Articolo di Serena Lotti | Foto di Andrea Ripamonti
Gli americani Nada Surf arrivano a Milano durante un ponte pre-natalizio che ha letteralmente svuotato la città ma non per questo sotto il palco della Santeria di Via Toscana si sono ritrovati a suonare per uno sparuto pubblico. Anzi, mi arrivano le consuete gomitate sulla schiena e gli immancabili uomini alti, capelloni e con un disturbo di iperattività davanti a me non cessano di presentarsi puntuali come le notifiche di iscrizioni a ruolo di inizio anno.
Dopo un concerto che ha visto metaforicamente più rinvii a settembre di quanti non ne abbia vissuti io durante i miei anni alle superiori (prima aprile 2020, poi settembre 2020, poi di nuovo maggio 2021, riprogrammato a febbraio 2022 e infine dicembre 2022) finalmente possiamo godere dei suoni rotondi e ficcanti della storica band di Matt Caws.
I Nada Surf, alternative rock band di ispirazione grunge prima, indie low-fi dopo, è una formazione di lunghissimo corso che produce le sue prime tracce già nei primi anni 90. Imperituro nella nostra memoria lo splendido debutto di High/Low uscito nel lontano 1996 (quando grazie a Popular ottennero un incredibile successo internazionale). Poi anni di silenzio e qualche album proprio non brillantissimo fino al 2001 quando con Let Go riescono a segnare un grandissimo slam e portare a casa il disco più bello di tutta la loro produzione discografica.
Matt Caws e soci hanno poi, con l’ultimo e nono full lenght del 2020, Never Not Togheter, raggiunto una maturazione definitiva, già bene lambita comunque 15 anni prima con The Weight Is a Gift del 2005, lavoro su cui la band aveva finalizzato e poi perfezionato il proprio progetto indie rock. Diventati così i paladini dell’indie americano e la band tra le più corteggiate dai creator, gli advertisers e tutto il cucuzzaro delle serie TV, nel nuovo capitolo della sua storia guarda al futuro con rinnovato ottimismo, senza però dimenticare le proprie radici rock grunge.
Ma torniamo a Milano. Il nono disco quindi, e la mancata promozione di quest’ultimo a causa dei concerti cancellati causa pandemia, ci fa capire che non ci sono nuovi brani da promuovere durante questo tour e significa una sola cosa: ascolteremo un assaggio di quasi tutta la discografia nadasurfiana, con una setlist di ben 23 brani tratti da gran parte di quello che hanno pubblicato in trentanni di carriera (Da High/Low a The Proximity Effect, da Let Go a The Weight Is a Gift, da Lucky a The Stars Are Indifferent to Astronomy fino ai più recenti You Know Who You Are e Never Not Together).
I Nada Surf ci incantano già dalla prima canzone in setlist, Popular e il suo strafamoso spoken work, la sua natura profondamente easy-listening (come è la quintessenza di quasi tutte le track dei Nada Surf nonostante sia una graffiante satira sulle dinamiche dell’accettazione): la comfort zone nella quale ci trasportano fin da subito, con grande naturalezza e amore, ci farà stare in pace col mondo per le successive due ore. Matt Caws e soci in un set di quasi due ore elergiranno al pubblico perle di incredibile leggerezza e asciuttezza insieme, dai tiri punk di Telescope e alle versioni happy party di Looking Through, Hi-Speed Soul, Bad Best Friend caratterizzate da refrain irresistibili, tocchi a dodici corde e un pop-rock costruito ad arte per farti impazzire di gioia ed euforia che tocca il suo apice su Blankest Year con un gruppetto di fortunati fan scaraventati sul palco da Lorca inziano a intonare insieme alla band Oh fuck it, ballando come pazzi, abbracciando i membri della band, provocando un rosicamento senza fine nel parterre.
Il cuore ti si straccia letteralmente con i Nada Surf, ti si aggroviglia lo stomaco come quando sei alla prima crush, hai 15 anni, sei innamorato, hai l’acne giovanile, dieci euro in tasca per tutto il weekend, l’interrogazione di latino il lunedì mattina e un’incondizionata fiducia nel genere umano. Sei felice e non lo sai. Io mi sento esattamente cosi, in pace col mondo, allineata con tutti i pianeti, ho un mandrino autoserrante che blocca tutte le negative vibrations, c’è un perfetto contrappeso tra ebbrezza e malinconia. Matt guida un pubblico adorante in un nuovo, estatico, caldo e soffice momento con i meravigliosi affreschi ed arabeschi sonori di Killian’s Red, Friend Hospital, il crepuscolare afflato di Blonde on Blonde, tutti brani nati per essere cantati a oltranza fino a che c’è aria nei polmoni. Sulla mia personale epifania che è Inside of Love, un popsong benedetta che meriterrebbe di essere suonata in piazza San Pietro durante l’Udienza Generale, il disegno si compie nella sua interezza per quanto mi riguarda. Fedeli vi benedico con la prece “I’m on the outside of love Always under or above, I can’t find my way in“, una moderna Padre Nostro 2.0, che non ha la pretesa di salvarti, ma prova almeno a darti speranza.
L’incrollabile sicurezza della band americana ancora si manifesta in gemme come Come Get Me e il suo affascinante viluppo di chitarre muscolari, la penetrante performance vocale di Matthew Caws scioglie le ginocchia e spinge lo stomaco giù, mentre mi rendo conto che quelle che credevo fossero farfalle nello stomaco, si rivelano essere un intero esercito di lepidotteri della famiglia dei Saturnidi. Siamo già in una nuova fase di volo planare con la delicata e leggera Happy Kid e Mathilda, con i suoi fascinosi cambi ritmici: un brano che, come spiega Matt, ha il dovere di raccontarci una sofferta vicenda di crescita e formazione.
Matt, con i suoi monumentali arpeggi e power chords, esprime naturalmente e senza sforzo una straordinaria eleganza e classe capace di imprimersi nella nostra memoria anche grazie a quella che è una voce evocativa, limpida, eterea abile a restituire anche momenti di concretezza irriducibile e quasi dolorosa. I Nada Surf e il loro impegno ad “andare sino in fondo e a lasciare andare al tempo stesso“, ci raccontano di quanto l’animo umano sia caduco e meraviglioso al tempo stesso, ci parlano di emozioni che cambiano continuamente, che mutano più velocemente di un refolo d’estate, con un atteggiamento oscillante fra la consapevolezza del sè data dall’esperienza e l’immaginazione affettiva, quella dell’arte delle emozioni che non ha età, nè limiti in essere.
All’interno di questa superficie ruvida e morbida insieme, si intreccia una molteplicità di suoni, sensazioni e storie: tutto è variazione, scienza dell’esplorazione dell’amore e delle sue declinazioni, uno storytelling raccontato da affondi rock potenti e chitarristici, ballads semplicemente splendide e capolavori melodici di rara bellezza. Con eleganza e soavità i Nada Surf propongono domande e pongono ipotetiche ed universali risposte attraverso altrettante suggestioni e fascinazioni, componendo sul palco un mosaico di voci e facce, di esperienze e dolori, un campionario umano dal quale siamo pienamente rappresentati. Scivoliamo così su un’epica chiusura con la versione toccante e completamente unplugged di Blizzard of ’77 con tutti e quattro i membri che cantano immersi nel buio e nel silenzio.
Ed è cosi che i Nada Suf ci hanno svelato la loro personale versione di una moderna faboulos tale dove l’amore, sempre eterno ed indiscusso protagonista, può essere leggero e nel contempo insostenibile, raccontando questo antitetismo e questa divergenza di elementi con garbo, chiedendoci di lasciare andare, invitandoci a rifugiarci in una semplicità a noi sconosciuta, cercando verità che non abbiamo mai sperimentato, sempre lasciando andare, nonostante tutto…permettendo alla vita di scorrere secondo un’ancestrale regola di natura. Let go, e forse, nel 2023 finalmente ANDRÁ TUTTO BENE.
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NADA SURF– La scaletta del concerto di Milano
Popular
Telescope
Hi-Speed Soul
The Plan
Friend Hospital
Killian’s Red
Looking Through
Come Get Me
Inside of Love
Happy Kid
Là pour ça
Bad Best Friend
Do It Again
Blonde on Blonde
Mathilda
Hyperspace
Looking for You
See These Bones
Something I Should Do
Encore
So Much Love
Always Love
Blankest Year
Blizzard of ’77 (Acustic)