Articolo di Umberto Scaramozzino
Fink nella lineup del Jazz:Re:Found è solo apparentemente esotico. Quello del festival boutique di Cella Monte Monferrato è un contesto nel quale Fink, al secolo Fin Greenall, ha vissuto per buona parte della sua vita. Disk jockey prima, produttore discografico dopo, cantautore infine. Dalla musica dance, al folk e al blues. Dai remix, ai brani talvolta chitarra e voce, talvolta arrangiati per un act indie rock di prim’ordine. Ne ha fatta di strada da quanto ha deposto la consolle in favore della chitarra, ma ogni tanto il suo passato da pupillo della Ninja Tune torna a bussare alla sua porta e lo porta a spasso, magari tra i vigneti di un paesaggio patrimonio mondiale UNESCO.
Con lui questa volta non c’è Thomas Moked Blum – suo braccio destro nel tour dei club dello scorso anno – ma il polistrumentista Tim Thornton, da diversi anni membro fondamentale della band che porta lo stesso nome del suo frontman e che talvolta gira l’Europa in lungo e in largo. Chi ha avuto la fortuna di vedere la versione full-band della proposta di Fink non può che portare nel cuore il buon Tim, da sempre uno spettacolo nello spettacolo, col suo entusiasmo contagioso e dilagante. Anche qui, come unico compagno del suo cantante, non può fare a meno di cantare ogni singolo brano come farebbe un fan qualsiasi in transenna, esaltandosi nei momenti più concitati e mostrando sincera emozione in quelli più toccanti. Uno di noi, insomma.
Forte di un comprimario così devoto, Fink tiene questo palco per lui atipico al meglio delle sue possibilità. “So che alcuni di voi saranno confusi, ma quando finiremo tornerà la musica che vi farà ballare”, dice l’artista inglese col sorriso, tra l’ilarità generale. “Questo festival è meraviglioso e gode di una grande reputazione. Sono molto fortunato a essere qui”, aggiunge per chiarire l’ovvio. A dire il vero il pubblico del JZRF è tutto tranne che annoiato e rende omaggio a Fink e al suo show intimo. Fingerpicking, melodie emozionanti e testi profondi sono la sua personale ricetta, che dal vivo può anche contare su ottime doti interpretative e un controllo vocale davvero notevole. Anche se sono in pochi a conoscere i brani, il religioso silenzio durante l’esecuzione e le calorose ovazioni negli intermezzi sono abbastanza eloquenti.
Beve il suo intruglio di miele e zenzero, dà qualche indicazione verso il mixer per essere certo che i suoni siano perfetti come al suo solito e si concede giusto un paio di occhiate per essere sicuro di avere ancora l’attenzione della platea che probabilmente sente di dover conquistare. Il resto del tempo lo passa a occhi chiusi, non perché i dintorni non meritino uno sguardo, ma perché è il suo modo di astrarsi e rivivere la propria musica esattamente come la prima volta. C’è un’attenzione ai particolari che non può lasciare indifferenti e garantisce agli attenti organizzatori del festival di aver compiuto un’ottima scelta a non essersi arresi dopo aver provato a portarlo nel Monferrato fin dalla prima edizione, un po’ in onore del suo passato in Ninja Tune, un po’ per celebrare la componente post trip-hop del suo repertorio, in qualche modo legata alle origini della manifestazione.
Anche se la scaletta di inizio serata del day 4 di Jazz:Re:Found è più breve del solito, non mancano i pezzi più noti come Yesterday Was Hard On All of Us (Perfect Darkness, 2011) e Looking Too Closely (Hard Believer, 2014), ma anche un assaggio del nuovo album in studio, Beauty in Your Wake. Tutti i pezzi confermano come Fink sia uno dei migliori nel fare quella cosa lì, quella che tutti i cantautori aspirano a fare: smuovere le viscere, ma con delicatezza. È un ossimoro che richiede grande talento nel riuscire a rievocare ricordi o accompagnarne la creazione di nuovi.