Articolo di Serena Lotti | Foto di Andrea Ripamonti
Quando è uscita la notizia che i Verdena avrebbero pubblicato un nuovo album, Volevo Magia, sette anni dopo Endkadenz, il mio cuore ha avuto un fremito, perchè il trio bergamasco per quelli della mia generazione ha rappresentato l’esempio magistrale di un alt-rock misto a frattaglie di grunge e shoegaze fatto, allora, in un modo che oggi nessuno fa più.
L’ingranaggio magico e folle che muove la macchina dei Verdena sta quindi per partire sul palco di un Alcatraz strapieno, per la prima di una due giorni milanese: tutto il tour della band bergamasca è andato inevitabilmente soldout in pochi giorni come c’era da aspettarsi. La folla è immane, siamo schiacciati l’uno sull’altro tanto da permettermi di riconoscere esattamente la marca del balsamo per capelli di quella che mi sta di fronte e l’ammorbidente usato per il bucato di quello affianco a me. Mi arrivano gomitate nelle vertebre, ma amo tutti. Mezzora di ritardo, fremiamo.
Di riempitivi sul palco ce ne sono. Una decina di videowalls assurgono il ruolo di additivo visivo, ma non ne abbiamo bisogno: ad onor del vero i nostri occhi sono tutti puntati su Alberto, Luca e Roberta: dai 10 digital signage alle loro spalle potrebbe pure comparire Russel Crowe vestito da Massimo Decimo Meridio con tanto di gladio e ologrammato in 3d che non ce ne accorgeremmo nemmeno. Proietteranno qualsiasi cosa su quei visual: cerbiatti, api, geometrie sconnesse, immagini antropomorfe con il compito di spingere ancora più lontano la sensazione di stare dentro ad un trip assurdo e dissennato, tutto tinto di luci rosso sangue. Sul palco anche il giovane Carlo Maria Toller, tastierista dei Jennifer Gentle e polistrumentista bresciano, ufficialmente diventato il quarto elemento della band.
La momunentale Pascolare arriva come una scudisciata sui denti e ci indica la rotta da seguire per questo volo a 300 all’ora dentro la schizofrenia, generando fin da subito sinestesie profonde. Sentiamo i suoni arrivarci a mitragliate dritte sulla faccia e li accogliamo cosi, facendoci investire, aperti e grati, come si accolgono le cose belle, quelle che sappiamo dureranno poco. Il fragore del primo pezzo frantuma l’aria letteralmente e fertilizza il terreno per quello che nascerà nelle prossime due ore.
Ci addentriamo ancora di più nella selva psichedelica del mondo dei Verdena che officiano con Voleva Magia il rito di tutto il primo set con le versioni incendiarie di brani dai testi, dove si fatica a trovare un senso narrativo che non sia guidato dalla dalla volontà di smantellare tutto e ricostruirlo da capo, all’infinito. Ogni canzone è una continua ripartenza e ci permette di dare ad ogni pezzo il senso che ognuno di noi ci vuole trovare, nel rispetto dell’estetica musicale della band.
Volevo Magia non è che un commovente atto di fede verso le origini musicali: meravigliosa la versione elettrica di Chaise Lounge che tra 10 anni sarà l’ennesimo brano manifesto del power trio bergamasco, elettrizzante la bluesettona Paul e Linda dove ci asfaltiamo la gola su quella dichiarazione de iure “Cazzo vedo blu“. Ed è tutto blu, come in una versione indie rock di Avatar, diretta dai fratelli D’Innocenzo.
Si accende Viba, iconico brano dell’omonimo album d’esordio, e siamo li, tutti insieme stretti in quel masochismo che non ci ha mai lasciato, quello dei ventenni indistruttibili ma romantici “Quando non mi vuoi Io sto bene” e siamo di nuovo nel 1999, ed è subito amarcord, MTV, Nokia 3310 e gli squilli per darci la buonanotte, e ci sono quegli infiniti pomeriggi di cazzeggio montessoriano: eccola lì la Robertina del ’78, quella a cui tutte volevamo assomigliare, per noi sempre quella ragazzina coi capelli viola mentre scortica un basso più grande di lei in una session di headbanging, lei che con quella testa sfidava le leggi della fisica. E Alberto, il sogno di tutte noi, dannato e sfasciato, con la maglia bucata, i capelli perennemente incollati a quella faccia da stronzo inarrivabile. Il Kurt Cobain lombardo, forse più inaccessibile di quello americano e per questo entrato fino da subito in un mito tutto italiano. E Luca mentre scuoia una batteria che irrompe come una scossa di magnitudo inevitabilmente corrosiva. Come si fa a non amarli?
Scegli me con Alberto alle tastiere da il via all’immancabile momento limone che evolve nel petting con la crepuscolare e malinconica Razzi, ed è ancora WOW con i ficcantissimi cambi di Loniterp fino ad arrivare al necessario momento tribute di Requiem con i riffettoni impetuosi e acidi di Don Calisto, il diamante grunge per eccellenza, ma è sull’encore che bruciamo gli ultimi brandelli di energia rimasta, dove diamo inevitabilmente tutto.
Muori Delay ci fa raggiungere una dimensione ultraterrena sparandoci fuori dall’Alcatraz come avessero sganciato nel parterre un ordigno esplosivo, ma è su Valvonauta pezzo storico anni ’90 sul quale abbiamo costruito il nostro credo “stobenesenontornimai” rinnegando fino all’osso i nostri bisogni affettivi, che ci eleviamo nella ionosfera. Qui cogliamo l’ultima occasione per sparare le ultime cartucce e buttarci gaudenti l’uno sull’altro in un pogo immenso, ed aspettare insieme, abbracciati e saltellanti, che questa astranove scalcagnata superi inesorabilmente il portale del tempo trascinandoci in un gorgo avviluppante, catartico e purificatorio.
Altissimo momento Sturm und Drang con la meravigliosa perla che è Ghiacciai e sulle strofe che spaccano il cuore “Perdersi è un’agonia, tornerai più giù, chi vuoi che io sia? Lo sarò” sento che è il momento di programmare la prossima seduta dalla pscioterapeuta. Su Angie e Certi Magazine sarei finita direttamente in trattamento farmacologico, quindi meno male che le hanno tolte dalla setlist.
La chiusura è affidata all’affilatssima Volevo Magia che ci riconsegna alla realtà di una Milano freddissima: e rieccolo lì il cambiamento climatico, la fine del reddito di cittananza, le rate del condominio, la sveglia delle 7, i colloqui con le maestre dei figli, la presentazione sulla brand reputation da finire, Bonaccini che si candida a segretario del PD. Siamo tornati a casa, dopo una viaggio allegorico, in cui l’impeto dei suoni e la celebrazione dell’amore per la musica, quella suonata da dio, quella suonata in stato di grazia, alla Verdena, sono stati determinanti per la prova live, e ne hanno costituito l’ossatura essenziale, per cui è impossibile coglierne il senso profondo prescindendo da queste.
Il muscolare impianto chitarra-basso-batteria-tastiere-backing vocals funziona magistralmente e la voce cupissima di Alberto Ferrari che declama e urla su testi dalle geometrie complesse ed oscure, fa dei Verdena, graniticamente radicati in una cultura musicale chiara e ben definita, dei miti da idolatrare. Non possiamo che celebrare questo atto di devozione, grati per questo ritorno a casa, per questo ritorno alle origini, ai nostri difficili, disagiati e meravigliosi 20 anni.
Alberto, Roberta e Luca anti divi per scelta e inclinazione naturale, stasera sono i stati sacerdoti di un rito dove si è celebrato prima di tutto la musica, quella vera, quella a cui è stata tolta la magia (Volevo Magia non è che una richiesta ben precisa. Ridateci il maltolto). I Verdena sono i pagani virtuosi del primo cerchio dell’inferno di Dante, un connubio perfetto tra genio e sregolatezza dove la necessità di costruire una comunicazione diretta e sincera con il pubblico è stata prioritaria e necessaria.
Un dialogo scomposto e nonsensical tra il power trio e noi, una conversazione tra ubriaconi dove alla fine la verità ha vinto su tutto. La natura oscura e doublespeak dei testi, la costruzione di un tappeto sonoro ruvidissimo e urticante sono state il collante che ha tenuto insieme tutta la potenza di questo live. Ci siamo domandati cosa sia sopravvissito di quel rock alternativo che abbiamo idolatrato per 20 anni e i Verdena ci hanno risposto “Tutto” buttandoci in faccia una valanga di suoni distorti che ci hanno scavato dentro, facendoci salire su un carrozzone senza ammortizzatori nè freni, lanciato a 300 all’ora, ricordandoci che loro ci sono ancora e che la fede si conquista con l’istinto. Perchè i Verdena sono culto a cui si offre fede, dedizione, venerazione, tanta quanta loro ne hanno data a noi since 1999.
Perchè sarà stato anche un viaggio privo di senso, priva di logica, dissennato, criptico, oscuro ma è stato catartico, liberatorio, vero. E’ stato uno scambio onesto e sincero. Perchò oltre a volere magia, volevamo verità. E i Verdena ce l’hanno data.
Clicca qui per guardare le foto del concerto dei Verdena a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
VERDENA – La scaletta del concerto di Milano
PASCOLARE
CRYSTAL BALL
DIALOBIK
CHAISE LONGUE
CIELO SUPER ACCESO
PAUL E LINDA
VIBA
STARLESS
LUNA
DON CALISTO
NEI RAMI
TROVAMI UN MODO
RAZZI
SINO A NOTTE
CANOS
LONITERP
PUZZLE
SCEGLI ME
ENCORE
MUORI DELAY
VALVONAUTA
UN PÒ ESAGERI
SUI GHIACCIAI
VOLEVO MAGIA
dario
24/11/2022 at 19:48
“Volevo magia ma è uscita un po’ una merda!”
Questo probabilmente è quello che avrà detto Alberto nei camerini finto il concerto della seconda data milanese, seguito dalla distruzione del camerino stesso.
Vado hai loro live dal ’99 (tipo 6/7 date a tour fino a WOW) e non ricordo serate dove non ci siano stati “imprevisti tecnici”, che poi sono il meno perché spesso sembra Alberto che si auto sabota andando in tilt. Il problema tecnico di Alberto è Alberto!
Comunque….
Nonostante l’acustica del locale non eccelsa i pezzi del loro ultimo album (abbastanza sottotono ahime) suonati quasi tutti, suonano potenterrimi molto di più che l’ascolto su disco faccia pensare. Sound cambiato (come alcune chitarre) che ha influenzato anche l’esecuzione dei pezzi vecchi (anche se questi mi hanno dato quasi l’impressione di un effetto medley).
Roberta mi è sembrata veramente in straforma e l’unica a divertirsi (quasi come sempre del resto).
Dopo cosi tanti anni sono un po’ combattuto tra “l’effetto nostalgia triste e poco stimolante” dal quale nella vita cerco sempre di starne il più lontano possibile, musica in primis e il “forse la vampa mi è passata e semplicemente la magia dovrò cercarla altrove”.
State leggeri gente!
Serena Lotti
25/11/2022 at 16:06
Ciao Dario, anche io ho visto parecchi live dei Verdena e ho ricordi di chitarre scordate, bestemmie sul palco e Alberto che si perde e si incazza. Erano 10 anni che non li vedevo dal vivo e l’emozione ha fatto passare tutto in secondo piano. Posto in essere che i suoni dell’Alcatraz storicamente non sono mai stati eccelsi ho notato anche io, nella prima data, delay, riverberi e distorsioni a volte too much. A mio avviso tutto questo superabile da quello che nonostante tutto sono riusciti a generare sul palco e nel parterre. Bomba. E il loro ultimo disco, secondo me, è fantastico. Per quanto riguarda il tuo “State leggeri” grazie, è un verbo che ci ricordiamo di onorare every single day.