Articolo di Jennifer Carminati | Foto di Andrea Ripamonti
E dopo un risveglio a rallentatore, io e Andrea dobbiamo prendere ancora il ritmo di queste giornate intense, ma vedrete che entro domenica ce la faremo, raggiungiamo la location del festival e vi assicuro che entrate nell’area e vedere il prato quasi sgombro di persone e pulitissimo è qualcosa di indescrivibile. Il meteo anche oggi sara’ dalla nostra regalandoci ore di sole ma senza quell’umidità che ti fa boccheggiare e una serata assai ventilata.
THUNDERMOTHER
Ad inaugurare questo secondo giorno del GMM3 sul South Stage ci pensano le Thundermother, band nata nel 2009 a Vaxjo,in Svezia. Debuttano nel 2014 con l’album Rock ‘N’ Roll Disaster a cui ne seguiranno altri, dove sperimenteranno diversi generi come il rock ‘n’ roll ovviamente, l’heavy metal più classico e l’hard rock, con puntatine nel glam anni ’80. Gruppo totalmente al femminile che ha cambiato molto recentemente formazione e devono ancora rodarsi a vicenda, e questo si vede oltre che si sente nella voce spesso sottotono della frontwoman, ma l’attitudine e la grinta non mancano di certo alle tre bionde che si divertono spesso a fare movimenti e mossette sul palco tipiche di altri gruppi (maschili) molto piu blasonati e noti di loro. Son di facile ascolto comunque, e sono un bel vedere, il che non guasta mai, per cui il tempo a loro disposizione scorre tutto sommato via veloce nell’entusiasmo del pubblico presente gia’ in maniera cospicua nonostante il sole di mezzogiorno a picco sulle nostre teste.
CROWBAR
Rapidamente mi sposto verso il Marquee, il palco al chiuso dove oggi farò solo questa volta visita, e menomale direi, visto il caldo che ho patito sotto quel tendone dove però mi sono goduta appieno l’esibizione dei miei adorati Crowbar, che col il loro metal grezzo senza compromessi scateneranno un vero delirio nel pubblico, preso praticamente in maniera quasi costante da headbanging, pogo e moshpit, a tributare loro il giusto tributo. Il chitarrista e vocalist Kirk Windstein, unico membro attualmente ancora presente, visti i numerosi cambi di formazione, è una vero personaggio, pacioso dietro quella sua lunga barba, sempre molto disponibile anche con i fan, a proposito, grazie per il selfie che conserverò come una reliquia sacra. La loro proposta è fatta principalmente di sonorità lente, pesanti e cupe, oscillanti tra doom classico e stoner metal con rapide e veloci puntate nell’hardcore punk. Per tutta la durata della loro esibizione la partecipazione e il compiacimento del pubblico si mantiene sempre su altissimi livelli, a dimostrazione che i brani proposti hanno davvero accontentato tutti, dai fan di vecchia data a chi si è approcciato loro in tempi più recenti, per un motivo (tipicamente perché Kirk è chitarrista anche nei Down) o per l’altro, ma che ci importa, l’importa sia successo, perché se lo meritano davvero. Tocca ora strisciare fuori da queste torbide acque paludose in cui c’è sembrato di essere in questi 50 minuti con loro e ritornare all’esterno, il sole e altre band ci aspettano.
FEVER 333
I Fever 333 sono un gruppo nato nel Luglio del 2017 a Inglewood, negli Stati Uniti. Pubblicano il loro primo e unico album Strength in Numb333rs nel 2019 e da li è una continua ascesa. Dal vivo sono una vera e propria potenza e la loro è una performance fisica, sudata e molto sentita anche dal pubblico. Il frontman Jason Aalon Butler ha una presenza scenica degna di uno che calca i palchi da decenni, non si risparmia 1 minuto, corre a destra e sinistra, incita il pubblico nel mentre che sposta la scenografia del palco a suo piacimento, lancia persino il microfono con tanto di asta, e non si fa certo mancare un tuffo sulla folla che accalca le prime file e che lo riporta prontamente sul palco per eseguire gli ultimi pezzi in scaletta. La bassista, nonostante sia spesso impegnata a mostrarsi in pose da modella e a fare anche cose provocanti con lo strumento che imbraccia, riesce anche a suonarlo e la presenza delle quattro corde si fa sentire. La loro mezz’ora di puro intrattenimento in musica termina con Jason che esegue l’ultima canzone dall’alto sull’impalcatura con postazione, per il pubblico privilegiato o staff del festival non lo so, posta al centro dei due main stage, un pazzo furioso insomma. Nel loro sound si ritrovano influenze dei RATM, Public Enemy e i cari e vecchi Beastie Boys, e questo piace ancora al pubblico, e piacerà sempre, soprattutto se fatto con questa irriverenza ed entusiasmo davvero contagiosi. Ci regalano uno show energico e travolgente che induce ad un frenetico headbanging dall’inizio alla fine; moshpit e pogo selvaggio si scatenano in quantità industriale ad ogni canzone praticamente, e anche numerosi circle pit che nascono spontanei tra la folla senza neanche bisogno vengano chiamati dal frontman, che altro dire se non che hanno scaricato le batterie a molti. e la giornata è andora lunga.
ASKING ALEXANDRIA
Ci spostiamo nel palco a fianco per assistere a quella che a mio parere sarà la performance più deludente dell’intera giornata, parlando ovviamente per quelle che ho visto io. Certe scelte mi son costate care, e gli Asking Alexandria sono indubbiamente tra queste. Nati nel 2008 a York possono vantare una discografia molto ricca e varia, sempre mantenendo un’identità principalmente metalcore andata via via ammorbidendosi, diciamolo pure e non me ne vogliano i fan accaniti che affollano le prime file del North Stage sotto il sole che continua a battere sulle nostre teste. Debuttano nel 2009 con il loro primo album Stand Up and Scream mentre è con l’omonimo full-lenght del 2017 che fanno il botto e partono per il successo mondiale. Per quanto il cantante Ben Bruce (oggi coperto da un mantello con tanto di cappuccio, la follia insomma visto il caldo) sia il fondatore effettivo, Danny Worsnop è probabilmente il membro più di spicco, sicuramente la fa da padrona sul palco quest’oggi. Le voci di entrambi, una piu pulita e l’altra prevalentemente growl si alternano sapientemente in molti dei loro pezzi, con una setlist che personalmente ho faticato a reggere fino alla fine, ma a moltissimi piacciono, che posso dirvi se non che son gusti e in quanto tali insindacabili. Io li trovo piuttosto piatti e non particolarmente incisivi nei riff assai banali e sentitissimi che fanno, per questo non mi sono sentita molto coinvolta nel tempo a loro disposizione che ho sfruttato per fare una merenda rinfrescante a base di frutta gentilmente proposta a soli 1 skull=3,5€ in un cestino di cialda croccante e volendo pure una pallina di gelato, che ho evitato visto che si sarebbe sciolto prima ancora di pagarlo.
AIRBOURNE
Gli Airbourne non sono una cover band degli AC/DC, niente affatto. I loro riffs trascinanti certo li ricordano molto ma hanno un’identità propria data principalmente dal singer nonché chitarrista Joel O’Keeffe con il suo innato carisma da vero animale da palcoscenico, convince pienamente il pubblico. Gli australiani partono subito in quarta e con il loro entusiasmo contagioso fanno saltare e applaudire a tempo tutti con una setlist essenziale dei loro brani più amati. Pubblico in visibilio e più carico che mai dopo Back in the Game, durante la quale Joel si fa un giro in mezzo a loro con tanto di lattina di birra che si spacca letteralmente in testa; un folle dannato pazzo questo ragazzo, che ci sa fare indubbiamente, corre da una parte all’altra del palco, vive lo show fisicamente ed intensamente tanto che dopo tre canzoni è sudato da far schifo già; trascina e coinvolge il pubblico, lo incita e ci offre divertenti siparietti, tra cui gli immancabili lanci di bicchieri di birra sulla folla. Questi quattro giovani folli australiani trasudano entusiasmo e passione da tutti i pori e meritano assolutamente tutti gli applausi ricevuti copiosamente per tutta la durata del loro show. Che altro dire se non: “Rock ‘N’ Roll will never die“, e io aggiungo, assolutamente vero, finchè ci sara gente come loro a portarlo avanti.
HATEBREED
Il loro è un hardcore che tira dritto veloce e potente, con l’inossidabile frontman Jasta, una vera e propria icona per molti sempre pronto a motivare sul palco senza soluzione di continuità. Setlist che scorre via veloce con pezzi che aizzano il pubblico in inevitabili moshpit e pogo devastante. Jasta non si risparmia un attimo su quel palco consumando tutte le energie in corpo facendosi portavoce di un genere che loro hanno ampiamente contribuito a creare. E lo dimostrano i cori che si alzano all’unisono in A call for blood o Smash your enemies, dove il degenerare della follia collettiva prende il via. Destroy everything in tutti i sensi in questi 50 minuti di grinta e carisma, perché di questo si parla. Grandi Hatebreed, avevamo bisogno di questa nuova sferzata di energia che voi avete trasmesso a noi, qui sotto il sole gia da qualche ora, ma sempre presenti sotto palco, magari con una birra di troppo in mano, ma ci siamo.
BEHEMOTH
Intro di qualche minuto prima che facciano ingresso sul palco i Behemoth e vederli alla luce del sole fa davvero strano, ma vi assicuro che il loro corpse paint terrà: fino alla fine, incorruttibile come chi lo indossa. Lo show proposto dai polacchi segue comunque il formato standard nonostante sia all’interno di un festival, con tanto di fiamme ad incendiare le prime file e varie vestigia papali che faranno capolino sul palco. Il fuor-piece polacco gode di ottimi suoni e le granitiche chitarre che macinano riff possenti e serrati, supportati da una sessione ritmica impressionante per velocità e robustezza. Il protagonista assoluto è Nergal con la sua presenza scenica fenomenale e inimitabile. Inferno alla batteria, con l’impeccabile tecnica dei blast beats è in piena sintonia con Orion al basso e Seth alla chitarra. A chiudere l’antemica e infernale Chant For Eschaton 2000 che porta all’uscita di scena dei deathers polacchi tra infiniti applausi e un tappeto umano di corna alzate che si alzano ai loro piedi, dopo la perfetta esecuzione musicale e potenza scenica alla quale abbiamo assistito in questo poco più di un’ora a loro disposizione.
AMON AMARTH
E ora tocca ai miei vichinghi preferiti, gli Amon Amarth, e so già che ci aspetta un altro live fenomenale, accompagnato da scenografie spettacolari come ci hanno abituati ai loro concerti, serrati e granitici con il loro death incalzante, melodico, furioso, combattuto tra scream e growl di alto livello del gigantesco vocalist Johan Hegg, ottimo interprete delle song guerresche dei cinque vichingoni e abile nel coinvolgere al massimo tutti i vikings, e non solo, presenti, che molto spesso ringrazierà per il calore e affetto trasmesso. Nell’ora e mezza di concerto gli Amon Amarth faranno una rassegna di tutti i loro più noti successi, da Deceiver of the Gods all’inconfondibile riff di Pursuit Of Vikings, che riceve un’ovazione da parte del pubblico chiamato a cantare a gran voce il ritornello a dimostrazione che è un autentico cavallo di battaglia della band.Trademark immancabile nei loro live il windmill, ovvero il tipico movimento rotatorio della testa durante l’headbanging, ed è davvero impressionante vedere tutta questa folla, chi con più capelli chi meno, muoversi all’unisono. The Great Heathen Army è accompagnata sul palco da un inscenato combattimento tra guerrieri pagani mentre con Put Your Back Into the Oar parte del pubblico si siede a terra e finge di remare su di un’immaginaria nave vichinga sulla quale siamo tutti salpati questa sera in compagnia dei cinque svedesoni. Corni al cielo in modalità distruzione per Raise Your Horns dove tutti e dico tutti cantano a squarciagola il ritornello. Con Twilight of the Thunder God, altra indiscussa pietra miliare della band arriviamo alla riva, e un visibilmente compiaciuto Joahn ci saluta sorridendo e sorseggiando ancora una volta dal corno e brindando a tutti noi che alziamo invece un bicchiere di birra, “skull!”.
Finalmente il sole é calato definitivamente alle nostre spalle e noto in questo cielo limpidissimo numerosi deltaplani, sia mai che vogliono atterrare qui e farci visita. O vorranno sentire i concerti gratis forse? Noi intanto ci apprestiamo a seguire sul palco a fianco uno dei tre grandi nomi della serata di oggi.
DISTURBED
Il singer David Draiman, con indosso un cappotto di pelle che giustamente toglierà a breve, fa il suo ingresso sul palco raggiungendo gli altri componenti dei Disturbed. La scaletta, che pescherà a piene mani dall’ampia discografia dei nostri si apre con Hey you, partenza a mio avviso in salita, potevano scegliere un brano migliore per iniziare. La band picchia duro e ripropone bene le ritmiche serrate e potenti del loro metal moderno, con bassista e chitarrista che corrono in giro per il palco; il cantante Draiman però non appare al massimo della forma vocale, pur fornendo una prestazione comunque buona, e si affida al suo carisma per rafforzare il legame col pubblico. Il loro concerto prosegue con canzoni dal sound molto omogeneo, essendo i Disturbed una band rimasta molto fedele alle sue coordinate stilistiche. Momento particolarmente toccante quando il frontman con un discorso davvero toccante ed emozionante parla dei suoi problemi con la depressione, che come ha toccato lui puo’ farsi largo in ognuno di noi con il suo sapersi insinuare nell’animo umano spesso in maniera subdola. Ma come ci ricorda il commosso David nessuno di noi e’ solo, ricordiamocelo sempre, e dopo uno sguardo d’intesa con chi ci sta attorno ed esserci asciugati un’inevitabile lacrima andiamo avanti con lo show. In dirittura d’arrivo Indestructible mentre la classica Down With The Sickness chiude un concerto buono ma che non ha soddisfatto le mie aspettative. “We are disturbed ” ripete il frontman prima di scendere dal palco, e sinceramente mi sento anche io parecchio disturbata al momento, per vari motivi.
Necessito di un’altra birra prima di dirigermi nuovamente verso il North Stage per l’esibizione rivelazione della mia giornata.
GOJIRA
Lo ammetto, ero partita prevenuta nei confronti dei Gojira e invece son stati una piacevole sorpresa. Punto cardine del gruppo è la voce nonché la presenza scenica di Joe Duplantier, che avevo sottovalutato su disco, mentre dal vivo è davvero estremamente carismatico e una vera potenza. La loro setlist è un alternarsi continuo tra i pezzi di vecchia data e pezzi più recenti, in un crescendo di isteria collettiva in cui volente o dolente siamo tutti trascinati. Il loro è un perfetto equilibrio tra energia e precisione tecnica anche in sede live, e tutto questo ha contribuito notevolmente al loro successo. Nevrotici ansiogeni creano un senso di pathos crescente in molti loro pezzi.Sicuramente i Gojira non hanno bisogno di dimostrare niente a nessuno, con una carriera di successo come la loro si può solo stare ad ascoltare estasiati per la maestria dei nostri. Ormai sono una realtà consolidata del panorama metal internazionale, che mi mancava di vedere dal vivo e dopo oggi posso ritenermi più che soddisfatta di esserci riuscita.
MACHINE HEAD
Giusto una breve pausa, e ci apprestiamo ad assistere a quello che sarà l’ultimo concerto di questa seconda giornata del GMM23. È mezzanotte quando i Machine Head fanno ingresso sul palco immersi in una luce rosso fuoco ed è subito ovvio che Robb Flynn&soci in questa serata ci daranno riprova del loro carisma e indubbio talento. Suoneranno una decina abbondante di tracce tornando alle origini con Davidian, From this day e Ten Ton Hammer, canzoni molto apprezzate dai metallari di vecchia data manco a dirlo. Vista la location è presente tutta la cornice visiva tipica dei loro spettacoli, con tanto di fiamme ad incendiare le prime file, giochi di luce e fumo di scena, il tutto con alla base la presenza scenica del carismatico frontman con il suo tipico scream a long corre da una parte all’altra del palco, più e più volte incita e ringrazia il pubblico, il quale risponde a tono offrendo uno spettacolo nello spettacolo, animando la zona antistante al palco con mosh pit selvaggi e crowdsurfing fuori controllo. Ma dove la trovano la forza questi ragazzi a quest’ora? Setlist implacabile che ci propina macigni sonori uno dietro l’altro, come lecito aspettarsi da una band di tale caratura. Finale affidato ad Halo in cui le poche energie rimaste, oltre che a loro, anche a tutti noi qui su quest’erba da stamattina, vengono definitivamente prosciugate in un ultimo sforzo collettivo. Stremati ma indubbiamente contenti riceveranno il giusto tributo da una platea soddisfatta della performance appena terminata e in generale dell’intera giornata.
Come mai non ho il dono dell’obiquita’? I Meshuggah che suonano in contemporanea su un altro palco non me lo dovevano fare, è stato difficile scegliere e questa volta è andata così, son comunque contenta, e vorrei ben vedere direte voi.
Guardiamo al terzo giorno che sara’ in termini di lineup, per la parte alta del tabellone, il mio preferito in assoluto. Per oggi direi che posso ritenermi piu’ che soddisfatta dei concerti visti e dell’intera giornata e nonostante la stanchezza inizia a farsi sentire la contentezza di esserci la compensa ampiamente
Stay metal and stay tuned, see you tomorrow.
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