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Reportage Live

LAKECIA BENJAMIN: Hell Yeah, che Jazz in Santeria!

Non un solito concerto jazz per l’artista newyorkese, che vanta collaborazioni con Stevie Wonder, Alicia Keys e The Roots: improvvisazioni di sax alto e rap freestyle mandano in fibrillazione il pubblico presente in Santeria

Articolo di Philip Grasselli

Entriamo dritti per dritti al terzo weekend di JazzMi, il festival di jazz diffuso in tutta la città di Milano fino al prossimo 5 novembre, e stavolta facciamo tappa in Santeria Toscana 31, che per questa sera ci porta nelle atmosfere newyorkesi più intime con Lakecia Benjamin e la sua band.

Milano rappresenta per lei una delle ultime tappe del tour europeo di promozione dell’album “Phoenix”, uscito il 27 gennaio scorso, prima di tornare al mitico Birdland Jazz Club di New York: nel giro di poche ore già sembra essersi ambientata molto bene in Italia, con un carisma impressionante sul palco del teatro, rendendo questo concerto non il classico jazz che si incontra in altre situazioni.

Da persona abituata a concerti jazz da seduto, vivere questa esibizione in piedi con tutto il resto del pubblico, come se fosse un classico live, mi ha fatto inizialmente strano. In maniera graduale però, Lakecia Benjamin ci ha fatto capire quanto un assetto del genere non solo funzioni nel jazz, ma renda John Coltrane molto più di una semplice oscillazione della testa. Si parte immediatamente con Amerikkan Skin, la prima traccia di Phoenix, e basta poco perché la batteria di E.J. Strickland, il piano di Zaccai Curtis, il contrabbasso di Ivan Taylor, ma soprattutto il virtuosissimo sax alto della leader di questa band, facciano capire che qui non si starà fermi nemmeno per un minuto.

“Hell yeah!” è l’esclamazione che fa da collante per tutto il concerto, Lakecia Benjamin è carichissima, invita ripetutamente i presenti a godersi la performance e a danzare sorseggiando (con moderazione) un cocktail o una birra e lasciarsi trasportare da questa celebrazione delle donne nel jazz: da qui cambia tipo di improvvisazione, passando da quello del suo mitico sax al rap in freestyle sulla “women’s power”. Un flusso di note e di parole che ad un certo momento ti accompagnano verso un contesto più urban, dove Lakecia è cresciuta, ma anche in uno più introspettivo, dato che l’album Phoenix è anche frutto sia del periodo pandemico, sia del gravissimo incidente che ha subito nel 2021.

Il fil rouge musicale di tutto questo concerto è, come detto prima, il grande tributo nei confronti di John Coltrane: un paio di brani da “Pursuance: The Coltranes”, ma soprattutto la chiusa ripetendo tutti insieme “A love supreme”, riferimento chiarissimo al leggendario omonimo album del 1965 che ha segnato una svolta alla storia della musica contemporanea.

Come già successo per Cory Henry, sono riuscito a intercettare Lakecia Benjamin a fine spettacolo ed è scattato il solito momento “domandina secca al volo”.

P: Hey Lakecia, you’ve been gorgeous tonight: can you describe your performance in just one word or sentence? (Ciao Lakecia, sei e siete stati davvero fantastici stasera: hai modo di descrivere questo concerto in una parola o frase?)

L: Oh thank you, well… OUT OF THIS WORLD! (Oh grazie, beh… TROPPO TROPPO BENE!)

Me l’ha detto con un tono che m’ha fatto capire che avrebbe voluto farsi un altro paio di date qui a Milano: beh noi siamo qui che ti aspettiamo!

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Se non parlo di musica, parlo di sport. Se non parlo di sport, parlo di ingegneria. Se non parlo di ingegneria, parlo di meme. Se non parlo di meme è perché dormo.

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