live

DREAM THEATER – Metropolis pt.3: Scenes from a Memory vent’anni dopo.

Dream Theater in concerto al Forum di Assago foto di Lara Bordoni per www.rockon.it

Articolo di Matteo Pirovano | Foto di Lara Bordoni

Ho le orecchie inondate di note e un seccante faro blu puntato in faccia da qualche istante.
Socchiudo gli occhi perché mi infastidisce. Mi difendo come posso, con una mano alzata al cielo verso il fascio di luce che mi sta accecando, nel tentativo di gustarmi, anche visivamente, l’assolo di Jordan Rudess, in quell’istante impegnato alle tastiere sulla meravigliosa Dance of Eternity.

Ma il mio campo visivo riesce a scorgere solo John Petrucci e John Myung, schierati in prima linea sul palco, uno di fianco all’altro, come accade da ormai 30 anni. Un duo che, ancora oggi, è il motore inossidabile di questa band che ha segnato gran parte della mia “crescita musicale”. Da me osannati come degli Dei scesi in terra sino all’uscita di questo meraviglioso album dopo il quale, lo ammetto, li ho un po’ abbandonati, sino ad accantonarli quasi definitivamente con i lavori più recenti, troppo distanti dai dischi di cui mi ero perdutamente innamorato nel periodo d’oro ‘92 – ‘99. Sono visceralmente legato a questo album. Parte di esso è stato addirittura suonato al mio matrimonio e non potevo quindi mancare questa sera in un gremito Mediolanum Forum, per la seconda data italiana di questo tour.

Uno show di tre ore diviso in due parti distinte, come a teatro. Con tanto di intervallo e luci accese.

E’ la festa per il ventennale di Scenes from a memory, un disco uscito un po’ in sordina sul finire del 1999. Un disco accolto in modo “strano”, arrivato dopo il controverso Falling into infinity e che, all’epoca del suo lancio, si prese le sue critiche salvo guadagnarsi successivamente l’eternità, anno dopo anno, diventando uno dei master pièce della band di Boston insieme a Images and words e Awake, nonché una pietra miliare del progressive metal in generale.

Le numerosissime critiche lette in rete riguardo la prova vocale di James LaBrie durante la data del giorno precedente mi hanno in parte rovinato l’attesa, critiche solo parzialmente riscattate da una prova questa sera migliore di quanto pensassi/temessi, ma tuttavia insufficiente in alcuni passaggi a causa di problematiche apparentemente più legate alla tenuta di fiato che all’intonazione. Va detto che LaBrie, contrariamente a molti cantanti che giocano d’astuzia (tipo l’ultimo Coverdale per intenderci) non si è risparmiato per tutta la serata, chiedendo raramente aiuto al pubblico, anche nei momenti di sing along. La voce purtroppo non è uno strumento che puoi cambiare all’occorrenza e la tenuta live di James, dopo trent’anni di carriera, non è più la stessa, tanto da domandarsi se abbia senso esporlo a un ritmo così serrato di date e conseguenti critiche.

La prima parte dello show, iniziato con maniacale puntualità alle 20.30, è stata incentrata sull’esecuzione di un set largamente focalizzato sull’ultimo album Distance over time, a mio modo di vedere il miglior album dell’era Mangini (finalmente coinvolto anche nella fase di scrittura dei pezzi), dal quale sono state eseguite ben cinque tracce. L’iniziale Untethered Angel, primo singolo estratto da Distance over time, con il suo suggestivo arpeggio e successivo riff, a dir poco aggressivo, ci catapulta nel cuore dello show con un Mike finalmente più coinvolto rispetto a esibizioni viste precedentemente. Mike Mangini è un batterista indiscutibile, con una tecnica incredibile ma purtroppo, e questa sera è capitato più di una volta, sembra spesso dare sfoggio di capacità fine a sé stessa, dimenticando quel coinvolgimento che Portnoy, contrariamente, garantiva nelle esibizioni live. Per citare uno dei commenti sentiti a fine concerto si ha l’impressione che i Dream Theater dell’era Portnoy fossero una band che seguiva il proprio batterista come un condottiero/locomotiva che trainava i vagoni, mentre ora sembra essere “solo” parte dell’ingranaggio.

Tra i nuovi brani ho trovato particolarmente riuscito Barstool Warrior, che su disco mi aveva convinto solo a metà. Una tastiera di Jordan ai limiti della psichedelia a fare da tappeto sonoro a un brano scritto da Petrucci che si diverte a duettare con lui in più di un’occasione durante il bridge, tra un cambio di tempo e l’altro.

Particolarmente riuscita anche Pale Blue Dot grazie al forsennato drummin’ nell’intro firmato da Mangini e all’instancabile trittico Petrucci/Rudess/Myung che si rincorrono l’un l’altro a suon di virtuosismi per tutta la durata del brano.

Un pezzo che già aveva convinto tutti su disco, forse il miglior brano della produzione recente della band. Un giusto compromesso tra tecnicismo, complessità e gusto per l’armonia.

Il “primo tempo” si consuma in un’ora esatta, scivolando via liscio senza annoiare e il forum si prepara silenziosamente al momento più atteso della serata: la riproposizione integrale di Scenes from a memory front-to-back, supportato da nuove grafiche e video che ci riportano ancora una volta nell’adorato arco narrativo, spalmato su più decadi, delle vicende di Nicholas e Victoria Page.
Il ticchettio dell’orologio dell’ipnoterapista è il segnale di adunata che tutti aspettavano e alla fine del countdown il sogno diventa finalmente realtà.

Il pubblico è variegato. Sono presenti i fan della prima ora ma anche ragazzi giovanissimi che, ai tempi del live a supporto dell’uscita discografica, non erano nemmeno nati!

James, in una delle rare interazioni di serata col pubblico, si e ci domanda proprio questo: “Chi era presente al tour del disco? Chi non era invece ancora in questo mondo?”

Nei 77 minuti e più di opera rock abbiamo rivissuto le varie fasi del concept:
la trance ipnotica di Nicholas raccontata attraverso le note operistiche di Overture 1928 e Strange Deja Vu,
il processo di comprensione e accettazione celato dietro ai versi di Through My Words, Fatal Tragedy e
Beyond This Life per arrivare al ritrovamento fisico della tomba di Victoria e il confronto inevitabile con la vita della ragazza che non ha potuto godere del libero arbitrio che a Nicholas è stato invece concesso. Il crescendo di un contrasto interiore narrato tra le armonie della commovente Through Her Eyes, una delle canzoni più attese della serata che chiude magistralmente il primo atto tra il cantato unisono di un forum letteralmente rapito.
Dopo una brevissima pausa ecco comparire la parola Home a carattere cubitali sullo schermo a fondo palco. Gli accordi arabeggianti ci introducono quindi in quello che è stato il pezzo più riuscito di serata, tredici minuti suonati in modo talmente impeccabile da sembrare una traccia registrata.

Da dove veniamo? Perché siamo qui? Dove andremo quando moriremo?

Questi tre amletici interrogativi che Nicholas si pone sul finire del concept, sono il leit motiv di una delle tracce più belle di questo disco, e di uno degli episodi più incisivi di tutto il concerto milanese, complice l’immortale melodia che ne cesella un testo profondo e ricco di significato, e un magistrale assolo di Petrucci, questa sera in un vero e proprio stato di grazia.

E’ ormai giunto il tempo di salutare e per Nicholas di risvegliarsi dall’ipnosi.
Una bellissima versione di Finally Free chiude il secondo atto ma non il concerto milanese che gode di un bis inaspettato con l’ipnotica At Wit’s End il cui testo, nato dalla sola penna di LaBrie, narra di una coppia che cerca di andare oltre dopo una vicenda di stupro. Una canzone progressive classica fatta di fughe strumentali che si allontanano per poi rientrare insieme nell’ossessivo ritornello “Don’t leave me now”.
È il momento dei saluti e di congedare questo disco che difficilmente potremo rivedere live nel breve periodo. All’orizzonte ci sono infatti già due trentennali, forse ancora più importanti, che attendono il teatro del sogno. Chissà, magari con un batterista/locomotiva al seguito.

Dream Theater

DREAM THEATER – La scaletta del concerto di Milano

Atto 1
Untethered Angel
A Nightmare to Remember
Fall Into the Light
Barstool Warrior
In the Presence of Enemies, Part I
Pale Blue Dot

Atto 2
Act I: Scene One: Regression
Act I: Scene Two: I. Overture 1928
Act I: Scene Two: II. Strange Déjà Vu
Act I: Scene Three: I. Through My Words
Act I: Scene Three: II. Fatal Tragedy
Act I: Scene Four: Beyond This Life
Act I: Scene Five: Through Her Eyes
Act II: Scene Six: Home
Act II: Scene Seven: I. The Dance of Eternity
Act II: Scene Seven: II. One Last Time
Act II: Scene Eight: The Spirit Carries On
Act II: Scene Nine: Finally Free

Encore
At Wit’s End

Written By

Nasco il giorno di San Valentino del 1978, e forse proprio per questo sono, da sempre, un nostalgico romantico. Apro per la prima volta gli occhi a Genova, ma non riesco a definirmi Genovese a tutti gli effetti pur essendole visceralmente legato. La mia vita è stata vissuta al confine tra la provincia ligure e quella Alessandrina, mi piace considerarmi un apolide della collina. Appassionato di musica sin dalla giovanissima età, cresciuto tra i dischi dei miei, diviso tra Black Sabbath e Led Zeppelin, seguo la musica da sempre. Sono ormai più di vent'anni che coltivo la passione dei concerti, una delle poche a non essere mai calata nel tempo. Sono un Vespista e un Jammer, chi ha una di queste due passioni sa cosa esse significhino. Nella vita lavorativa mi occupo di tutt'altro, le mie passioni sono la mia linfa e la mia energia, sono ciò che riempiono quel bicchiere che, per mia fortuna, riesco sempre a vedere mezzo pieno.

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