Connect with us

Ciao, cosa stai cercando?

Reportage Live

Grazie ai The DANDY WARHOLS sono stata Megan Gale per un giorno

Articolo di Serena Lotti | Foto di Oriana Spadaro

Nel lontano 2002 sono stata Megan Gale per un breve periodo. Avevo come lei gli occhi verdi, la quarta di reggiseno e cosce autostradali da fare invidia alla futura Ekaterina Lisina. Mi guardavo allo specchio e giravo la testa muovendo suadentemente una massa di capelli fissata con la lacca Splend’Or di mia nonna, il tutto sfidando le leggi della fisica e ammiccando “And youuuu?” con un sospiro finale lunghissimo a rischio enfisema polmonare, ma fiera, convinta, determinata. Ero già una superfan del metodo Stanislavskij che applicavo con rigore e metodo: io ero Megan Gale. Il wallpaper musicale di questo processo di personificazione e reviviscenza era Bohemian I Like You degli americani Dandy Warhols. Era il 2002 e la colpa era dello spot della Omnitel, che diventava Vodafone. Ci mandavamo gli SMS, ci facevamo gli squilli per darci la buonanotte e usavamo la summer card per fare tutto questo, perchè eravamo dei poracci ai primi anni di università senza mai credito nel cellulare. Insomma con la summer card potevi stalkerare tutti, per tutta l’estate, a soli 10 euro.
Quindici anni dopo non è che ce la passiamo meglio. Io mi sparo ancora le pose allo specchio e uso la lacca Splend’Or, ho però un contratto telefonico da persona seria e soprattutto seguo ancora i Dandy Warhols. Lanciati a mille nella ionosfera della notorietà grazie ad un tormentone che si è sentito ovunque, la band di Portland è stata etichettata dai più come una band one hit wonder. La scomparsa dalle radio a fine campagna pubblicitaria ne ha decretato l’oblio dai canali mainstream una volta soppiantati da Shakira, Dido e Vasco Rossi. Ma Courtney Taylor-Taylor e soci hanno continuato a percorrere la loro strada appena appena girato l’angolo del vialone della notorietà, una strada di altri 7 album, sperimentazioni anche un po’ lontane dal pop rock radiofonico, più o meno fortunate (se pensiamo all’ottimo Distortland e al meno felice The Machine) e comunque 25 anni di carriera all’attivo, che non è poco.

Tornano in italia per presentare l’ultimo lavoro in studio Why You So Crazy che si può altrimenti definire un’onda alta tra le onde e, comunque, un nuovo sottocapitolo della carriera up and down dei Dandy Warhols. Noi li abbiamo intervistati prima di questo live in Santeria e ci siamo fatti spiegare un bel po’ di cose…

Che fossero votati all’ipnotismo lisergico lo sapevamo e come già Courtney ci aveva confidato durante l’intervista la setlist non avebbe scontentato nessuno ed avrebbe proposto brani dell’intera discografia della band. Quindi quello che noi ci aspettiamo, prima di entrare nella venue milanese, è un’orgia di rock classico, psichedelia acida, sonorità della middle-America in pieno stile DW, a piene mani dentro lo psych più puro e trancey.
Una Santeria sorprendemente piena per un concerto ad inizio settimana ci fa ben sperare. I Dandy non sono stati dimenticati. Courtney Taylor-Taylor alla voce, la mitica Zia McCabe alle tastiere, Brent DeBoer alla batteria e Peter Holmstrom alla chitarra.  Si inzia un po’ in sordina con Forever, tratta dall’ultimo lavoro Why You So Crazy e siamo invitati ad entrare nelle pianure oscure e weird delle sonorità della band. Il cantato basso di Courtney è impercettibile, come sempre, le distorsioni in apertura dopo un po’ ci annoiano. L’incantesimo dell’ipnotismo alla Velvet Underground non funziona. Aspettiamo di planare e diamo un’opportunita a Holding Me Up con la sua natura slow krautrock acchiappante, ma il tempo passa lentamente, il pezzo sembre non finire mai e manca di quella magia capace di farci chiudere gli occhi e dimenticare di essere li. Zia McCabe si sbatte e chiede al pubblico un handclapping che resta, purtroppo, timido e scazzato.
Sulla ficcante Styggo tratta  dello stupendo album Distortland l’alchimia si realizza. Uno dei brani più riusciti della band con i suoi lunghissimi e sussurrati refrain disarmanti sulla base di un funky acustico seducente ed ammaliante. Siamo ancora lontani dal divertirci e lasciarci convincere, ma stiamo andando bene.


Su Get off siamo nei territtori di un’altra grande passione dei DW, il brit pop ed il rock internazionale di buona forchetta. A piene mani con un po’ d’olio orientaleggiante vanno ad ammorbidire le trame acide di una chitrarra ruvida e amara e sull’electro country Highlife cercano di mantenere quello standing emotivo del “dai che ce la facciamo” con una Zia McCabe che continua a sbattersi per incitarci ma senza riuscire ancora a percuoterci nel profondo. Siamo imbrigliati in un’orgia strumentale prog infinita che non eleva, che non emoziona ma sta prendendo una direzione comunque giusta.
E così, distrattamente, planiamo su Thirteen Tales From Urban Bohemia e torniamo ancora sui viaggi trippettoni e acustici con Ride (Dandys Rule OK), Mohammed e Godless, tra momenti di pura psichedelia acida e squarci di western acchiappanti che per un attimo catturano la nostra attenzione. Balliamo timidamente al ritmo di una moog-chitarra vintage ma siamo ancora piantati nel 2019.
Arriviamo fnalmente su Bohemian Like You che seppure non tra i brani migliori di Taylor-Taylor, ha la capacità di risvegliare le endorfine, farci tracannare la birra a metà bicchiere e farci lanciare in una danza ritmata al ritmo di woo woo woo. Elaboro il trauma di non essere diventata Megan Gale e mi lascio andare alla cupa rassegnazione di non poter mai più recuperare. Guardo le mie amiche ubriache e penso che lo psicodramma è iniziato. Finalmente the party is going to be. Scattiamo come molle, i DW si sono svegliati dal torpore alla Grateful Dead e iniziano a rasoiare gli strumenti: da We Used To Be Friends tratto da Welcome to the Monkey House alla tamarra Every Day Should Be A Holiday di Tutti pazzi per Mary finalmente imbrocchiamo la strada della neopsichedelia che ci piace, veleggiamo mo su ritmi di quella middle-America country lisergica, i sintetizzatori sparati a mille, le armonizzazioni ora funzionano e sbarellano, balliamo su riff erotici e sensuali.
Chiudono con un medley di Pete International Airport e Boys Better e fanno bene il loro compito alt-rock. Non eccellenti, spesso ripetitivi e sottotono ma capaci di guizzi stupendi con brani dalle strutture intricate e dalle armonie complesse. Non simpaticissimi, non intrattenitori ma abili nel mescolare schitarrate fuzz acidissime e dissonanti a momenti di rara dolcezza e poesia narrativa.
C’è tantissimo nel mondo dei DW ma è come se poi non ti rimanesse niente appiccicato addosso. Un summary rock-pop anni 60’, di cultura psichedelica, di Velvet Underground a chili, di grunge, di ambient, di brit pop e via dicendo, tutto per te. Ti diverti lì sotto dopo un pò, poi vai via e pensi solo a fumarti una sigaretta e a parlare coi tuoi amici.

Non vogliamo dire che sia un cluster raffazzonato di stile poco personale ma di sicuro dopo 25 anni di carriera ai DW sembra mancare quella cazzimma che potrebbe renderli unici e veramente indimenticabili. Allucinare lo sanno fare, ma annoiare anche. Si perdono a tratti, non si elevano nelle alte atmosfere della memoria storica ma sono sicuramente capaci di ammaliare e sorprendere. Una carriera costellata di alti e bassi. Una volta un giornalista di loro scrisse “Sono bravi, ma non si applicano”, come dargli torto. Del resto Megan Gale fece lo stesso, “imparò” a recitare con Vacanze di Natale e finì in un film con Russel Crowe, ora presenta uno show di sarti in terra natia. Chi è senza peccato, quindi, scagli la prima pietra.

Clicca qui per vedere le foto dei DANDY WARHOLS a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto).

The Dandy Warhols

DANDY WARHOLS – la setlist del concerto di Milano

1. Forever
2. Holding Me Up
3. STYGGO (Somethings you got to get over)
4. Crack Cocaine Rager
5. Get Off
6. Highlife
7. Not If You Were the Last Junkie on Earth
8. Good Morning
9. Ride
10. You Were the Last High
11. Mohammed
12. Godless
13. Bohemian Like You
14. We Used to Be Friends
15. Every Day Should Be a Holiday
16. Pete International Airport / Boys Better / Zia Outroset

Written By

Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Scopri anche...

Reportage Live

Foto di Andrea Ripamonti Gli October Drift, dopo essersi gentilmente concessi per un’intervista con noi ( la trovi cliccando qui ), sono attualmente nel...

Reportage Live

Esiste? Non esiste? O il desiderio non è altro che il propeller naturale di quella che psicologia e letteratura hanno definito una devianza? E...

Reportage Live

di Stefania Clerici Dopo “20 di pratica nell’effimera dimensione live della celebrazione festiva” (leggasi, il rituale concerto al Fuori Orario che prende luogo ogni...

Musica

Articolo e foto a cura di Davide Merli The Script arrivano in Italia con un imperdibile appuntamento l’11 dicembre 2024 al Fabrique di Milano. La band irlandese da 10...