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Reportage Live

Se fosse ancora OCTOBER. Almeno abbiamo avuto DEKKER solo per noi a Milano

Era questo 14 novembre sul palco del Circolo Arci Bellezza di Milano l’unica tappa italiana dell’americano BrookIn Dekker. Cappello che copre rigorosamente il viso, chitarra che disegna note sinuose, parole dolci e sussurrate, una colonna sonora perfetta per descrivere il suo (ma anche un po’ il nostro) mondo interiore.

Articolo di Barbara Terrone

Un’altra settimana, un altro giorno, e aggiungerei magari fossimo ancora ad ottobre. Invece siamo già a metà novembre, ve lo ricordo se non ci avete fatto caso. È giovedì e all’Arci Bellezza di Milano suona BrookIn Dekker accompagnato da Stefan Wittich alle percussioni, preceduto dall’apertura di Nyco Ferrari.

Dirigendomi verso il Bellezza penso che, mentre i negozi iniziano a posizionare lucine e ad impostare le classicissime playlist di natale, io mi devo ancora abituare al fatto che è arrivato l’inverno. Mammamia quanto fa freddo – o almeno questa è la mia percezione. Questo non-inverno è arrivato tardi ma in maniera improvvisa, dai 25 ai 5 gradi, lasciandoci più impreparati degli altri anni. E non fa nemmeno così freddo ma la repentinità del cambiamento del clima mette a dura prova i nostri corpi e le nostre convinzioni che va tutto bene, ci sbatte in faccia che c’è qualcosa di strano. Quindi, come uno struzzo o un orsacchiotto, non posso che essere doppiamente felice di rifugiarmi nel calduccio dell’atmosfera casalinga dell’Arci Bellezza. E sembra proprio di guardare il salotto di casa mentre attendiamo l’apertura del concerto. Aspetta, ma ci sono sempre stati i tappeti a terra?! Possibile che sono venuta qui mille volte e non li ho mai notati?!

E improvvisamente ecco comparire sul palco l’opening act, Nyco Ferrari, con Marco Campanale e Davide Ballanti rispettivamente batteria (sintetizzatore) e chitarra. Nyco, basta guardarlo per iniziare a scioglierci, sembra porti dentro di sé un pezzo di mediterraneo, piedi scalzi e microfono in mano, ci conquista. Va oltre lo scaldare il pubblico perché con la sua voce, la sua musica ed energia ci tiene con gli occhi incollati al palco. Le orecchie rimangono sospese ad ascoltare la sua poliedrica voce che mescola passato e presente e varia insieme al ritmo, un po’ urla nel microfono, quasi incazzato, un po’ parla con la voce suadente e profonda e un po’ ci travolge con i toni alti, aspetta, ah no è solo un cantante, non tre. “Grazie Nyco” per aver aperto il concerto, lo dichiara il pubblico con un caloroso applauso. Lo dice anche Dekker che confessa di essere preoccupato di non riuscire ad eguagliare la stessa energia portata sul palco da Nyco che con Lecca Lecca, Sono Fatto così e Girasole ci ha fatto cantare e saltare con lui.

Luci blu, calzettoni bianchi a righe verdi, faccia rigorosamente nascosta dal cappello in paglia, chitarra e ovviamente Wittich alle percussioni. Ci vuole poco per adattarsi al cambio di ritmo e genere, siamo passati dal indie pop elettronico al indie folk in pochi minuti. Mentre Nyco ci aveva spintonato fuori dai flussi di pensiero di un blu giovedì sera, con Dekker siamo di nuovo dentro la stanza di casa.

La canzone di apertura, Popped The Top, primo singolo del penultimo album di Dekker, Future Ghosts (dell’omonima tournee), come ha dichiarato l’autore, è un elogio al parlare con se stessi. E infatti è la voce di Dekker che si incita e quindi incita anche noi a “spezzare la nostra caduta”.

In ogni caso, ormai, è fatta. Il trip è iniziato. Siamo scivolati di nuovo “in camera nostra”. Per le prime canzoni, viaggiamo guidati dall’ordinata melodia della musica, cullati dalla voce dolce di Dekker. Finché non è proprio lui a spezzare il flusso. Con I Think You Know, una canzone dalle note un po’ più groove, torniamo al presente. La cruda verità che non vogliamo ammettere, quella doccia fredda di quando ci mettono con le spalle al muro, lo sappiamo il perché vogliamo scappare, rifugiarci in un posto sicuro. Oppure combattiamo la malinconia, distraendoci con gli interminabili impegni della metropoli, muovendoci “back and forth”, senza fermarci, finché qualcuno non ci smaschera.

E poi, dopo averci tirato fuori dal cuore una serie di cruciverba interiori, Dekker decide, sempre nascondendo il viso sotto il cappello, tanto che ho ricevuto messaggi su IG di gente che mi chiedeva “ma la faccia dov’è?!”, con il suo stile da papa’ tenero, di regalarci il racconto dell’origine della canzone Future Ghosts, singolo e album uscito nel 2024: lo ha scritto sotto la grande influenza della figlia.

Infatti, ci confessa, è stata lei che a un certo punto, mentre giocavano gli ha fatto una domanda scomoda, una di quelle domande che mettono in difficoltà i genitori.

Gli ha chiesto: “Papà, che succede dopo la morte?

Dekker, non sapendo come rispondere, sul momento le ha rigirato la domanda (ammette con un sorriso sornione): “Tu cosa pensi che succeda?” Questo ha scatenato l’inventiva della bimba: “Allora papà, quando morirai metterò il tuo fantasma in un robot”. “Amore, come mai in un robot, perché così saremo sempre vicini?” chiede il padre. “No” risponde la bimba, con quella innocente crudeltà dei bambini “perché così puoi lavare i vestiti sporchi”. Con una risata del pubblico, intenerito dalla condivisione di questa storia intima e comica, è ripartita la musica, le storie avvincenti sui fantasmi, i robot che fanno la lavatrice e tutto quello che BrookIn ci canta e suona del singolo scritto con sua figlia.

Cambio chitarra, cambio album, torniamo al 2020 con Tathered, Wrapped Around dall’album Slow Reveal. Accompagniamo la musica con le mani, ci sciogliamo presi dal ritmo ipnotico della batteria.

Durante tutto il concerto Dekker ci culla dandoci il permesso di essere depressi, tristi, noi stessi. Normalizza la malinconia, regalandoci dei pezzi della sua intimità, della sua storia. Ascoltando le parole delle canzoni, possiamo immaginare pezzi della sua vita quotidiana, giochi con la figlia, pensieri disturbanti, litigate, risate, ma anche conversazioni con la moglie, con cui ha iniziato la sua carriera da musicista, con cui insieme – la storia insegna – nel 2003 hanno fondato i Rue Royale, e non posso smettere di pensare al fatto che hanno dichiarato di aver iniziato a scrivere musica come terapia.

In un certo senso questo si percepisce anche nella sua musica da solista, iniziata nel 2019. Dekker, come ha dichiarato più volte, scrive prima di tutto per se stesso e poi, spera che la sua musica possa risuonare nei cuori delle persone che lo ascoltano, e magari guarire qualcuna delle loro ferite. Anche se sta riscuotendo successo, il suo singolo del 2022 Maybe October ha più di 34 milioni di views su spotify, sembra che comporrebbe e suonerebbe anche se nessuno ascoltasse o guardasse quello che fa.

Noi siamo felici della sua decisione di condividere la sua arte, lo abbiamo assaporato con tutti i sensi possibili. Ci ha fatto ballare, cantare, battere le mani a tempo, ed emozionare, il tutto in maniera pacata e dolce. Ci siamo ritrovati a ridere, a ballare e più volte a nascondere gli occhi inumiditi, nonostante questo, fino all’ultimo pezzo previsto in scaletta, Maybe October, ho avuto la sensazione che si stesse contenendo, che ci fosse una passione che faticava ad uscire allo scoperto.

Sensazione confermata da Dekker stesso quando è tornato sul palco per un acclamatissimo bis, che è diventato praticamente un secondo concerto. Ritornato sul palco dopo la usuale breve pausa, Dekker, prima solo e poi accompagnato da Wittich si è definitivamente lasciato andare, ci ha suonato Let’s Pretend, e ci ha donato una carica esplosiva, grazie ai toni alti di A Better way (tra l’altro tra le mie preferite) in cui si è definitivamente lasciato andare, facendo vibrare casse, cuori e pareti. Bene Dekker, grazie ancora e continua così.

DEKKER – La Scaletta del concerto di Milano

Popped The Top

The Love

I Think You Know

The Door

Back and Forth

Future Ghosts

Tethered, Wrapped Around

Hero Myth

Are we left to help ourselves

This Here Island

I Know, I Know

Too Young To Die

Small Wins

Maybe October

Written By

Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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