Articolo di Chiara Amendola | Foto di repertorio Rockon.it
Prima che Florence Welch si materializzi agli I-Days, a distanza di 4 anni dalla sua ultima vista a Milano, il suo arrivo è preannunciato dalla scenografia del palco. Sullo sfondo c’è un tavolo – o forse un altare – con candelabri ricoperti da arazzi di chiffon bianco sfilacciato, la cui opulenza è accompagnata da un pizzico di decadenza.
Da quando “Lungs” nel 2009 ha lanciato Florence + the Machine sulla scena internazionale, la Welch ha mescolato il massimalismo fluttuante con le allusioni alla catastrofe. L’annegamento di Ophelia è stato uno dei riferimenti principali del suo album “Ceremonials” del 2011. Da allora, molte delle vaste e lussureggianti canzoni risuonano di iterazioni della sua inquietudine o di brutali interrogativi su sé stessa.
L’ippodromo è già totalmente pieno al calcio d’inizio delle 21:45, la folla è un sano mix di adulti e giovani a dimostrazione del fatto che la musica di Florence + the Machine non si rivolge a nessuna fascia d’età e non è illimitata dal genere o dalla razza, ma è definita esclusivamente dal gusto e dalla passione.
Sembra di essere a messa in un luogo sacro, fatta eccezione per la puzza di carne rancida alla griglia che ci accompagna tutto il tempo, ma almeno copre l’odore dei corpi sudati.

Florence emerge puntuale, illuminata in controluce da potenti fari, in una posa plastica che ricorda una dea greca. È avvolta in un ondeggiante abito lilla, tutto ali di pipistrello e ruches, ed è pronta a presentare l’ennesimo album impregnato di disastro. Molti dei presenti sono vestiti per l’occasione come lei con mantelli, copricapi bucolici e tenute da ballo stravolte.
Nonostante la presenza del designer Del Core (che firma il suo outfit) la Welch non si concede un solo cambio di costume per tutta la serata, ma si limita a indossare un unico capo fino a sottometterlo.
L’artista sembra afflitta da quella “dance fever” da cui il suo recente quinto album (e questo tour) ha preso il nome. Il concerto parte proprio da qui con Heaven is here, un clamore di gioia, furia e dolore e prosegue con la struggente King il cui ritornello “I am no mother/ I am no bride/ I am king” riverbera in tutto l’ippodromo con una disarmante solidarietà femminile.
Florence decide di portare in scena l’essenza di questa sua ultima fatica, in cui si parla dell’essere donna, di autodistruzione e di dipendenza dal mondo dello spettacolo. Non a caso la mimica del suo corpo segue le sue parole.
Su l’inno ansiogeno Free, la cantane si muove come posseduta tra le sue note e durante il coro “picks me up” e “puts me down” gira felice e fragile su sé stessa, correndo a perdifiato da un lato all’altro del palco, con la sua voce possente che non registra mai lo sforzo.
Stasera si intrecciano immagini pagane e bibliche. A metà di una fragorosa versione del suo primo biglietto da visita, Dog Days Are Over – che arriva molto prima del previsto – la Welch chiede al pubblico di partecipare al rituale dello spettacolo e di mettere via i telefoni, proponendosi poi come figura messianica ai nuovi arrivati: “Abbracciatevi l’un l’altro per sentire la musica”.
Sull’ultima parte del brano istiga i fan a saltare mentre lei intona ancora una volta il ritornello, accompagnata dall’arpa, volteggiando tra punti estremi dello spazio in quella che sembra una cerimonia liberatoria.
Ho il fiatone già al secondo rimbalzo, mentre i suoi acuti migliorano con l’intensa attività fisica. Questa donna ha del disumano, o del divino, non c’è dubbio.

Durante le vibrazioni simil-Midsommar di Dream Girl Evil, Florence scende tra la folla e si erge da dietro le transenne come un santone che si offre ai fedeli: stringe le mani, si abbandona tra i corpi e canta faccia a faccia a una ragazza in prima fila come se l’avesse appena scelta per essere la Regina di Maggio.
Nonostante il costante contatto non percepisco isterismi da parte dei presenti tutti adoranti e in stato di trance come se stessero assistendo a un miracolo.
Hunger vede un ritorno all’energia rocciosa e in levare delle sue canzoni più recenti, mentre Morning Elvis è quasi una preghiera a “farcela”.
Segue You’ve Got The Love in cui la Welch elimina i limiti di sicurezza vocale dal suo ruggito da banshee e alimenta senza fatica un’atmosfera di festa. Il suo sprint non si ferma e continua durante il chamber-pop a tinte gospel di Choreomania, definita da lei stessa “la risurrezione della danza”, senza mai compromettere un grammo delle sue abilità.
Quando la band torna sul palco per il bis, Florence si esibisce in una toccante interpretazione di Never Let Me Go, canzone che non canta ormai da 10 anni. Mentre la folla è immersa in una luce blu Florence permette a tutti di ballare ancora una volta su Shake It Out.
Come tutti i migliori leader di culto, la Welch chiede “un sacrificio” alla fine del concerto: che i membri del suo pubblico salgano sulle spalle di chi hanno accanto. Sull’intro della propulsiva Rabbit Heart (Raise It Up) la folla si arrampica l’una sull’altra come gioiose torri di Jenga umane. Figuriamoci se la sottoscritta dispone di un uomo al suo fianco, della giusta prestanza fisica, a cui chiedere una cosa del genere. Per fortuna non sono l’unica a godere l’imbarazzo del momento dal “piano terra”.
A luci spente, mentre ignoro con ostentato cinismo una proposta di matrimonio che si svolge alle mie spalle nel pit, non posso che fare delle riflessioni sulla performance. A cosa ho appena assistito? Si tratta davvero di un concerto? Oppure di un culto?
Domande che sembrerebbero assurde per la maggior parte dei live, ma che diventano stranamente appropriate per una performance di Florence + The Machine. In effetti, lo show ha tutte le caratteristiche di una religione. Ha un leader: l’eterea Florence Welch. Ha anche un seguito: la band. Ha persino dei “sacrifici” umani. Probabilmente l’unica differenza tra un concerto di Florence + The Machine e una setta è che (purtroppo) si è costretti a lasciare il primo alla fine dello spettacolo.

Florence + The Machine: la scaletta del concerto di Milano
Heaven Is Here
King
Ship to Wreck
Free
Daffodil
Dog Days Are Over
Girls Against God
Dream Girl Evil
Prayer Factory
Big God
Morning Elvis
June
Hunger
You Got The Love
Choreomania
Kiss With A Fist
Cosmic Love
My Love
Restraint
Encore
Never Let Me Go
Shake It Out
Rabbit Heart (Raise It Up)
