Articolo di Stefania Clerici | foto di Andrea Ripamonti
La grande stagione dei concerti internazionali ha finalmente preso il via e Milano si conferma grande protagonista della scena musicale con artisti di gran calibro ospiti al Festival degli I-days: se lo scorso mercoledì con i Metallica ci siamo divertiti ad headbangare forte, la serata di ieri all’ippodromo La Maura ci ha portato tutt’altra musica sulle vette sognanti del vintage sound di Lana Del Rey.
67 mila presenze al pari dei cugini metal della settimana passata, per uno spettacolo tutto dream&pop, con una sola grande protagonista a riempire il palco.
Anche se il pomeriggio di musica inizia con gli opening act della giovane Clara e del geniale e poliedrico Dardust, tutto il pubblico è lì per lei e lo si vede bene al colpo d’occhio che mi circonda: qualche gruppo di amici, molti stranieri, molta fluidità ma sopratutto tante, tante, tante ragazze con coroncine di fiori in testa, abiti di pizzo bianco, pezzi vintage addosso, tutto molto bohemien, che prendono a modello lo stile della loro idola a breve on stage. Qualche genitore 1-2 (più mamme, diciamolo) che le accompagna, ma saranno in tantissim* fuori in auto con le doppie frecce (Buongiorno Milano, Buongiorno Sindaco Sala) ad attendere le figlie a fine live.
L’inizio del concerto è spettacolare e ci fa entrare (letteramente) nel giardino incantato di Lana Del Rey, tra gazebo e pergolati, come se fossimo in uno dei suoi videoclip. L’atmosfera rarefatta e sognante si accresce con il contributo dei visual a fondo e lato palco, ma è con l’ingresso onstage di Lana che lo show prende il via: un look vintage un po’ lolita anni ‘60, con una pettinatura tutta cotonata e luccicanti stivali ai piedi incorniciano l’artista, circondata da un corpo di ballerine professioniste che su Without You iniziano la loro danza. Su West Coast parte subito il primo coro del pubblico che però non smuove Lana, concentrata nella sua performance e sul personaggio, dal quale non uscirà mai per tutta l’ora e mezza di concerto.
Sì perchè la perfezione ci piace, ma già dai primi pezzi si ha l’impressione di essere dentro il (bellissimo) film di Lana Del Ray, in un non-presente che ti catapulta nelle atmosfere calde dell’Arizona di Doin’ Time o Summertime Sadness, o sulle coste del mare californiano di Pretty When You Cry, o ancora in un viaggio on the road nel deserto rosso di Ride, in poetici sogni ma… molto lontani dalla realtà e di quell’esperienza vera che un concerto ti dovrebbe far vivere.
Su Born to Die tutti i telefonini sono alzati per riprendere la performance e immortalare il momento in un ricordo che sa già di evanescente: due lunghi interludi su Bartender e Burnt Norton con videoclip dal sapore vintage ci portano verso la seconda parte del live, molto incentrata sulla performance e il connubio piano e voce, in cui Lana Del Rey dà il suo meglio in potenza vocale ed interpretazione.
Le bravissime ballerine e le coriste portano lo show più vicino e a portata del pubblico, l’intro gospel di The Grants è pura emozione, scivolando poi sui toni ballad di Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd Lana accenna un’inaspettata pole dance, preferendo poi la comodità di una sedia per una cantata più intima. Non bastano i cori dal pubblico che chiedono “Salvatore” (che non arriverà) o intonano “Sei bellissima” a distrarre l’artista, che con le sorprese nella setlist italiana di Norman fucking Rockwell e Arcadia, ci regala l’acclamatissima Video Games.
Il palco si fa buio e con gran stupore un’intro piano-solo proietta un simil-ologramma di Lana Del Rey a centro palco, che gira in tondo come in un vortice: un cambio d’abito lungo, tutto una pailletes di scintille. Come una moderna Principessa Leila arriva Hope is a dangerous thing for a woman like me to have – but I have it che lascia tutto il parterre con LA domanda: ma chi abbiamo visto, la vera Lana o un video? Il gran finale è un crescendo, prima con A&W e poi con la poetica Young and Beautiful che chiudono il live.
Manca solo la caduta del sipario per siglarne la conclusione, ma forse ci basta la caduta del velo del vestito di Lana che copre palco e ballerine per la sua ultima performance per destarci dal sogno. Tra atmosfere oniriche e un viaggio più che oltre oceano che ci hanno accompagnato per un’ora e mezza, si torna alla realtà e a farcelo capire sono proprio i “titoli di coda” di It’s just a burning memory che a tutto volume ci indirizza verso l’uscita dall’Ippodromo: me ne vado con un ritratto in chiaroscuro dell’artista che non mi ha lasciata indifferente vuoi per la sua unica voce, vuoi anche per la sua artefatta bellezza, ma l’amaro in bocca un po’ mi resta e sinceramente penso che avrei voluto un po’ più sentimento e verità da questo show, pur perdendo in ricercatezza e perfezione.
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LANA DEL REY – la scaletta del concerto di Milano – 4 Giugno 2024
Without You
West Coast
Doin’ Time
Summertime Sadness
Cherry
Pretty When You Cry
Ride
Born to Die
Bartender (interludio)
Bartender
Burnt Norton (Interludio)
Chemtrails Over the Country Club
The Grants
Tunnel (Interludio)
Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd
Norman fucking Rockwell
Arcadia
Video Games
Hope is a dangerous thing for a woman like me to have – but I have it
A&W
Young and Beautiful
It’s just a burning memory (The Caretaker song recorded)