Articolo di Serena Lotti | Foto di Giorgia De Dato
Nell’eleganza e nella delicatezza dei Lamb c’è qualcosa di profondamente rassicurante ed inquietante al tempo stesso. Chi se li ricorda planare leggeri sul panorama del trip hop degli anni 90, incasellati in una definizione che andrà sempre stretta al duo di Manchester capace di commistionare più generi e più intenzioni sonore insieme, forse rammenterà anche quanto, già allora, rispetto a Tricky, Portishead, Massive Attack e Morcheeba loro si staccavano nettamente in termini di sonorità e avanguardia. Da una parte il trip hop dilagava nei territori mainstrean dell’ascolto e del consumo radiofonico, sdoganato dalle band più famose, dall’altra restava dietro l’angolo pronto a mostrarsi solo ai veri appassionati e cultori del genere. Perfettamente in grado di sciogliere nella loro ampolla magica dub, techno-house, jazz, soul ed elettronica hanno creato un genere cervellotico e sofisticato, intenso, inquietante e profondamente emotivo, non per tutti.
Dopo la reunion e gli album 5 del 2011 e Backspace Unwind del 2014, The Secret of Letting Go è il settimo album in studio di Lou Rhodes e Andy Barlow, un disco evocativo e contemplativo, estatico e surreale che mescola linee melodiche folk a influenze free-jazz e drum’n’bass e techno, accompagnato dalla straordinaria voce di lei. La Santeria li accoglie in un tripudio di sentimenti nostalgici e affettuosi.
Il set dimostra una complessità non indifferente, estremamente lontano dai block-rockin beats delle band di elettronica, e questo è bene evidente sin dal primo brano. Il polistrumentista Andy Barlow arriva on the stage saltellando e ci lascia cadere sul pavimento l’osso sfenoide tanto è inaccettabilmente bello e arrapante, ed arriva accompagnato da un bassista/violoncellista, un batterista e una violinista.
La Rhodes li raggiunge avvolta in abito bianco frusciante ed etereo, sul capo una corona di piume nere che danzano ad ogni suo lieve movimento. E’ la sacertodessa del trip hop, la vestale-sirena che plana leggera sul palco e ci mostra fascino e crudeltà insieme, è la sibilla ammaliante dell’elettronica estatica e visonaria. Bellissima e sofisticata, la schiena e le braccia totalmente scoperte, il suo è un corpo che soffia e che danza, che ondeggia e che incanta il pubblico in come in un irresistibile artificio di seduzione.
Una druidessa, un pavone che si avvicina al microfono e respira dentro le armonie minimali di Phosphorous , primo brano della setlist proposta stasera che svelerà principalmente tracce di The Secret of Letting Go, in un crescendo dinamico e avvolgente che rassicura e scalda, l’anima off kilter, il basso e la batteria grevi e severi e la voce di Lou che trasforma l’inquietudine in malinconia, la potenza in vacuità liquida e trasparente. Ed è così che i Lamb ci spalancano le porte del loro microcosmo onirico e surreale permettendoci di perderci e di ritrovarci, continuamente.
Versioni struggenti, cariche di phatos, eleganza, da Imperial Measures, collapse di nu-soul onirico e un pianoforte che si apre morbido e che si svuota, si libera, andando in un loop crescendo e dinamico dove prima Lou chiede silenzio, silenzio assoluto, scherza e dice “Immaginate sia un lunedì mattina” mentre invoca “What no words can say, revelation day” e la musica è tutto ciò che le parole non possono dire, fino a The Secret of Letting Go; e torna ancora l’idea del silenzio concettuale, dell’abbattimento delle resistenze, le dinamiche sub-bass che rendono il brano spettrale e crepuscolare, infiammato da elementi di elettronica con riverberi, fuzz ed effetti digitali acidi e sferzanti, un violino che ammorbidisce e Lou che ansima dentro le note, come in una sessione di medidazione contemplativa che si libera in aneliti e soffi melodici.
La versione stupenda di One Hand Clapping apre una conversazione intima ed esclusiva col pubblico, chiamato a fare da contraltare a Lou che guida le nostre bocche con le dita, con le braccia ondeggianti e le nostre voci all’unisono diventanto “the best voice ever” in un crescendo di solennità e intimità insieme che ci rende un tutt’uno con la band. Lei è la druida che invoca e chiede, che ottiene e perdona e che ci conduce nei meandri di una versione delicatissima e ficcante.
Ancora su tappeti sonori estatici e struggenti e arriviamo sulla famosissima Gabriel, brano di The Lamb del 1996 dalle atmosfere rarefatte e sensuali, il calore della melodia, il cantato commovente ed evocativo di Lou ci fa danzare all’unisono, ci fa ondeggiare il capo come in un incantesimo. Un lamento finale e i riverberi infiniti della voce della Rodhes che si fanno qualis metallici e ci pacifichiamo, e cancellano per sempre dalla mia mente l’immagine di Step e Babi che limonano duro sulla Tuscolana (Gabriel è infatti stato colonna sonora di Tre metri sopra il cielo se proprio lo vogliamo ricordare)
As Satellites Go By, tratto da Backspace Unwind e la delicatezza infinita di un pianoforte in meditation in primo piano e un cambio d’abito in cui scompare la ghiera piumata e Lou scopre una treccia a corona e un abito impero con dettagli oro, ci sorprende con un finale lisergico, passando grazie un cambio di registro rependino e violento, da un‘atmosfera evanescente ed eterea ad una riscatto liberatorio mediato da un urlo scomposto e disperato.
L’encore è affidato alla contemplativa Górecki che vive in un avvolgente crescendo di accordi di piano e archi in sottofondo dove le invocazioni di Lou esplodono infine in una sezione finale lunghissima ed ipnotica e alla fine tutto si scioglie naturalmente come in una catarsi purificatrice.
I Lamb hanno proposto infine due set strumentali: la virulenta Deep Delirium e i suoi crescendo verso una frenetica danza di abbandono estatico e dagli ipnotici ritmi fino alla urticante e psichedelica Merge. Una chiusura col botto con i toni trance di Trans Fatty Acid, versione oscura minacciosa, soffocata da infiniti feedback che termina e si indurisce alla fine chiudendo in un bad end devastante, assordante, lisergico ed infinito prima di terminare bruscamente.
Alla fine di questo live sappiamo con certezza che i Lamb sono ancora dannatamente coinvolgenti e che grazie al loro nirvana creativo sono capaci di regalarci melodie incantatrici ed oniriche dove la forma diventa vuoto, il vuoto diventa forma restituendo le immagini minimaliste ed eteree dell’esperienza dell’elettronica sofisticata e di nicchia. Vogliono sfondare l’orizzonte percettivo dei sensi raggiungendo un altrove lontanissimo e opposto, in un’ottica stilistica e sonora sensibilmente intimista, ricca di citazioni artistiche e poetiche, in un quadro contrastato che si divide tra contesti sonori violenti e acidissimi e una minimale semplicità, struggente e intensa. I Lamb che si purificano nel silenzio e si contaminano di suoni multiformi, i Lamb che ti chiedono di lasciarti andare e ti svelano il segreto e la formula per farlo. Dimentica di resistere.
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LAMB – la setlist del concerto di Milano
Phosphorous
Armageddon Waits
We Fall in Love
Illumina
Imperial Measures
The Secret of Letting Go
Deep Delirium
Gabriel
Bulletrproof
Merge
The Silence in Between
One Hand Clapping
Encore
Angelica
As Satellites Go By
Backspace Unwind
Górecki
Trans Fatty Acid