Per tutti noi è un piacere essere qui in questo lungo periodo prima di Natale al Dal Verme, che diventa, per un mese, la nostra casa. È un piacere stare a casa. Grazie!
Queste le parole di Ludovico Einaudi alla seconda delle diciassette date che si terranno al Teatro dal Verme di Milano. Un appuntamento fisso ormai da diversi anni tra il compositore pianista e il capoluogo meneghino. Ma sono in minoranza i milanesi, ed in generale gli italiani: tante le presenze straniere arrivate per l’occasione, diverse le lingue che animano il foyer, comune l’eccitazione per lo spettacolo che sta per avere inizio.
Appena entro in sala e guardo il palco, colgo ricchezza ed essenzialità: la scena è nuda, nessuna scenografia, solo strumenti silenziosi e possenti ad attendere i maestri. Pochi minuti dopo le 20.00 eccoli entrare, in maniera sommessa, senza far rumore. A chiudere la fila, Einaudi. Look total black per tutti, cappello d’ordinanza per il nostro ospite.
Rose bay dà il via alla serata. Primo singolo che anticipa il nuovo album The Summer Portraits in uscita il 31 gennaio 2025 per Decca, distribuito in Italia da Universal.
Il brano prende il nome dal sobborgo di Sydney dove il nonno paterno di Einaudi, Wando Aldrovandi, rinomato direttore d’orchestra, era emigrato negli anni ’30. Ed è lontano che portano queste note, con la voce del pianoforte che infonde lentezza e abbassa i battiti, accompagnata e tinteggiata dai violini e suoni sintetici che ci fanno prendere le distanze da un venerdì di fine novembre ed immergere in uno spazio tempo vicino e contemporaneamente distante.
Raccontare la passione, l’amore, il valore, “i valori” di un concerto di Einaudi è impresa ardua. Flussi di suoni, di emozioni, di visualizzazioni condizionate talvolta dal proprio stato d’animo, si alternano, così come i brani; dalle pietre miliari a quelli ancora inediti. Sul palco, nonostante le postazioni siano “fisse” e tra loro anche lontane, la connessione è totale.
Tante le emozioni, dicevo. Ad esempio. Da un momento solenne, quasi drammatico, in cui la tensione è tangibile per l’incedere intenso tra pianoforte e archi, quando il tumulto interiore e di sonorità raggiunge l’apice, il suono leggero e ipnotico dello xilofono si insinua, sempre più ficcante, e va a scardinare quella tensione per lasciare spazio ad un respiro carico di ossigeno, suggellato dall’affondare dei tasti bianchi e neri. E si viene pervasi da meraviglia.
O l’abbandono. A sentimenti salvifici carichi di speranza, nati dall’abbraccio tra violoncello e piano, che si accendono poi, all’ingresso di tutti gli archi, per diventare un unico credo, potente. Anche se siamo fermi, i nostri animi ondeggiano, insieme, come spighe in un campo di grano nella luce di un sole caldo. Si percepisce o meglio, “si riceve” tanta natura e spazi infiniti, anche se siamo chiusi in una sala. La si può respirare.
Non manca la sperimentazione. E la fisicità, portata in particolare dall’energia di Eros con lo scambio tra archi, piano e colpi su tamburo e campanelli che arrivano come martellate, E combatti, con te stessa, con le tue emozioni e con il tuo stare fermo, perché la botta e il coinvolgimento sono tali che vorresti partecipare anche con il corpo, muoverti seguendo il ritmo, per lasciar penetrare ancora di più quell’energia.
Passione, tensione, vitalità, ma anche profonda intimità, in particolare quando Einaudi è lasciato solo sul palco, per quartetto di brani di purezza piena.
Tra i titoli presenti in scaletta e già usciti, oltre a Rose Bay e Punta Bianca, anche Pathos, con il suo maestoso crescendo che inizia da una semplice melodia di piano fino ad arrivare all’ingresso degli archi che imprimono l’inconfondibile sound di Einaudi. Un brano dall’impatto davvero forte.
Oltre a tanta arte, così presente che la puoi quasi toccare, la simpatia e… il divertimento! Sul palco c’è gioia, c’è amore. Un amore certamente ricambiato dal pubblico, molto rispettoso e devoto, che non ha perso l’occasione di celebrare gli artisti con lunghi applausi carichi di estasi e gratitudine.
Come ogni anno, un appuntamento da non perdere!
Ad arricchire la serata, per calarsi ancora di più nella dimensione intima e suggestiva della musica di Einaudi, un’installazione curata personalmente dal Maestro, dal titolo To the Lighthouse, ispirata all’omonimo romanzo di Virginia Woolf: al centro dell’opera il faro, simbolo di una meta desiderata, ma irraggiungibile, avvolto da un alone di distanza e mistero, il cui costante lampeggiare in lontananza sembra rappresentare un’aspirazione mai pienamente afferrabile. Sulle pareti proiezione di immagini, che sembrano provenire da un Super 8, pezzi di vita e natura che scorrono. Il tutto avvolto da suoni che richiamano la stessa natura, il cigolio del legno delle barche, il fischiare del vento, tutto marcatamente scandito dall’affondare profondo dei tasti di un piano.
Per me è un po’ la metafora della creazione artistica, del desiderio mai appagato, della ricerca incessante di una promessa splendente che sembra vicina – dichiara Einaudi – ma di fatto è impossibile da raggiungere.
L’installazione sarà visitabile fino al 18 dicembre (fatta eccezione per le giornate del 2, 7, 11 e 16 dicembre) nella Sala Piccola del Teatro Dal Verme. Fortemente consigliata la prenotazione a questo link.
Sul palco, ad accompagnare Ludovico Einaudi ci sono:
Federico Mecozzi, violino
Redi Hasa, violoncello
Francesco Arcuri, percussioni
Alberto Fabris, basso
Gianluca Mancini, tastiere
Rocco Nigro, fisarmonica
Ensemble d’archi Rimini Classica.
LUDOVICO EINAUDI – La scaletta del concerto al Teatro dal Verme di Milano
(per policy, non anticipiamo i titoli dei brani inediti)
Rose Bay
Inedito (The Summer Portraits)
Punta Bianca
Fly
Inedito (The Summer Portraits)
Run
Inedito (The Summer Portraits)
I giorni
Eros
SOLO
Una Mattina
Nuvole Bianche
Swordfish
Inedito (The Summer Portraits)
Inedito (The Summer Portraits)
Pathos
Divenire
Experience
Tower