Articolo di Mariangela Megali | Foto di Rossella Mele
Mai come in questo periodo l’industria musicale calca le scene al recupero dei due anni e mezzo di stop dovuti alla pandemia COVID-19. Non è infatti difficile trovare a Milano un concerto al quale valga la pena andare, ma non capita spesso di assistere a due date infrasettimanali consecutive, completamente sold out, all’Alcatraz di un gruppo elettronico di prim’ordine.
Il trio berlinese dei Moderat composto da Sasha Ring, a.k.a. Apparat, e da Gernot Bronsert e Sebastian Szarzy dei Modeselektor, ha presentato al pubblico milanese l’ultimo album, More D4ta, pubblicato proprio a maggio di quest’anno. Un anagramma di un percorso, del ritrovamento dell’uscita da quello che sembrava un vortice che stava assorbendo tutti, tra ansie, sofferenze e paura dell’ignoto.

Dall’apertura della serata con Reminder, il primo singolo del loro terzo album, all’encore con Intruder, quello che di più semplice può essere detto è che i Moderat sono magnetici, per tutta la durata dello show. Il ledwall alle spalle degli artisti attraverso paesaggi sonori elettronici immerge in un mondo sovrappopolato di input, come se quella pausa di sei anni che il gruppo si è preso dal proprio terzo lavoro a quest’ultimo, rilasciato pochi mesi fa, fosse in qualche modo collegata a quello che è accaduto. Uno stop, una pausa riflessiva e un’esplosione di stimoli, quello che è successo a tutti noi, quello che sta succedendo ora.
Quando il brano Undo Redo inizia, un fascio di luci a led illumina solo lui, Apparat, che con la sua voce estremamente dolce è come se ci volesse condurre di nuovo alla nostra essenza. Con Neon Rats, Easy Pray, Last Time e Bad Kingdom, fino ad arrivare a New Error, primo brano del primo album del gruppo, il canto collettivo, le mani alzate, rivelano palesemente ciò che ormai i Moderat rappresentano, ovvero un progetto ormai entrato nel tessuto della storia della musica elettronica.

I tre artisti sul palco che a fine show scherzano, come se fossero dei ragazzi qualunque. Parlano al pubblico, mentre Apparat ironizza sul suo poverissimo vocabolario italiano, lasciandosi aiutare da un appunto incollato dalla crew sul sintetizzatore di Sebastian, rivelando infine che sua figlia, una piccola bilingue italo-tedesca, saprebbe cavarsela molto meglio di lui.
Il concerto è un tuffo nella loro dimensione, fatta di immagini a matrice, vortici luminosi, strutture di codifica, flash di luci bianche e rosse, una rievocazione di sonorità terrestri, dal magma allo spazio cosmico, un percorso nel quale si evoca il grande Michelangelo e la Creazione di Adamo. Un’origine: la nostra. Ma anche un viaggio nei nostri corpi costruiti di natura, pieni di sentimenti, emozioni e immersi nell’epoca contemporanea che sapientemente è stata indagata e rappresentata dal trio, fiero di questo gran bel ritorno sulle scene.
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