Articolo di Marzia Picciano
Cosa ci rimane di tre giorni di MI AMI, il festival della Bella Musica e dei Baci, l’evento simbolo ormai consolidato dell’indie made in Italy (ma non solo) che passa necessariamente per Milano? Sicuramente tanta musica e quella leggerezza tutta compattata lì, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno (quest’anno tormentato da un clima infausto, non c’è che dire, ma dove volevamo parlare di climate change se non nella città croce e delizia per eccellenza?), sulle nostre suole infangate all’Idroscalo. E se quest’immagine vi mette disagio, vi sbagliate di grosso, perchè il festival è uscito alla grande, complice un parterre non scontato e il grand finale con i Phoenix del giorno finale, domenica 26 maggio, sul palco con Giorgio Poi e Calcutta a cantare Fior Di Latte che è stato un pó come sottolineare che si, la musica alternativa (a Sanremo) in Italia si fa e trova grandi congiunzioni astrali (nonostante i il microfono poco performante di Calcutta).
Sarà questo ad attrarre gli sponsor? Prendiamo Jack Daniel’s, un brand che non ha bisogno di grandi presentazioni ma di cui forse non tutti sanno del legame con la musica, a partire dalla figura del founder della distilleria con la sua Silver Cornet Band, fatta di artisti, lavoratori impiegati e avventori. Non si dica che il whiskey non faccia cantare – soprattutto la granita, oggettivamente un colpo bassissimo per noi millennial esasperati dalla banalità dei gin tonic e dai sensi di colpa del giorno dopo. Tra l’altro, quest’anno il palco omonimo ha ospitato tra le voci più interessanti della nuova scuola indie (chiamiamola cosi, questa ultima wave) italiana, spaziando tra generi senza passaggi scontati: cito solo Vale LP, Sethu, Anna Castiglia, Parbleu, Mazzariello, una fantastica Whitemary. Un palco, senza ombra di dubbio, divertente, che è una qualità assolutamente da non sottovalutare in un festival, proprio perchè al MI AMI ci si va non solo per celebrare ma anche per scoprire.
Tuttavia, ció non è bastato all’arcinota casa di whiskey dato che ha deciso di portare al MI AMI anche una skate pipe (con tanto di skater sfreccianti) nell’area Chill&Fun ed è qui che con RockOn ci siamo trovati insieme a Fomento, lab romano based in Prati (più romano di cosi, si muore) dedicato al mondo skater o meglio alla customizzazione totale e definitiva di tavole da skate, a farcene una noi. Grazie MI AMI e Jack Daniel’s, del resto, quando mi ricapita?
Jacopo Loreto, il nostro guru e responsabile del lab, ha iniziato shapando la sua prima tavola nel 2014, e portato avanti l’idea era unire i suoi studi accademici in product design alle passioni sportive, tutte tenute insieme dal minimo comune denominatore della tavola. Domenica è lì nella sua versione più zen possibile (e lo capisco, io sono riuscita a montare mobili Ikea al contrario, figurarsi a piallare legni e montare rotelle) a spiegarci come farlo semplicemente, o meglio, il processo dall’inizio alla fine (meno la parte attiva di falegnameria delle travi, che ormai rientra a pieno titolo nell’elenco che non avrei mai pensato di fare, ma una volta accarezzata l’idea… perche no?).
Prima ovviamente pit stop o “spiegone” della cultura skate nel mondo, da divertimento nato con pezzi di scarto industriali a disciplina sportiva e mentale, del tutti contro tutto e tutti, fuga dalle regole, ribellione a schemi e anche la gravità, e quindi dalla visione Made in USA, il momento di boom con Tony Hawk, a quella Made in Italy dove Milano è un punto di riferimento importante; un movimento che trova il suo contrappunto in un mondo musicale alternativo (ZZ Top e Trasher Magazine, anyone?). Sembrerebbe lontano, invece lo skate al MI AMI ci sta un sacco bene. Anche perche sono le 5, c’è finalmente un sole caldo primaverile, siamo già al primo spritz e tendenzialmente disponibili a essere volentorosamente creativi (e in sottofondo c’è l’ironia semi punk rock degli italo-francesi Terestesa) e in fin dei conti l’idea di trasformare queste travi marchiate con il logo Old No.7 in uno skate dà un senso tutto unico nelle parole di Fomento lab. Perchè alla fine, anche qui si parla di arte. Jacopo e il suo team sono degli artisti che danno nuova vita a pezzi di oggetti che invece hanno ancora da dare (e le botti di rovere sono perfette, incredibilmente flessibili e resistenti, e poi del resto anche nel pieno della rivoluzione industriale si era iniziato cosi: con scarti, buoni).
E poi esiste tutta una poesia nel raccogliere e mette insieme i pezzi. Attenzione, al terzo giorno di MI AMI finalmente l’abbruttimento che l’ultima stagione delle piogge, polveri sottili e ferie in viaggio finite malissimo hanno sedimentato in me sta sparendo e lascia spazio a un minimo di eterna speranza. A partire dall’immagine delle botti finalmente libere dalle prese di acciaio che si aprono “a fiore” e le cui assi vengono unite due a due da un’unica anima, una assai molto concreta fascia di legno che deve impedire agli assi di spaccarsi sotto il nostro peso. Che lo pago a fare l’analista, se il pragmatismo del romanticismo me lo possono insegnare solo quelli che le cose le fanno e creano con le mani? Mentre penso a questo e al ritorno alla manualità come risposta al lavoro intellettuale che ci ha reso solo più frustrati, Arianna Pasini sale sul palco e noi iniziamo a forare le travi e a shaparle.
Tempo di oliarle e montare le ruote e il mio business plan di riscatto dalla realtà si è gia concretizzato nella mia mente, con tanto di filosofia social e immagine di occhiello sul Sole24Ore nella categoria sempre in voga di “belle speranze” quando mi rendo conto che forse semplicemente potrei iniziare a prendermi cura delle piante come primo step verso la riconquista di sè. E in fondo è un pó quello che questi momenti, il MI AMI, vuole darci: un momento per fermarci e semplicemente osservare, ballare, cantare e per chi puó, anche innamorarsi (e un pó di whiskey aiuta sempre, quando bevuto responsabilmente, quindi per noi quasi mai – mi spiace Jack Daniel’s, “stacce”). E ancora intrisa di questa vena creativa e creante mi dirigo verso Marta Del Grandi a immaginare le infinite vie del mio io interiore. Ah, quanto siamo volubili, e quanto ci piace esserlo. Grazie Jack Daniel’s per ricordarcelo, ma con gentilezza, mentre ci porgi un Jack&Cola(e uno skate per correre verso la nostra libertà).