Articolo di Jennifer Carminati | Foto di Andrea Ripamonti
One Swedish Metal Night before Christmas
Inizio di dicembre all’insegna dello swedish death metal in questo Alcatraz di Milano che ospiterà ben quattro band scandinave: in apertura Orbit Culture e Imminence, i leggendari At The Gates e gli headliner In Flames.
Appuntamento imperdibile per gli appassionati del genere, due solide realtà che hanno vissuto il death metal in maniera differente, cambiando il loro sound negli anni ma riuscendo a mantenere un’impronta digitale identificativa.
Vediamo dunque lo stato di salute musicale e non solo della compagine svedese.
Anche oggi devo saltare la pausa pranzo per poter uscire prima dall’ufficio ed essere al locale di via Valtellina in tempo per non perdermi neanche una delle band in scaletta: cosa non si fa per una giusta e sana dose di musica live… la fame può attendere, la sete meno, ormai lo sapete che sono una bevitrice assidua di birra, inutile fingersi astemi.

La serata viene aperta dagli Orbit Culture, quartetto formatosi nel 2013, fautore di un metal un po’ industrial e un po’-core, feroce, granitico e ricco di groove, dal giusto piglio sicuramente per una visione on stage. Costretti ad esibirsi di fronte a un numero abbastanza ridotto di persone, visto l’inizio infrasettimanale alle h 18.30, sprigionano comunque un’energia degna delle grandi folle. Le prime canzoni son suonate quasi al buio, davvero difficile distinguere i musicisti di nero vestiti su fondale nero, neanche a dirlo. Dopo tre canzoni devono essersi accorti che forse non avevano pigiato l’interruttore ed eccoli finalmente abbagliati ora da luci bianche al limite dell’accecante. Inconvenienti visivi a parte, il frontman, Niklas Karlsson, ha monopolizzato l’attenzione di tutti nel tempo a loro disposizione, con la sua voce che va dal growl al pulito in maniera talmente fluida e continua che ti fa dubitare esca dallo stesso corpo, sembra quasi posseduto credetemi. Ottima prestazione anche per gli altri membri della band: il batterista Christopher Wallerstedt ha battuto sulle pelli in maniera aggressiva e micidiale, Richard Hansson alla chitarra e Fredrik Lennartsson al basso fanno il loro dovere, con tecnica, velocità e compattezza, accompagnando il tutto dall’immancabile windmill, ovvero il tipico movimento rotatorio della testa durante l’headbanging che crea appunto con la loro folta chioma l’effetto di un mulino, per buona pace di Andrea (fotografo della serata). Per quanto possa sembrare un casino non ben definito, questi ragazzi si sono rivelati davvero bravi nel riproporre live una decina di brani estratti dai loro tre album all’attivo. Una mezz’ora servita a scaldare gli animi e a prepararci a quello che sarebbe arrivato nel proseguo di questa notte all’insegna del melodic death metal made in Sweden.

Pausa di quindici minuti per il cambio palco: occasione al solito per me di prendermi finalmente una birra e per i ritardatari (si fa per dire) di prender posto in quest’Alcatraz ancora da riempire. Sono le 19.15 e tocca agli Imminence proseguire l’onda energetica sprigionata dai loro predecessori. Attivi dal 2009 ci propongono un metalcore alternativo nel vero senso della parola, in quanto i cinque di Malmö hanno una particolarità che li distingue dalla massa: le chitarre aggressive e le voci clean/scream/growl si amalgamano in maniera molto fluida con gli inserti di un violino, avete letto bene si, che fa da spina dorsale alla proposta del gruppo, in apparenza banale ma in realtà molto ben ragionata e curata in ogni particolare. Il frontman, Eddie Berg, sembra appena uscito dal conservatorio, in jeans camicia bretelle e tra le braccio un violino; la loro musica è tutt’altro che classica come potete immaginare visto il contesto. La loro proposta è quantomeno innovativa, moderna e indubbiamente ancor più coinvolgente in sede live rispetto all’ascolto su disco, devo ammettere. Con la promessa di rivederci tutti al merchandising per ringraziarci a uno a uno della presenza qui questa sera si congedano da noi ricevendo il meritato tributo di applausi. Il tempo a loro disposizione scorre via veloce e piacevole e si congedano da noi dopo aver preparato ulteriormente l’atmosfera per i tanto attesi padri fondatori della scena metal di Gothenburg in arrivo finalmente sul palco.

Sono le 20 in punto quando i leggendari At The Gates, fautori di uno stile disperato e coinvolgente, fanno il loro ingresso. È sicuramente inutile che vi ricordi la storia di una delle band più seminali ed amate del genere death metal, è tuttavia opportuno soffermarsi sui più o meno recenti avvenimenti. Nel 2017 lo storico chitarrista Anders Björler, da sempre una delle colonne portanti del sound del gruppo assieme al fratello Jonas, si è congedato dalla band. I ragazzoni di Gothenburg hanno reclutato il cantante/chitarrista Jonas Stålhammar, non certo un novellino, ma dobbiamo ammettere che il risultato finale dopo la dipartita di uno dei gemelli Anders suonava diverso, in tutti i sensi. Ho avuto modo di vederli live due volte in passato ed era come se mancasse quel qualcosa che rendeva una canzone subito associabile agli At The Gates, non so se riesco ad esprimere un concetto che a me è molto chiaro oltre che caro. Quel legame imprescindibile che certe band hanno saputo creare tra la loro musica e loro stessi, una palese associazione 1 a 1 insomma. Questo legame che ho piacevolmente ritrovato questa sera perché, per chi non lo sapesse, Anders Björler si è di recente riunito alla band e abbiamo quindi potuto godere della sua presenza on stage, cosa affatto non trascurabile ve lo posso assicurare e soprattutto molto gradita dai fan di vecchia data come la sottoscritta. Incipit affidato a “Spectre of Extinction“unico brano proposto dall’ultimo album ‘The Nightmare of Being’ del 2021; il suo incedere articolato e martellante, con sprazzi acustici e aperture dinamiche apre a tutti gli effetti le danze. L’intramontabile “Slaughter of the Soul” proposta subito a ruota è il giusto momento per chiamare da parte di Lindbergh un inner circle tra le prime file; il quarto album in studio degli At the Gates, del 1995 ricordiamolo, rimane un punto di riferimento per la scena metal in generale. Da questo capolavoro ci proporranno altre due tracce che scateneranno la folla in pogo e moshpit selvaggi: la cruda e violenta “Cold” che riesce ad esprimere nel miglior modo possibile il lato più intenso della loro musica, culminante nella parte finale con lo scream acido di Lindbergh; giusto il tempo di sentir stridere le chitarre e attaccano le note di “Under a Serpent Sun”, dotata di un ritmo a dir poco travolgente con il micidiale riff/assolo presente a metà canzone che fa venire i brividi ed emoziona i metalheads più vecchietti, e anche i nuovi seguaci del combo svedese. La prestazione maiuscola dei fratelli Björler, coadiuvati dal frontman Tomas Lindberg, giustifica ampiamente il prezzo del biglietto come si suole dire; tutta la band è in forma pressoché perfetta e con la loro classe ed esperienza han spaziato da serratissimi riff death metal a soluzioni più progressive e melodiche, sfruttando soluzioni stilistiche trasversali e a tratti inaspettate devo ammettere. L’intro in sottofondo parlata in spagnolo ci ricorda che l’esistenza non è che sofferenza, rovina, morte, e nessun Dio può cambiarla, e non aggiungo altro, la religione è un argomento che è meglio non toccare, in nessuna sede, tantomeno in questa. Era comunque l’incipit al riff cupo di “Death And The Labyrinth”, con inserti black metal presente nei lori primi lavori in maniera più massiccia. Segue a ruota la fulminea quanto micidiale “Blinded by Fear”. Il nuovo cammino degli At The Gates è andato di pari passo a ciò che i fans di vecchia data avrebbero voluto sentire nella scaletta proposta dal combo svedese che chiude le danze, aperte 45 minuti fa ormai, con la cadenzata e disperatamente oscura “The Night Eternal“, tratta da ‘At war with reality’ del 2014, uscito dopo ben diciannove anni di silenzio, nel quale ci auguriamo proprio non ricadano più i nostri che non hanno certo bisogno di dimostrare più di quello che hanno già fatto in questi trent’anni di carriera: con la loro prima discografia, quella degli anni ‘90 per intenderci, sono entrati nell’olimpo del metal estremo e da lì nessuno li smuoverà mai. Questo è poco ma sicuro.

‘I, the mask’ l’ultima fatica targata In Flames, è del 2019, e come sempre aveva generato commenti su com’è e come dovrebbe essere il loro sound, ormai in grado di dividere abbondantemente i fan ad ogni pubblicazione. A febbraio 2023 uscirà il loro prossimo album invece, ‘Foregone’ che si può già preordinare dal loro sito per gli interessati. Il tour europeo, partito solo da qualche giorno, transita in Italia, all’Alcatraz di Milano, in questo giovedì 1° dicembre, che dà il via al mese per eccellenza in cui siamo tutti più buoni nella speranza di ricevere ancora un regalino sotto l’albero di Natale anche se abbiamo abbondantemente superato i 10 anni, anagrafici almeno. E io non posso essere da meno nel recensire il concerto quindi, ci provo almeno. Ad attendere la corazzata di Goteborg un ben nutrito plotone di fan: molti indubbiamente acquisiti dagli ultimi dischi; un buon numero reduce dagli antichi piaceri dell’antica svolta targata ‘Reroute To Remain’ e anche dei giovanissimi supporter, che non conoscendo i primi In Flames non possono certo fare paragoni o avere nostalgia dei tempi in cui i nostri facevano metal duro e pesante, come piace alla sottoscritta, e a molti altri dei presenti in quest’Alcatraz al limite del sold-out per quest’altra serata targata Vertigo Concerti. Sono le h 21.15 quando, chiamati a gran voce dal pubblico, gli In Flames irrompono sullo stage accolti da un’ovazione carica di entusiasmo. Anders Fridén, vera anima del gruppo, inizia sin da subito a muoversi da un lato all’altro del palco coinvolgendo il pubblico e mettendo in chiaro come gli In Flames vivano la dimensione live: divertendosi e facendo divertire. Dal loro quattordicesimo album, ‘Foregone’, come detto in uscita a inizio 2023 per Nuclear Blast, ci proporranno i tre singoli già usciti: “The Great Deceiver”, “Foregone Pt. 1” e “State of Slow Decay” dove ritroviamo indubbiamente il loro sound fatto di melodia sì ma anche aggressività e velocità quando ci vuole. I primi pezzi, seppur nuovi e freschi di uscita, non reggono il confronto con “Pinball Map” da ‘Clayman’ del 2000 o “Cloud Connected” da ‘Reroute to Remain’ del 2002, sui quali il pubblico si scatena in pogo e moshpit sudatissimi e santissimi anche da chi sta sul palco e gode di quanto la loro esibizione riesce a scatenare. La setlist saccheggia sapientemente dalla loro ampia discografia, inframezzando pezzi più nostalgici come “Only for the Weak”, cantate a squarciagola da un’audience completamente rapita, a pezzi più recenti come “Wallflower“da ‘Battles’ del 2016. Finalmente filotto nostalgico micidiale di brani che vanno dal 94 al 99, quali “Behind Space”, “Graveland”, “The Hive” e “Colony”, che scatenano un prevedibile putiferio. Assente ingiustificato dalla setlist ‘Soundtrack To Your Escape’ e mi fermo qui in ulteriori commenti personali su cui potrei divagare e non è il caso. Tripletta finale di singoli fatta da “The Mirror’s Truth“ a “I Am Above” su cui un coro di voci si è unito a Fridén nei ritornelli; immancabile “Take This Life” in chiusura, che al 90mo minuto manda tutti sotto la doccia senza tempi di recupero; metafora calcistica dovuta al fatto che il clima mondiali anche senza Italia aleggia nell’aria e nei discorsi in metropolitana e per osmosi lo assimilo anche se non me ne frega nulla, son sincera, ma mi è venuta cosi e ve la beccate. I nostri abbandonano il campo sotto gli applausi scroscianti di questo Alcatraz entusiasta.Il loro tentativo di voltare pagina nei confronti dell’ingombrante passato e proporre una set list che ha puntato massicciamente sugli ultimi loro album, trascurando gli album storici degli anni ‘90, è stato tutto sommato azzeccato per la riuscita del live. Gli In Flames ci hanno regalato una performance maiuscola sotto tutti i punti di vista con l’energia e la professionalità che i cinque sono sempre in grado di trasmettere on stage, tanto sui pezzi nuovi che su quelli più datati, e spegniamo sul nascere eventuali note polemiche con un unico commento: è stata una scelta ruffiana la loro? Assolutamente sì. Punto.

Tiriamo dunque le fila di questa lunga serata: come detto ad inizio recensione, avevamo di fronte due band che, alle loro origini, hanno contribuito ampiamente a fare la storia di un genere da cui ora però si sono decisamente allontanati, facendo l’occhiolino e avvicinandosi a sonorità ben più orecchiabili. Ad entrambe le protagoniste della serata riconosciamo la buona intenzione nello spirito di cambiamento dimostrato negli anni senza però violare la loro vera essenza e senza snaturarsi completamente. Due regali li abbiamo già ricevuti sotto l’albero quindi, e li abbiamo subito aperti e scartati e vissuti questa sera. Vediamo se questo dicembre ci farà trovare altri pacchetti sotto l’albero…magari a forma di biglietto per un concerto di cui poi leggerete ovviamente la mia recensione, vi aspetto, al prossimo spacchettamento.
Clicca qui per vedere le foto dei In Flames all’Alcatraz di Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
In Flames – la scaletta del concerto all’Alcatraz di Milano
The Great Deceiver
Pinball Map
Cloud Connected
Behind Space
Graveland
The Hive
Colony
Only for the Weak
Leeches
Foregone Pt. 1
Wallflower
State of Slow Decay
Alias
The Mirror’s Truth
I Am Above
Take This Life
At the Gates – la scaletta del concerto all’Alcatraz di Milano
Spectre of Extinction
Slaughter of the Soul
At War With Reality
To Drink From the Night Itself
Cold
Under a Serpent Sun
Heroes and Tombs
Death and the Labyrinth
Blinded by Fear
The Night Eternal
