Articolo di Serena Lotti | Foto di Federico Buonanno
Ci sono pagine di storia della musica che meriterebbero l’orecchio alla pagina: Catartica è una di quelle pagine. Ieri sera Cristiano Godano e i suoi alchimisti del noisy ce lo hanno riconfermato ma non solo per ciò che ha rappresentato la loro opera prima, ma anche per ciò che la band piemontese ha dato in un senso più ampio alla musica in termini di ricerca, avanguardia, esplorazione del suono, della parola e della narrativa (non in ultimo se pensiamo anche in funzione della collocazione che i MK detengono nell’immaginario collettivo). In breve: una delle colonne sonore della nostra vita.
Ieri sera è partita quindi la grande messa dell’alternative, che non rappresenta solo la necessaria celebrazione di 30 anni di Catartica, bensì la festa di un ideale trittico che parte da questo primo e osannato disco e che compie il suo viaggio intorno al ricordo e allo spleen abbracciando anche il II e III album della band piemontese, rispettivamente Il vile del ’96 e Ho ucciso paranoia del ’99.
Catartica già nel 1994, data della sua uscita, diventò immediatamente uno dei capisaldi dell’alternative italiano e pose le basi per quello che sarebbe stato il grandissimo ventennio a venire per la storia del rock del nostro paese, non serve spiegare il perchè. Chi c’era allora, sa.

Ieri 14 marzo inevitabile sold out per il primo appuntamento del tour, dopo l’eletrizzante data zero al The Cage di Livorno di due giorni fa. La band di Cuneo approda a Milano per incendiare i nostri ricordi e far piangere anche le mattonelle dei bagni. Il pubblico, ordinato e disciplinato la prima mezzora e paurosamente infoiato da Fuoco su di te in poi, è una rappresentanza trasversale dal punto di vista anagrafico e racchiude almeno due generazioni di fan.
Ieri c’è chi ha sofferto, meditato, chi ha pianto, riflettuto, c’è chi si è emozionato, chi ha ricordato, chi si è incazzato, divertito, c’è chi è esploso e poi c’è chi mente. Perchè si può provare di tutto durante un live come questo, anche soffrire ripercorrendo le epifanie della propria vita, ma non si può certo rimanere indifferenti.
Quel che è certo è che tutti abbiamo compreso, in un modo più o meno razionale, che il viaggio del tempo non ha che stazioni illusorie, capolinea immaginari e che dalla nostra giovinezza non si esce mai, nè vincitori, nè perdenti. La sensazione è che si ha ancora qualcosa da fare e che ci sono zone d’ombra nelle nostre vite ancora dannatamente irrisolte, pericolosamente esposte. Opere monumentali come Catartica, e in misura minore solo in termini di presenza in setlist de Il Vile e Ho Ucciso Paranoia, ne sono stati perfetti soundtrack, sono stati il testimone scomodo. Scomodo perchè i pezzi che dei MK di quegli anni ti leggevano dentro, ti scavavano l’anima, ti sparavano il dolore negli occhi, scoperchiavano tutti i nostri dilemmi esistenziali. Ti facevano capire chiaramente quale fossero le urgenze del tempo e di quello spazio che abitavamo ma non ti chiedevano di prendere una posizione. Stare nel qui e ora e “arrendersi al gelo dell’apnea“.

Siamo grati, sinceramente grati a Cristiano Godano e Riccardo Tesio fondatori dei Marlene Kuntz, siamo grati a Luca Lagash Saporiti e le sue acchiappanti linee di basso, a Davide Arneodo che suona tutto quello che è possibile suonare (passerà dal violino, al synth, dalle tastiere alle percussioni) e infine al mitico Sergio Carnevale, egregio sostituto dell’amatissimo Luca Bergia, anche lui fondatore dei MK e scomparso improvvisamente un anno fa, al quale viene dedicato interamente il tour.
I MK sono artigiani di suoni , maestri dei riverberi, dei delay, narratori di una sonorità ruvida, acida, dalle code infinite ma raffinati, crepuscolari, aristocratici al tempo stesso. Brani monumentali che scrivono le pagine di un’enciclopedia di ricordi, firmando uno storytelling fatto di memoria e intenzioni, un cronometraggio impetuoso, al contrario, necessario alle nostre vite. Catartica è anche la forza del presente, l’urgenza del futuro, non è solo un viaggio nel passato ma è anche il metro per misurare quanto i MK siano ancora essere straordinariamente necessari alla musica e alle nostre vite.
Sono brani incendiari quelli che si avvicendano senza sosta, dalle prodezze virtuose di Lieve, L’Agguato, Fuoco su di te dove i Marlene Kuntz sono eccezionali nel combinare strutture sonore asprissime che si sviluppano una dentro l’altra e che esplodono in code infinite ad affreschi di malinconia e poesia insieme, con melodie eterne, uniche, avvolgenti. Da Ineluttabile a Infinità, da Nuotando nell’Aria a Il Lamento dello Sbronzo, siamo letteralmente rapiti, ammaliati, paghi. Abbiamo le gole scorticate e le ginocchia liquide, non possiamo sottrarci al confronto con la nostra vulnerabilità, non siamo che una massa di teste sudate e piene d’amore, un gruppo di accoliti del ricordo, di esattori del bello e del necessario, di reclamanti di vita guidati da questo faro rosso, un soundscape avvolgente e lisergico.

Ma la poesia ha bisogno anche del grezzo e del ruvido per far sì che la sua essenza si sprigioni ancora di più. Ed ecco che arrivano impetuose, deflagranti, esplosive le versioni di 1° 2° 3°, Festa Mesta, Sonica, Ape Regina a dare il via a quello che sarà uno scatenato pogo che lascerà a terra qualche malcapitato. (Chiunque sia sia ritrovato dentro al pogo forsennato dei fan dei MK ne è uscito sicuramente capobranco).
Si va in chiusura con la lezione di Bellezza, un finale potente e delicato al tempo stesso che conferma la capacità dei Marlene Kuntz di trasformare il dolore e la sofferenza in arte di straordinaria bellezza e complessità.
Che insegnamento ci portiamo dietro stasera? Non sappiamo se abbiamo voglia di nuove lacerazioni, ma c’è forse bisogno di ritrovare quelle antiche, quelle che ci ricordavano chi eravamo e quanto fosse profonda la nostra capacità di entrare nella vita e di perdersi dentro di essa. Forse quella capacità l’abbiamo perduta per sempre o forse abbiamo solo bisogno di un Cristiano Godano a ricordarci chi eravamo, lui che ci conosce bene e che sa incarnare la potenza trasformativa della musica come pochi.
Ed è per questo che servono le feste del cazzo come questa, per esercitare il diritto di catarsi, per celebrare un esorcismo emotivo, per consentire alla musica di assurgere al ruolo di deus ex machina, ma soprattutto per rammentare a noi stessi che se mettiamo le “mani dentro a un buco” ci possiamo trovare ancora delle cose meravigliose. Quindi, complimenti per la festa che è stata di tutto e di più, è stata qualsiasi cosa volevate fosse. E’ stata tutto, fuorchè mesta.
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MARLENE KUNTZ – La scaletta del concerto di MILANO
Trasudamerica
Canzone di domani
Gioia (che mi do)
Fuoco su di te
Aurora
L’agguato
Lamento dello sbronzo
Mala mela
1° 2° 3°
Infinità
Ineluttabile
Lieve
Festa mesta
Sonica
Nuotando nell’aria
Encore
Ti voglio dire
Come stavamo ieri
Ape regina
M.K.
Encore 2
Bellezza
